LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.
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martedì 25 ottobre 2022

Prodotti

Quando uno va a correre, capita che ascolti musica, audiolibri, podcast o altri audio con il cellulare, attaccandolo agli auricolari. 
Se è avanti si usa quelli Bluetooth, se è antiquato quelli con il filo. 
Capita anche che, durante l'ascolto, qualcuno gli telefoni: se non è proprio a corto di fiato, si tratta di una benedizione, perché la conversazione diminuisce la sensazione di fatica, più o meno al pari dell'ascolto di qualcosa di interessante. Ovviamente, il beneficio si riduce con la riduzione dell'interesse.

A me è capitato che mi telefonassero e mi ponessero, di prima mattina, il tipico problema che viene in mente a chi ha appena spento la sveglia: ma l'essere umano può essere visto, soprattutto nel campo dell'accoppiamento sentimentale, come un prodotto, al pari di quelli che si trovano sugli scaffali di un supermercato? Dalla conversazione è emerso con chiarezza che la risposta è sì, e nemmeno per pochi. Si è giunti alla conclusione che sia capitato anche a noi, nel tempo, come soggetti attivi e/o passivi. Alla fin fine, ci siamo detti, è un po' inevitabile che si valutino tanti aspetti di una persona che, anche se non direttamente, in qualche modo sono collegati al suo io: la sua ricchezza (costruita con il sudore della fronte o ereditata), la sua o, meglio ancora, le sue abitazioni, il suo reddito, il suo involucro esterno, la presunta data di scadenza, insomma, un sacco di cose per nulla romantiche, soprattutto se non ci si riflette molto.
 
Di colpo, però, mentre ero presa benissimo a filosofeggiare senza accorgermi che una nebbia spessissima mi lavava letteralmente i capelli e stavo correndo in una foresta che sembrava uscita da "The blair witch project", taccc, non ho sentito più nulla. 
Ho guardato il filo delle mie nuove cuffiette cinesi, tipiche della persona antiquata: era uscito tutto il rame dalla guarnizione. Insomma, erano da buttare.

Ho chiuso la conversazione, finito la corsa, buttato le cuffiette, e, prima di andare a lavorare, sono passata da Max Factory a comprarne un paio identico. 

Mentre compivo questa serie di operazioni, mi sono detta che quello che si fa con un prodotto è questo: se si rompe, si butta. 
E si ricompra. 
Uguale, simile o anche meglio se se ne ha la possibilità economica. 

Poi ho pensato che forse l'universo volesse comunicarmi qualcosa: 
e quel qualcosa,
 senza ombra di dubbio,
 è 
che 
le cuffiette cinesi sono di pessima qualità.

martedì 21 giugno 2022

Michael Willemsen: del non fare, del socializzare e di molto altro

Martedì scorso non ho incontrato Michael Willemsen e gli ho fatto un'intervista.

E chi è Michael Willemsen, vi chiederete voi? Lo sanno in pochi, quelli che hanno letto qualche articolo o sono passati da Prato Gaudino, un paesino abbandonato sulle colline tra Cervasca e Vignolo, dove lui vive in una baita in legno e fa una vita da relativo eremita, anche perché questo termine, secondo me, glielo hanno attribuito di più gli altri che lui stesso. C'è anche l'aggettivo che lo accompagna, iperconnesso. A me sembra connesso e basta: con internet (lento) e con gli altri (non tutti, quelli che decide lui). 
Dato che su "La Stampa" di Cuneo domani verrà pubblicata la versione bignami di questa intervista, nata tra i meandri di Facebook messenger e delle mail, solo per voi, miei cari residui lettori di questo blog, ecco la versione integrale. 

Come funzionano le sue merende sinoire, feste, incontri? Come si conciliano con la vita eremitica? 

Organizzo momenti di incontro perché è bello rivedere le persone che nei mesi precedenti sono passate dalla Baita Castagné. Con altri purtroppo si è perso il contatto. Rendere questi incontri pubblici, aperti a tutti, per ora è impossibile. Manca semplicemente lo spazio. Poi c'è sempre qualche purista dello spirito che vede una contraddizione con il mio ruolo di eremita sul palcoscenico del mondo. Dovrei adeguarmi di più al copione, invece di incitare alla convivialità tra montanari. C’è l’idea che la solitudine sia in qualche modo legata a una misantropia asociale. Ma io sono fiammingo, perbacco, un figlio gioviale di Bruegel!  Non ho nessuna voglia di cominciare a mangiare radici invece di pizza, o fare penitenza nei boschi strascicando le mie ginocchia sul muschio o sui sassi. La vita eremitica per me è una forma di coltivazione del silenzio interiore, ma anche uno strumento per uscire ogni tanto dalla comfort zone. La condizione per trasmettere qualcosa di positivo agli altri si radica nella capacità di stare bene con sé stessi, da soli, ritirati dal chiasso, ma se non si esce dall'ombra, la propria vita è sprecata e ci si inaridisce.

Il mio poeta preferito, Olav H. Hauge, l'eremita norvegese di Ulvik, su questo equilibrio ha scritto versi stupendi in nynorsk, la lingua della regione Hardanger. In italiano si potrebbero tradurre così :

 "La solitudine è dolce

fin quando la strada di ritorno

agli altri

rimane aperta.

Non si brilla

solo per se stessi".

Cosa l'ha portata a cambiare vita? È stato un processo o un'epifania?

 Si è trattato di un lungo processo nel quale non mi sembra di avere scelto o deciso più di tanto. Mi sembra che tutto sia avvenuto spontaneamente. È molto difficile capire però fino a che punto l'inconscio mi ha guidato, o quanto l'educazione abbia avuto il suo peso. Sicuramente ho avuto un'infanzia molto felice. Mi risulta facile fidarmi della vita, affidarmi alla misteriosa trama cosmica che sento sostenermi a ogni passo. Soprattutto quando mi trovo in mezzo alla natura, la fiducia è totale. A volte penso che non mi sono mai sforzato granché. Che non ho desiderato mai tante cose. Direi che ho viaggiato come un naufrago seduto su un relitto. Mi lascio trasportare dalle correnti. Accolgo gli eventi, senza opporre troppa resistenza. Sento che nel mio percorso, libero arbitrio e volontà hanno giocato solo un ruolo secondario. Le cose più belle mi sono sempre accadute all'improvviso. Oggi, quando guardo indietro, ricordo come, già da piccolo, avevo intuito oscuramente che dietro alla mia piccola vita fosse all'opera una sorta di forza superiore, che non ho mai saputo come definire. È stata lei a orientare molte delle mie decisioni. Altre persone non hanno la stessa fortuna, forse perché chiedono troppo invece di diminuire le aspettative. Imbrigliare il divenire con preconcetti che alla fine si rivela una forzatura: ti fa sbagliare strada ai bivi cruciali. Sarebbe più efficace sedersi, non fare nulla, ascoltare di più il paesaggio sonoro del bosco. Credo sia la via più diretta per tornare in se stessi. Ma per questo esercizio contemplativo  probabilmente ci vogliono una predisposizione caratteriale di partenza o un'educazione sin da piccoli, non saprei.

Quali sono state le "cose" che ha portato qui in montagna e a cui non rinuncerebbe mai (se ce ne sono)?

 L'abbonamento Netflix, ovviamente. No, scherzo. Qui entriamo in un campo minato, toccando questioni di cui probabilmente sarebbe meglio tacere. Perché io posso rinunciare a quasi tutto, e l'ho fatto più volte in vita mia. Sono decenni ormai che mi accompagna una domanda insistente: cosa sopravvive della propria serenità, libertà o felicità quando uno taglia il cordone ombelicale con tutto ciò che ritiene indispensabile? Amore, amicizia, famiglia, salute, lavoro, denaro, casa? Cosa resta di essenziale del proprio io quando tutti questi appigli sono compromessi, nell'estrema vulnerabilità della perdita di quasi tutto? Per trovare la riposta a questa domanda, per anni ho tagliato tutti i ponti immaginabili, ho vissuto in un isolamento estremo. Non avevo più nessuno a cui rivolgermi in caso di bisogno, né familiare né amico. È stata un’esperienza crudele. Ecco perché la domanda sulla rinuncia è una specie di tabù in un paese dove la famiglia comunque è sacra, anche quando magari ti distrugge con i suoi ricatti emozionali. Eppure sono convinto che non possa esistere una vera libertà o felicità senza una grande rinuncia. Non tutti i processi si svolgono in modo graduale in natura. A un certo punto del viaggio, se manca ciò che Nietzsche chiama la "grande separazione", l'allontanarsi da ogni valore e riferimento familiare e rassicurante, è difficile abbracciare davvero il proprio destino. In questo senso, è vero, serve anche un momento di epifania, un atto fuori da ogni logica, istintivo, in cui si manda a quel paese proprio ciò che è vicino. In cui si butta via tanta zavorra morale, a volte anche le chiavi di casa, e semplicemente si pronuncia il "Weg von hier!"", il "via da qui!" come si legge nei diari di Kafka. Ma da lì a lasciarlo tutto davvero, nella pratica, ce ne vuole. Non consiglio a nessuno il deserto, a meno che non si senta un richiamo interiore fortissimo. Forse è meglio continuare come prima, cercando di districare al meglio la matassa di ogni giorno, che tagliare il nodo gordiano senza la forza per assumerne le conseguenze.

 Perché non ha scelto di fare l'Eremita sconnesso?

 Proprio per via di tutti questi anni di isolamento. Per me, abitare in questa borgata come unico residente, in realtà, rappresenta un ritorno alla collettività. Oggi c'è chi mi percepisce come eremita, ma dimentica di precisare che non mi sono trasferito a Pragudin a partire da una vita sociale fiorente in una città: sono arrivato qui uscendo da tanti anni nomadi a vagare negli sperduti deserti gialli e verdi del mondo. Adesso anche d'inverno mi capita di vedere qualche persona ogni settimana. Prima non incrociavo nessuno per mesi, tanto da disimparare ad articolare addirittura le parole. Oggi abito a duecento metri dall'asfalto, prima a quattrocento chilometri da ogni forma di civiltà. L'isolamento e il senso di vulnerabilità sono quindi molto relativi. Un milanese tende a vedermi come un grande eremita. Per un canadese o un norvegese della taiga invece, questa borgata è un posto socialmente frenetico, affollatissimo!

 Non le manca viaggiare, da quello che ho capito: considera questo un porto d'approdo e per il momento va bene così?

 Pragudin è la mia Itaca, su questo ho pochi dubbi. Ma l'avvenire è sempre aperto. Omero non ci dice se Ulisse soffrisse di irrequietezza migratoria dopo qualche anno stanziale nella sua isola. Forse è ripartito, forse ha preferito invecchiare vicino a Penelope nel focolare. Può anche darsi che un giorno scoppi di nuovo la mia voglia di viaggiare. Per il momento, tuttavia, non riesco ad allontanarmi fisicamente da questa borgata. Sono diventato iper-sedentario. Anche perché qui ho scoperto due sensazioni di cui ignoravo tutto: i ricordi e la nostalgia. Nel movimento nomade non mi ero mai voltato indietro, a guardare la strada percorsa. Adesso viaggio attraverso la memoria, le parole, la scrittura. È un’avventura altrettanto intensa.

Come vede il futuro? Ci pensa o no?

 Fatico a immaginare cosa ci sia a due o tre mesi di distanza. Non sono mai stato bravo nelle astrazioni. Ma non importa. Nella mia esperienza, i programmi sono abbastanza inutili, "plans are born to fail" dicono in inglese. Spesso, i vaticini, a posteriori, fanno acqua da ogni parte, soprattutto le previsioni più logiche ed evidenti. La mia percezione è rivolta al passato. Ogni sera, al tramonto, contemplo l'ombra che a poco a poco cancella la geometria del paesaggio in pianura. Case, paesi, fabbriche, strade, chiese. Tutto svanisce come in un sogno. Domani non esiste. Certo, tante persone si danno da fare con la speranza di raggiungere qualcosa. Non è raro essere assetati di desiderio di raggiungere un obiettivo visibile. Non passa giorno in cui non si cerchi di abbindolare il membro di una società con la pretesa linearità di ciò che lo attende. Si inventano continuamente falsi scenari. Ma a cosa serve questa miriade di previsioni? A rassicurare, vendere pubblicità online, distrarre meglio del presente. Ho la sensazione che spesso i media si ostinino a  guardare nella direzione sbagliata. Una poesia di Costantino Kavafis lo descrive bene: "... non da quello dobbiamo guardarci: i segni (da noi male intesi, male interpretati) erano falsi. Un'altra catastrofe, nemmeno adombrata, improvvisa violenta ci sta sopra e disarmati - troppo tardi ormai - a furia ci trascina." La pandemia ne è un esempio lampante. Questo continuo sovra interpretare i segni del futuro ci trae quasi sempre in errore. Pianificare il domani, come impegnarsi a piegare la realtà al proprio volere, mi sembra poco saggio. In fondo noi controlliamo molto meno la nostra vita di ciò che ci piaccia credere. Meglio quindi affrontare i fatti come si presentano, visto la probabilità piuttosto alta che le cose non vadano comunque come previsto. Conviene anche rallegrarsene addirittura, perché, paradossalmente, è proprio l'incertezza del domani che rende l'avventura terrena così affascinante.

 Ha cambiato passioni nel cambio vita? O si sono evolute quelle che già aveva?

 Certo, ne ho cambiate parecchie. Oggi non ascolto più solo i Beatles o i Pink Floyd e non passo le mie giornate a giocare a pallacanestro. Per fortuna si cambia. Ma è anche vero che con l'età si riscoprono le passioni dell'infanzia. Mi sono rimesso a collezionare fossili e adesso voglio fare da figurante in una festa medievale che stiamo organizzando nella Baita Castagné. In fondo è stata sempre la mia maggiore ambizione: diventare un cavaliere della tavola rotonda! Sono nato solo mille anni in ritardo. 

 Quali sono i personaggi che più ammira? E come l'hanno ispirata?

 Negli anni si incontrano tanti personaggi, ottimi compagni di strada, maestri. Mi ispirano ancora oggi Spinoza e Montaigne, ma anche Stephen Curry o Ricky Gervais! Oggi però è diventato difficile ammirare qualcuno in particolare. Si scopre infatti, come ben diceva Tiziano Terzani, che i grandi uomini non esistono. Esistono solo uomini, con i loro pregi e difetti. E vorrei aggiungere che dei veri maestri di vita forse non è opportuno parlare, per pudore. Spesso il loro pensiero è talmente lontano dal senso comune che dopo migliaia di anni se ne stanno ancora seduti nell'ombra, discreti sotto qualche albero centenario. Chi ha capito la saggezza di un Laozi? Chi, tra coloro che citano a destra e sinistra il simpatico Thoreau, ascolta davvero quello che ha da dire? "Se sei pronto a lasciare il padre e la madre, il fratello e la sorella, la moglie il figlio e gli amici, e a mai più rivederli, se hai pagato i tuoi debiti e stilato il testamento, se hai sistemato tutte le cose e sei un uomo libero, allora sei pronto per una passeggiata". Recepire questa saggezza, che di nuovo parla di una separazione radicale, di un distacco vitale, è scioccante per la maggior parte delle persone. Ciò che mi interessa del Principe Gautama sono i suoi lunghi anni vissuti da solo nella foresta, non quello che viene dopo, che è solo una conseguenza. Lasciarsi ispirare da questi personaggi significa rovesciare tutto ciò che normalmente procura sollievo alle nostre vite. E quindi di nuovo, di ciò di cui non si può parlare forse si dovrebbe tacere. Questo lo sussurrava al vento un altro eremita, nella sua capanna sul suo fiordo, presso il villaggio di Skjolden: Wittgenstein.

 Come sono la pandemia e la guerra viste da qui?

 Strani! Durante i lockdown i boschi si sono riempiti di escursionisti improvvisati. Molte persone del posto hanno riscoperto Pragudin, i boschi dietro casa, le borgate abbandonate. Non ho mai visto tanta gente in giro!

La guerra, poi, è un male grottesco, quasi banale, ma in qualche modo mi preoccupa di meno. A inquietarmi di più sono la moltitudine di tanti piccoli mali invisibili, i veleni sottili che inquinano la pace quotidiana e la convivenza civile. Si spargono troppe nefandezze nel nome del "bene", ad esempio. Queste le temo davvero, anche perché sono difficili da combattere. Ci ritroviamo in piena cancel culture puritana dove qualunque idiota si definisce ormai un woke, cioè un risvegliato, quando in realtà è solo un fanatico in cerca di attenzione, pronto a seminare discordia. Per fortuna c'è una reazione agli eccessi del politicamente corretto. Servono più menti critiche per scongiurare la valanga di tartuferie e ipocrisia a cui siamo continuamente esposti. La libertà di espressione è sempre più minacciata. Ormai non si può più dire nulla. Io metterei quindi l'Omologazione al primo posto dei Mali che affliggono l'Occidente, più della guerra stessa. La tentazione di semplificare, certo, è naturale. Lo so anch'io quanto sia difficile coltivare i contrasti, o ciò che Simone Weil chiamava "il pensiero simultaneo delle verità contraddittorie". Ma serve un maggiore sforzo in questo senso. La ricerca di omogeneità a tutti costi oggi si è trasformato in una vera piaga. Almeno la guerra la riconosci per quello che è. Il male che si fa passare per bene, non sempre.

 Vivendo con 400 € al mese a cosa si deve rinunciare e come cambia la percezione della vita?

 Lo scoop sensazionalistico dei 400 €, che per me è solo una banale conseguenza del mio modo di vivere, chissà perché risveglia tanto l'immaginazione delle persone, come se un giorno mi fossi svegliato, deciso a campare ormai con 400 €! Capisco che un titolo su un articolo deve attirare l'attenzione, ma a volte ne viene fuori una caricatura che distorce la realtà. Lo sa quale è la chiave per vivere bene con pochi soldi? Muoversi poco e pensare il meno possibile al conto in banca. E soprattutto non lasciare che il proprio stato d’animo sia condizionato da quanto uno possiede o meno.

A me la comodità piace, purché sia frugale. A Pragudin mi sento come un pesce nell'acqua a vivere in questo ritiro "egregio", ex-grege, fuori dal gregge. L'ozio creativo e contemplativo fa proprio per me. Ma se fosse necessario, potrei anche lasciarmi tutto alle spalle, senza rimpianti. La mia gioia profonda proviene da altrove, mica dalla salute del mio conto in banca. Ad esempio, se domani dovessi vivere in una tenda, invece che in una casa, sarei meno felice? Perderei molti punti in termini di credibilità sociale, sicuro. Ma lo sentirei come una sconfitta o come un progresso? Si diventa liberi davvero il giorno in cui si smette di vergognarsi. Il giorno in cui non si vive più in base al giudizio degli altri, bensì attingendo al serbatoio dei propri valori. E dunque non penso mai ai 400 €, sono continuamente gli altri a ricordarmi questo particolare. Quando a 35 anni ho  deciso di abbandonare la carriera universitaria come archeologo per diventare un bracciante agricolo nomade, secondo lei a cosa pensavo? A quanto avrei guadagnato? Se fosse così non avrei mai fatto quel passo e soprattutto non avrei mai vissuto le esperienze e avventure che oggi sembrano riscuotere un certo interesse. Si confondono quindi la causa e l'effetto. Come se per abitare in montagna fossero necessari dei soldi, mentre è piuttosto vero il contrario: serve ritrovare il piacere della scarsità di mezzi, quasi la voglia di diventare sempre più poveri. È una questione di ascesi, di vocazione a togliere il superfluo. Chiedere a un eremita quanto spende al mese non centra il bersaglio. Mi fa sentire come se cercassi di comunicare da un altro pianeta, emettendo stravaganti segnali da alieno. E difatti, chiunque si mette a vivere a modo proprio, cioè non come vogliono gli altri, la famiglia in primis, in fondo fa notizia. È stato il mio errare, il mio vagare come mezzo di conoscenza, fuori da un perimetro rassicurante, che mi ha portato a vivere qualcosa di diverso. Non esperienze migliori, soltanto differenti. Ridurre quest'avventura decennale alla questione di 400 € è... come dire? Sconfortante.

 Esiste una ricetta per riconoscere e togliere il superfluo?

 Certo: togliere tutto ciò che si ritiene indispensabile. Se si sopravvive, e ci si rende conto addirittura di vivere più leggeri, allora la ricetta funziona.

Come si fa ad essere in pace con il mondo e se stessi? Lei lo è?

 Con me stesso sì, con il mondo non sempre. Non sono una persona remissiva che va d'accordo con tutti, non cerco per forza il compromesso. D'altronde, credo che sia più importante dire NO nella vita che moltiplicare a vanvera i SÌ. Si può dire in questo senso che sono una persona conflittuale. Se devo scegliere tra la bontà o la verità, scelgo la verità. La verità è poesia, ma forse a pochi piace la poesia. Sono stato educato - traviato, deviato - con un amore profondissimo per la verità, una tara che non ha mai facilitato le mie relazioni sociali. Eppure, "il bisogno di verità è il più sacro di tutti", per citare ancora Simone Weil. Se mi guardo intorno però non vedo molte persone soffrire di insonnia in nome di questa necessità, che non sembra una priorità per la massa. É molto più rassicurante mettersi l'anima in pace, aderire a un'opinione, una Doxa, preferire il consenso della maggioranza. L'intima esigenza di verità per me è una scelta esistenziale radicale che comporta costanti impegno cura e  attenzione. La filosofia, la scienza, in questo senso, sono davvero una pratica di vita, e non uno sproloquio metafisico sul Nulla o un dibattito tra opinionisti in tivù. "Per fare società, bisogna mettersi d'accordo sull'importanza dell'idea di verità", ricorda Étienne Klein. Una Repubblica è un luogo dove bisogna accettare di sentire cose spiacevoli che contraddicono le nostre convinzioni, ma anche dove si deve avere il coraggio di contraddire gli altri in pubblico, non solo sul social, ma in famiglia e nel proprio quartiere. Esporre la propria persona a questo rischio sociale, difendendo la verità, è il principio della "parresia" greca. Sono in pace con me stesso soltanto quando rispetto quest'esigenza.

 Secondo lei chi può "permettersi" di vivere così?

 Come me? Il 99,9 % della popolazione. Ma a me va anche bene che lo sappiano in pochi. Altrimenti lei non mi farebbe più quest'intervista.

 Secondo lei perché la gente diventa schiava degli oggetti così facilmente?

 Perché qualcuno ha inculcato in loro l’idea che non possano essere felici senza di essi. Per esempio, sento continuamente dire che è impossibile vivere senza musica o senza leggere libri. È assurdo. Per anni non ho ascoltato musica né letto neanche un giornale. Nel camper non avevo neanche una radio. Si vive molto bene nel silenzio, o meglio, ascoltando la sinfonia del mondo, decifrando il libro della natura.

 C'è una frase di Leopardi che mi è rimasta impressa, che dice che si può essere misantropi solo se si vive in mezzo alla gente. Che ne pensa?

 Leopardi era parecchio infelice, un groviglio di frustrazioni. È l'esempio di una persona intelligente che non è mai riuscita ad essere serena, in pace con se stesso. Purtroppo nella storia culturale dell'Occidente abbondano i misantropi che la posteriorità ha fatto passare per maestri illuminati. Un Leopardi o un Schopenhauer, giganti del pensiero, sul piano umano invece, mi fanno pena. Viene voglia di confortarli con una pacca sulla spalla. Dai, su, Giacomo, forza Arthur, non buttatevi giù. La vita è troppo bella per l'amarezza, troppo breve per sprecarla in rancore e risentimento.

 Natura madre o matrigna?

 La natura è, basta. Amorale.

Che accezione ha per lei l’ambizione?

 Per essere ambiziosi serve qualcosa che io non possiedo: una forma di irrequietezza profonda, forse un desiderio di riscatto. Le persone ambiziose che sono impegnate a dimostrare al mondo ciò di cui sono capaci spesso hanno avuto infanzie complicate. Purtroppo non sono stato bullizzato come Elon Musk, altrimenti oggi non mi conformerei alla mia villeggiatura da anacoreta pre-pensionato. Farei altro invece che salutare i caprioli e le poiane di passaggio.

 Cos'è la solitudine per lei?

 La capacità di aderire il più possibile al proprio essere, senza tradirne l'essenza. Nella mia esperienza a Pragudin, distacco dal mondo e incontro con l’altro sono due polarità complementari. È un paradosso-scintilla, un contrasto fecondo, una tensione che arricchisce l'esistenza. Anzi, se mi permette la battuta, se oggi uno vuole conoscere nuove persone, fa bene a ritirarsi in montagna. Più è isolato, meglio sarà. La domenica deve solo stare attento a non bere troppo caffè in compagnia degli escursionisti che passano a salutarlo.

giovedì 3 marzo 2022

Letame

Ogni tanto qualche professore si comporta in modo da finire sui giornali.
La notizia del momento riferisce di un’insegnante di sostegno gravitante tra Saluzzo e Savigliano molto sollecita e coinvolta nel seguire un suo studente quattordicenne, al punto di avere una relazione di mesi con lui. Questa docente sicuramente non ha rispettato la deontologia professionale. Quattordici anni è l’età del consenso, e quindi, se non fosse stato per il suo ruolo, non avrebbe potuto  essere denunciata. Ma una famiglia che non vede il componente quattordicenne tornare la notte e si accontenta come giustificazione del fatto che abbia dormito su una panchina appare come la padella in cui il ragazzo saltellava prima di finire nella brace.
La provincia di Cuneo ha avuto vari precedenti di comportamenti ancora più inaspettati da parte di docenti: l’ex professor Fabrizio Pellegrino, quando ancora insegnava, nel 2014, amava, tra l'altro, giacere nel letame facendosi calpestare e percuotere da giovani alunni, in cambio di denaro e buoni voti. Sicuramente agli studenti, consenzienti, non sarà dispiaciuto quel lato dell'esperienza. 
Dai diamanti non nasce niente, dal letame è sorto il prof. 
Prima di finire in carcere.  

domenica 28 marzo 2021

Lo spettacolo della nonna

C'è questa nonna che ricorre nel blog da circa 14 anni (già, perché un mese fa Spigoblog ha compiuto gli anni e non mi sono nemmeno ricordata di fargli gli auguri). Nel tempo, mentre io le dedicavo questo, questo, questo, questo, questo e questo, e anche altro, lei è invecchiata.

Prima aveva 77 anni, poi uno in più, poi ancora altri in più, e siamo arrivati ad ora che ha 91 anni e rotola soavemente verso il decollo finale. 
Considerati il tempo covid da dedicare alla meditazione sul trapasso e il suo modo di essere, ne ha studiate già di tutti i colori. 
L'altro giorno mi ha detto che avrei dovuto ricordarmi io di lei, perché da morta non era sicura che si sarebbe potuta ricordare lei di me (breve divagazione verso l'ateismo). 
Un'altra volta mi ha detto viaggia solo, che io ho viaggiato poco e adesso non posso più fare viaggi se non il grande viaggio finale (breve divagazione verso "Final destination 91"). 

Quando riesce ad alzarsi dal letto, la prima cosa a cui si dedica sono le pulizie. 
La sua vita è pulire la casa tuti i giorni. 
Se le telefoni dice che è così stanca e prossima alla morte che non riesce a parlare al telefono. Poi le chiedi cosa stia facendo e ti dice che sta lavando a mano tutte le tende. 
Se ieri è venuta la donna delle pulizie, e la nonna è stata a letto tutto il tempo, oggi si alza solo per ripulire da capo, perché ieri era un altro giorno. 

La cosa incredibile è la lentezza con cui si appende al manico della scopa, che non si capisce se è lei a sorreggere lui o viceversa, si tira su tutta storta, una spalla su, una giù, e inizia a muovere lo strumento in modo del tutto impercettibile. 
Anche la parlata è resa lentissima dalla vecchiaia e dai numerosi acciacchi, e si manifesta in modo reattivo solo con dei NO improvvisi e disperati quando il suo occhio catarattico ma acuto osserva che stai facendo qualcosa di inaudito, tipo cercare di scopare tu al posto suo, o aprire un'anta toccandola per la maniglia dalla parte visibile ("Le maniglie si toccano da dietro, così non rimangono le ditate!").
L'udito, praticamente del tutto assente, la immerge in un mondo fatato, in cui è lei che crea quello che le viene detto e i motivi per cui non lo sente davvero ("Io l'educazione te l'avevo insegnata, ma niente da fare: non si parla con cose davanti alla bocca, e tu ti presenti qui con sto pannolino bianco in faccia e non te lo togli! Vergogna! Così non sento niente!" ). 
Tu, adulto in salute, davanti a questo piccolo e fagottoso concentrato di testardaggine e autodeterminazione, non puoi fare altro che stare a guardare, assecondando i ritmi, stupendoti con lei per il fatto che, muovendo faticosamente le setole della scopa in uno spazio un po' più largo tra due listelli di parquet, estragga polvere che nessuna donna delle pulizie avrebbe individuato. "Hai visto tua nonna, cosa scova? E che lavoro fatto con i piedi dal parchettista?"
In un tempo che non è più tempo, la segui nelle sue faccende, la vedi stendere una gonna resa pesantissima dall'acqua che la intride perché ha voluto lavarla a mano e stenderla così, "almeno poi non devi stirare", allungando il corpo osteoporotico verso l'angolo più lontano della ringhiera, "lì c'è il sole". 
La vedi mettere un piatto di ceramica in forno a 250 gradi, ma non puoi fermarla, dicendole che se lo dimentica esplode. "Sono 80 anni che lo faccio e sono ancora viva, anche se per poco". Dimenticherà la porta del forno aperta, e si ferirà lo stinco passando. Del resto, sono 10 anni che lo fa ed è ancora viva, anche se per poco. 

E così, stai lì, assisti, rallenti, assecondi, taci.
Anche se parli è come se tacessi. 
Assisti allo spettacolo della nonna, anche se per poco. 

giovedì 8 ottobre 2020

Il vecchietto che ti saluta

 Sei in un bosco che passi. 

C'è un sentierino avvolto dagli alberi.

Nel sentierino c'è un vecchino, di quelli tipicamente canuti e ripiegati su se stessi. 

Passando, lo saluti. 

Lui ti saluta. 

Passi oltre.

Poi torni indietro. 

E il vecchietto è di nuovo lì, in tutta la sua splendente vecchiettitudine. 

Ad un certo punto, però, succede qualcosa che di vecchietto non ha nulla: lui ti sorride, ovviamente, perché vi eravate già salutati prima, e ti fa con una mano il gesto del rock, con mignolo, pollice e indice tesi. 

Lì, ti si scardina tutto il tuo stereotipo di vecchietto, visto come persona antica e lontana da te, uno che è sempre stato un vecchietto e se ne sta nel suo confine di vecchiettitudine senza farvi passi oltre. 

Lui no, lui ha messo il piede fuori dal limite, e, di colpo, lo hai VISTO. 

Lui non è IL vecchietto, lui è una persona, con la sua anima senz'età, dettata solo all'energia che racchiude. 

Lui è il giovane e il vecchio, l'adulto e il bambino. 

Lui non ti vede con occhi catarattici di vecchietto, ti vede con gli occhi. 

Punto. 

Tutto il resto sta nella testa.

La tua. 

martedì 6 ottobre 2020

Piste ciclabili nuove fiammanti ROSSE

Pedali sulla nuova fiammante pista ciclabile che sembra risolverti zigzaganti pericolanti tragitti in mezzo al traffico. 

Ti senti quasi onorato da cotanta attenzione per il ciclista urbano, anche detta "non so come spendere i fondi europei e quindi faccio piste ciclabili cittadine a iosa". Ma ti dici che va bene così. Te l'hanno fatta dove ti serviva.

Vedi un vecchio su una vecchia automobile fermo allo stop. Tu sei sulla tua strada lastricata di rosso, manco fossi una Dorothy contemporanea a cui hanno invertito i colori delle scarpette e del percorso. 

Tu lo guardi. 

Lui ti guarda. 

Lui è fermo.

Tu sfrecci.

Ecco, quando gli sei davanti, sempre fissandoti in piena faccia, parte. 

E' innegabile che il tuo fascino imbamboli la gente, ma potrebbe anche essere che il vecchio avanzi per qualche altro motivo. Magari vuole uccidere tutti i ciclisti perché con 'ste bip di piste ciclabili la sindaca ha rotto il bip, e quindi ti stava mirando come un arciere e tu eri troppo ottimista. Può anche essere che il vecchio sia semplicemente rimbecillito dall'età e dalla moglie che lampantemente gli sta riempiendo le orecchie di blabla. Oppure si è messo un monitor di un cellulare in ologramma nel parabrezza della macchina, ché si sa, ad una certa età bisogna avere la visione dei monitor in grande. 

In ogni caso ti viene addosso, con la macchina e tutto, qualunque sia il motivo, e  lo scontro di ferraglia contro ferraglia contro carne maciullata non dà importanza ai motivi ma solo agli effetti. 

In quel momento capisci perché le piste ciclabili le tingono in rosso. 

giovedì 13 febbraio 2020

Mangiare anime

Capita spesso di sentirsi dire dalla gente:

"Sono vegetariano, ma il pesce lo mangio". 

Addirittura hanno coniato il termine: pescetariano.

Ora, ci possono essere varie ragioni per cui uno è vegetariano, o pescetariano, ma spesso il motivo addotto è che è un vero peccato far del male ad animali come noi, che se noi non veniamo mangiati non si vede perché altri animali debbano esserlo.

[SE HAI FRETTA, SALTA QUESTO PARAGRAFO]
A volte, a questa obiezione, mi viene da chiedermi il contrario, cioè perché se gli altri animali vengono mangiati non possiamo esserlo pure noi. Non dico di andare a creare allevamenti di uomini al fine di nutrirsene, o di ammazzarli per assaggiarli, ma magari di risolvere diversamente il problema del deterioramento e smaltimento dei cadaveri (magari non morti di malattia ma ad esempio di incidenti). Diciamo che, per non inoltrarmi su un crinale delicato e passibile di polemiche quasi a livelli mondocricetiani, chiudo l'excursus sulle carni umane e torno all'argomento che indica il titolo.

[PUOI RIPRENDERE DA QUI]
"Non voglio nutrirmi di animali, poverini, anche loro hanno un'anima. Però il pesce me lo mangio".

Ora, il mio dubbio irrisolto è: perché il pesce sì?

Che male ha fatto la fauna ittica da essere decretata come mangiabile da pietosi esseri umani rispettosi di tutto il resto della fauna?

Un'altra osservazione è che se mi mangio una mucca, è vero che si tratta di un'anima, ma 'sto bovino mi dura almeno un anno, se proprio ci do dentro.
Insomma: un anno di carnivorità, un'anima accoppata.
Se mangio un guazzetto di cozze e vongole, faccio fuori un trenta-quaranta anime in dieci minuti.

Io, se proprio dovessi diventare vegetariana ma non troppo, mi mangerei massimo un'anima al cinquantennio.

Sarei balenotterazzurriana (con un enorme freezer).

giovedì 4 luglio 2019

Fa caldo

Ok, fa caldo.

Ok, la gente fa cose che se non facesse caldo forse non farebbe.

Cammini sbarellando e rimbalzi con il corpo sudato contro gente che sbarella anche lei, in un sonoro schiocco di sudori che collidono. Dopo la collisione nasce irrimediabilmente un litigio epocale, con grida in mezzo alla strada, perché la gente che ha caldo sbarella nel corpo e nella psiche.

I vecchi sbarellano in barella. Almeno collidono meno, anche perché la cartavetratura della loro pelle condita con il sudore acre del corpo vecchio potrebbe essere fatale a qualunque passante.

I sangui si rapprendono nei corpi, girano più lentamente, arrivano meno al cuore e al cervello, rallentano i riflessi e i movimenti.

Va bene.

Si può capire tutto.

Ma scambiare uno stop in curva per le strisce del parcheggio, ecco, quello no.

martedì 28 maggio 2019

Quelli che vogliono lavorare poco

Quando uno svolge un lavoro normale, quelle robe che ti prendono 40 o più ore a settimana, pensa che sia una vera merda lavorare così tanto, e passa il tempo a pianificare gli incastri di tutte le altre attività necessarie delle sue giornate.
Gli capita di pensare che, pur di fare la metà delle ore di lavoro, sarebbe disposto anche a spaccare pietre. Attività che gli farebbe credere che le 20 ore siano 200, ma perlomeno, una volta fuori, si approprierebbe della sua vita.
Il fatto è che, per appropriarsi della propria vita e permettersi di avere tantissimo tempo libero, servono dei presupposti che solo madre natura ci può dare. Bisogna essere o totalmente scemi, o illuminati quasi a livello Buddha. Tutti quelli che stanno nel mezzo, inclusi i supponenti che si credono dio, una volta ottenuto il loro tanto agognato tempo libero, che faranno? Si troveranno faccia a faccia con le loro vite, proprio come volevano. E vedranno che non ne hanno alcuna voglia.
Al che, la soluzione più rapida sarà cercarsi un bel lavoro a 40-45, anche 50 ore a settimana, possibilmente con un buon grado di stress, possibilmente con responsabilità, e se non si può avere quello, allora con tante cose da fare, tanta gente da criticare, tanti problemi inesistenti da creare per poi risolverli e sentirsi supponentemente dei.
E quando si va in pensione dopo una vita passata a lavorare come pazzi? Beh, di solito si tende a morire nel giro di un mesetto. O si prende la depressione. O si invecchia velocissimamente e poi si muore. Forse se uno è workaholic farebbe meglio a non andarci mai, in pensione. Cosa dire? Certo, la Fornero era una filantropa,non avevate mica capito.
Un tempo in cui lavoravo/studiavo sulle 80-90 ore a settimana, avevo letto in un libro, forse di Lorenzo Fisher, che, detto in parole povere, l'uomo si annoiava così ha inventato il lavoro.
"Ma che cavolo stai a dì, Fisher?" mi era subito sorto nella mente.
Ero giovane.

lunedì 4 febbraio 2019

Perché sono qui oggi? Beh.

Ero lì che correvo davanti a un parco recintato, e con la coda dell'occhio ho visto un tizio che si stava facendo un video-selfie con il cellulare, e diceva: "Perché sono qui oggi? Beh".
E interrompeva.
Poi riprendeva e ridiceva: "Perché sono qui oggi? Beh".
E di nuovo interrompeva.

Siccome quando uno corre passa veloce, sono passata veloce ed ero già quasi oltre, con una tentazione micidiale di fermarmi e dirgli: "Perché sei qui oggi?", ma sembrava brutto, perché in questa società virtual-social, uno sconosciuto che ti parla per strada sembra un pazzo, poi così, senza un perché. Insomma, il perché ci sarebbe anche stato, era sapere perché il tizio fosse lì quel giorno.
Ma allora tanto valeva chiederlo a tutti, anche alle vecchiette che si sistemano sempre sul cavalcavia nebulizzato di polvere di ferro originata dallo stridore di ruote di treni e rotaie, a due metri da macchine incolonnate ferme a motore acceso: ci sarei passata dopo poco,e le avrei viste lì, con tanto di paraocchi per prendere il sole e giornali da leggere (non si sa come, con il paraocchi), come se stessero in spiaggia ad agosto mentre invece sono in un posto trafficatissimo inquinatissimo grigissimo in mezzo a Torino.

E allora non ho chiesto a nessuno perché fosse lì quel giorno.

Poi sono tornata a casa e mi sono pentita amaramente.

Ché ho passato il resto del tempo a chiedermi cosa facesse lì quel tizio quel giorno.

Alle vecchiette, invece, potevo sempre chiedere un'altra volta.

giovedì 31 gennaio 2019

To fall

Sei in ambiente lavorativo che cazzeggi alla grande, in una pausa, e ti si avvicina una delle innumerevoli colleghe, una donna simpatica sulla cinquantina.
Non si sa come, né perché, vi mettete a parlare di cadute rovinose.
Lei inizia a raccontarti di quando, a 15 anni, d'estate, scendeva dal paesino in motorino perché aveva tutto un gruppo di amici con cui si vedevano, e in questo gruppo d'amici c'era anche il suo fidanzatino dell'epoca, e quindi, anche se odiava il motorino, lo usava tutti i giorni.
E tu immagini questo clima bucolico-campestre estivo, con il paesello sulla collinetta, e non sei più al lavoro ma lì, che sorvoli un paesaggio creato da te su suggestione altrui.
E vedi la collega giovane e spensierata, che si veste tutta perché ha freddo, non mette il casco perché ancora non è obbligatorio, e, tutta intirizzita, animata dall'adrenalina di vedere questo fidanzatino, si precipita sulle stradine terrose, si capotta in un campo di stoppe di meliga, che fanno ben male, tutte così puntute. Poi si alza, vede che nonostante tutto è solo bozzoluta pallida e tremolante ma non si è fatta nulla di definitivo, prende il motorino tutto scassato, e si avvia verso il fidanzatino perdendo pezzi per strada.

E in tutti questi discorsi e profusione di immaginazione idilliaca, ti sorge una domanda assurda:
"Ma il fidanzatino di allora è il marito con cui hai avuto una profusione di figli che ormai sono già all'Università?"

Ti dici che la domanda è assurda, che non può essere un idillio tale.

E poi lei ti dice "E ancora adesso lo racconto ai miei figli, che mi sono capottata in motorino in un campo di stoppe mentre mi precipitavo dal loro papà".

E allora realizzi che è davvero un idillio tale.

E che sì, si può.

sabato 26 gennaio 2019

Una madre meravigliosa

Ero in una specie di centro anziani che mangiavo un tiramisù e bevevo una Sprite in mezzo a un sacco di anziani odorosi di anzianità, assorti nel gioco delle carte, seduti a tavolini con le tovaglie di velluto verdi.

Ad un certo punto, un anziano meno anziano degli altri si è alzato in piedi. Ho notato i jeans con una stellina sul culo a indicare che era ggiovane, mentre tutti gli altri avevano i pantaloni di lana con le pince o di velluto.

Ha iniziato a declamare che sua madre è una grandissima donna, che gli è sempre stata vicina, e che quando morirà, lui spenderà buona parte dei suoi averi per comprarle la tomba che vuole, e che ogni giorno glielo dice, alla sua meravigliosa madre: "Pensa, mamma, alla tomba che vuoi. Sfoglia i cataloghi, non badare a spese, che io ti comprerò la tomba dei tuoi sogni, perché tu sei sempre stata tanto tanto brava con me".

Ho pensato che, ecco, non avrei voluto essere quella madre.

giovedì 8 marzo 2018

Elemento acqua

Quando sei in acqua, non è come quando sei nell'aria, che sembra una cosa che non c'è e invece c'è. 

L'acqua sembra una cosa che c'è, e infatti c'è. 

Il che implica che noi umani rileviamo un sacco di differenze rispetto all'aria. 
Innanzitutto ci bagniamo, il che ci porta a una maggior consapevolezza della sua esistenza, corredata da istinto canino  di asciugatura con scrollamento di tutta la nostra mole.

Quando ci immergiamo, ci sentiamo subito più compressi, più invischiati, più schiacciati, e al tempo stesso più inseriti in qualcosa che, a sua volta, è inserito nel mondo. 

Insomma, per proprietà transitiva, tutti gli immersi si sentono più inseriti nel mondo, in un empatico gorgoglio vicendevole. 

E' vero che non possono parlare tra di loro perché altrimenti si riempirebbero polmoni e stomaco d'acqua, né, se costantemente immersi, respirare, che è un'attività assai cara agli umani. 
E' anche vero che, se non sanno nuotare, rischiano di farsi avvolgere in modo definitivo dall'acqua, diventando elemento humus organico ma morto, attività assai meno cara agli umani rispetto al respirare. 
Ma chi ha detto che la Natura sia tanto amorevole nei confronti di noi umani?

Fatto sta ed è che, immersi in acqua, mentre il fluido ci trascina giù e ci rende più difficili i movimenti che nell'aria, al tempo stesso fa diventare le nostre braccia ali di albatros
Quello che ci stringe e ci costringe è lo stesso elemento che ci permette di fluttuare librandoci in tutte le direzioni, cosa che per aria ce la sogniamo, e di sentire il contatto con il tutto che ci tocca in ogni parte della nostra superficie. 

Quando del tutto fanno parte le pellicine e unghie affettatrici dei vecchietti incartapecoriti che si ostinano a fare dorso nella tua corsia in piscina, però, ti dici che le loro ali di albatros potrebbero anche tenersele all'aria, retrocesse a semplici braccia, e accontentarsi di camminare trascinandole come se fossero remi, e lasciando a chi sa farle le nuotate pindariche. 

domenica 26 novembre 2017

SUVvia, si passa


Mattina presto.
Freddo.
Brina sui tetti.
Nebbia grigia.
Asfalto grigio.
Muri delle case grigi.

Nella strada, un camion è parcheggiato a destra, un po' di sghimbescio, con le quattro frecce che lampeggiano. il varco che lascia al passaggio sarà di circa 3 metri.

C'è una colonna di macchine ferme prima del camion.
La prima della fila è un SUV nero.
La larghezza dei SUV più larghi sul mercato si aggira intorno ai 2 metri.
L'autista del SUV suona ripetutamente il clacson.
Il proprietario del camion indica che lo spazio per passare c'è.
L'autista del SUV, in tutta risposta, suona.
Probabilmente, il camionista parla italiano, l'autista del SUV in clacsoniano.
Sono due lingue diverse.
Non si capiscono.

E' evidente a tutti i presenti che il SUV potrebbe passare tranquillamente, avanzando altri 50 cm a sinistra e 50 a destra. A tutti meno all'autista del SUV, di cui manterremo pariteticamente ignoto il sesso, onde non peccare di nessun tipo di pregiudizio.

Non ci sarebbero motivi di scontro, né di discussione, né di litigio.

ma l'autista del SUV appartiene alla categoria "autisti del SUV".
(Forse la desessualizzazione non è sufficiente a risparmiare a questo post interpretazioni pregiudizievoli, ma in questo caso non si tratta di pre, ma di post-giudizio).

Il camionista apre la porta del SUV e fa scendere l'autista tirandolo per la maglia.
L'autista rimane sprovvisto del clacson.
Non può raggiungerlo nemmeno con operazioni di stretching estremo.
Il camionista cerca di parlargli in italiano, ma l'autista del SUV, staccato dal suo clacson, è come una persona qualsiasi privata del suo smartphone.

Alla fine il camionista molla la presa.
Sale sul camion.
Lo sposta in un cortile per lasciar passare l'autista del SUV.

Il SUV si mette in moto.
Passa, facendo la fiancata del pandino bianco parcheggiato a destra.
Al destino non si può sfuggire.
Lo sanno anche gli autisti di SUV.

domenica 9 luglio 2017

Fortuna sicura

Ero lì in piedi in mezzo alla movida, quando mi si è avvicinato un tizio che conoscevo. Era accompagnato da un altro tizio che si è presentato con nome e cognome, e questo tizio aveva un non so che di noto. Poi mi è venuto in mente che assomigliava ad Ascanio Celestini, che non è che mi sia proprio familiare, ma comunque l'ho già ripetutamente visto durante i suoi spettacoli.

Il tizio, per la somiglianza fisica a Celestini, mi ha incuriosita, e forse anche io ho incuriosito lui perché avevo un atteggiamento da fan, infatti mi ha anche detto di cercare il suo nome e cognome su youtube, dove c'era solo un video in cui stonava una canzone da balera in una balera.

Il tizio aveva appesa al collo quella che sembrava una pietra a forma di 1.
Ha notato che la guardavo e ha attaccato a dire che quella era la sua pietra feticcio, che l'aveva trovata in una spiaggia in Liguria e l'aveva subito colpito, e infatti era andato a casa e l'aveva pesata, e il peso indovina un po' quanto era?
Avevo sollevato il pendente, che sembrava leggerissimo, avevo azzardato un 3,33333 grammi, e lui mi aveva detto, sì, certamente, 33,33333 grammi, pazzesco, era destino che io la trovassi, era destino che mi cambiasse la vita.
Ma che strano, a me sembra molto più leggera, avevo constatato.
Beh, me certo, vorrai mica che vada in giro con qualcosa di così prezioso appeso al collo?! Ho fatto un calco in gesso.
Ah, beh, allora soppesarla era del tutto inutile, avevo pensato.
Mamma mia, e l'originale? avevo chiesto.
Lui si era scaldato tutto, aveva iniziato a raccontare del suo giro per banche alla ricerca di una cassetta di sicurezza che meritasse.
Mi è venuto spontaneo chiedere cosa fosse mai successo dal ritrovamento della pietra in poi.
Lui aveva risposto che all'inizio niente di particolare, dopo un po' una cosa bellissima che poi era diventata brutta.
Insomma, un po' come succede spesso nella vita, no?
E allora a che serve il monile?
Lui è diventato perplesso.
Ha detto che magari non aveva funzionato perché l'originale era in cassetta di sicurezza.
Ma mai e poi mai avrebbe corso il rischio di tenerlo appeso al collo ed esporlo a possibili furti.
Meglio tenere la fortuna in cassetta di sicurezza, ben lontana da occhi indiscreti.

giovedì 4 maggio 2017

Sovrastrutturare l'insovrastrutturabile

L'altro giorno discorrevo di obiettivi.

Il mio rapporto con i suddetti ha subito un'evoluzione con andamento votato al crollo verticale senza paracadute e con un'incudine di marmo appesa alle caviglie.

Parlandone, ho capito perché.

Semplice, gli obiettivi devono dipendere solo ed esclusivamente da TE.

Secondo l'interlocutore, non si poteva nemmeno definire obiettivo qualcosa che dipendesse da fattori esterni. Io avanzavo questioni tipo eventi imprevedibili che possono succedere anche a te, tipo malattie cambiamenti radicali di personalità nuove convinzioni che non si erano mai sfiorate prima, e ogni volta era pronta una nuova confutazione per convalidare la teoria che definiremo dell'obiettivo autarchico.

Ho riflettuto sul fatto che da un po' di tempo la mia vita è basata su obiettivi in buona parte indipendenti dalla mia volontà o azione. A dire il vero, ciò mi è sempre sembrato di immane fighitudine. Mi è stato detto che fare così crea frustrazione. Ma tutto sommato cosa c'è di meglio che un po' di sani frustrazione e addoloramento per l'incompiutezza dei propri obiettivi (in realtà da definirsi propositi) per scrivere post ispirati e sofferti e romantici nel senso letterario del termine?

Si è poi passati a esempi concreti.

Il tipico obiettivo-non-obiettivo è "voglio trovare il/la compagno/a della mia vita".
Ma come si fa a porsi un obiettivo così stupido?
Non è un obiettivo, è un proposito, e, che lo si chiami in un modo o nell'altro, creerà con ogni probabilità una grandissima frustrazione. Perché non dipende solo da noi, ma da cose e persone del tutto incontrollabili.

L'idea è che, però, si possano fissare degli obiettivi propedeutici al raggiungimento del proposito suddetto.

Uno di questi è: curarsi, lavarsi, vestirsi bene, fare sport e curare l'alimentazione per essere in forma fisica, nutrire la mente per poter sostenere brillanti conversazioni. Ciò, per aumentare le chance di trovare...

Ecco.

Di trovare?

Di trovare cosa?

Se uno/a è Mr o Miss Perfect, quante persone troverà?
Sei figo, hai la casa figa, hai il lavoro figo, conversi figamente, hai la macchina figa, la bici figa, gli sci fighi, fai figamente sport, hai un fisico figo, hai perfino lo spazzolino da denti figo.
Trovi un casino di gente e mezzo.
Se trovi un casino di gente e mezzo che vuole stare con te perché hai tutto figo, come farai a capire se tutta questa ressa che ti sgomita davanti manco fossi il negozio della Apple il primo giorno di vendita del nuovo Iphone è lì perché ti ama o perché hai tutte quelle fighitudini?
Non ti troverai forse anche tu come il bimbo che contempla la vetrina della gelateria con 28789372422 gusti e impiega così tanto tempo anche solo a osservarli tutti che magari prima di arrivare all'ultimo è già un vecchietto canuto stanco sdentato e con il diabete, ragion per cui se ne va senza ultimare l'acquisto?
E poi, tu sei veramente quella roba figa lì, oppure hai solo raggiunto un obiettivo che ti eri fissato, allo scopo di trovare UN/UNA compagna?
Metti che ne scegli uno/a in mezzo al marasma. Come capirai che è quello/a giusta?
E come farai a sapere se tu sei giusto anche solo per te stesso, figurarsi per qualcun altro, così orientato agli obiettivi da non aver nemmeno più il tempo di ascoltarti?

Se sei uno che ama le case fighe, è figo che tu ti faccia la casa figa.
Se sei uno che ama i lavori fighi, è figo che tu ti procacci il lavoro figo.
Se sei un amante delle parole e dello scambio con gli altri, è figo che tu conversi figamente.
Se ti piacciono i motori e l'estetica meccanica, è figo che tu ti compri la macchina figa.
Se sei fissato che il ciclismo, è figo che tu abbia la bici figa.
Se sei appassionato di sport invernali, è figo che tu abbia gli sci fighi.
Se ami lo sport, è figo che tu faccia figamente sport.
Se sei come sopra e/o abbastanza edonista, è figo che tu abbia un fisico figo.
Se sei un maniaco compulsivo perfezionista fin nei minimi dettagli, è figo chetu abbia perfino lo spazzolino da denti figo.

In questo modo, tutta questa fighitudine, o solo parte di essa, non sarà più quello che ti sei posto come obiettivo, ma sarà quello che sei.
E se, ad esempio, sei uno che per natura è tendente al grasso, che manco se si stabilisce in palestra gli si definiscono i muscoli sotto i rotolini adiposi, va bene così. Sei fatto così.
Idem se sei uno che come massima lettura nella vita fa quella del gas, e già gli viene difficile.
Se si vede chi sei da fuori, e se ti rispecchi in quello che sei, c'è più probabilità che chi ti vede ti riconosca e dica ah perdindirindina, è lui.
Magari non sarai così figo, non potrai scegliere UN compagno tra una miriade, ma avrai più chance di trovare di trovare IL compagno. Già solo per il fatto che sarai riconosciuto per quello che sei, senza che tu sia armaturizzato in così tante sovrastrutture da essere diventato invisibile a te a agli altri.

Certo, LUI deve proprio passare di lì.

Questa è un'altra storia.

Lì ci vuole culo.

E per il culo non c'è obiettivo che tenga.

mercoledì 22 marzo 2017

Il valzer degli sterzi

 Arrivo in automobile nei dintorni di casa mia con la solita, strisciante, inquietante sensazione di girone dell'inferno per peccatori di troppo automobilismo. Un demone su una sporgenza immaginaria dell'immaginario inferno della mia mente ridacchia di me e mi dice: "Sentiti colpevole perché non hai fatto il car sharing, e non hai nemmeno aderito a quello fantasticissimo di macchine elettriche che ha GIUSTAMENTE occupato due interi, lunghissimi lati di due, intere lunghissime strade dove prima cupidamente occhieggiavi per trovare un pertugio sufficiente anche solo per incastrarti paraurti davanti contro auto davanti e paraurti dietro contro auto dietro". Un altro diavolo sorvola il tuo immaginario, fastidioso come un arbre magique ondulantemente appeso allo specchietto retrovisore: "Pentiti di esserti fatta passare dai tuoi genitori questa macchina cubettosa ingombrante inquinante, addirittura a benzina, che beve come un alcolista e non si incastra da nessuna parte, vergognosa!"

In questo stato di diabolica invasione del mio rarissimo momento automobilistico, occhieggio a più non posso nella speranza di trovare un parcheggio al più presto, scendere, dimenticare che ho a disposizione un'automobile fino alla prossima pioggia o trasporto eccezionale.

Miraggio nel deserto causato dai sulfurei effluvi dei miei molteplici diavoletti saltellanti, vedo uno spazio libero, in una zona relativamente vicina a casa, ma, come nei peggiori inferni, ecco un cubetto di auto rosso, delle dimensioni del mio, che cerca di infilarcisi. La manovra che sta effettuando mi induce a fermarmi un po' in disparte ad osservare. C'è un certa traccia di inesperienza in tutto quel girare il volante. E soprattutto, la traccia più importante, quella di parcheggiamento non ha alcun senso logico. Mi godo il valzer dello sterzo per dieci minuti buoni, ormai sicura che terminerà con una disfatta. Quando le mie previsioni si verificano, prendo io il posto, riconoscendo che è un po' giusto e facendo pure io due o tre manovre in più dell'immaginato.

Quando scendo, mi avvio verso casa e vedo il cubetto rosso che cerca di infilarsi in un parcheggio ancora più lungo del precedente, quasi sotto casa mia. Mi viene la tentazione di aspettare ancora e poi beccarmi quello. Osservo quasi divertita la signora sulla sessantina, capelli corti bigodinati imbrigliati in una trappola di lacca, agitarsi nell'abitacolo. Immagino la pezzatura delle ascelle farsi così inondante da raggiungere quasi il cappotto di lana cotta, anche lui rosso, come le sue guance rubizze, a fare pendant con il mezzo.

Nella foga, la signora non si è accorta che si è liberato un altro parcheggio, proprio sotto casa mia, di quelli dove non serve nemmeno fare manovra perché attigui al passo carraio del portone.
La mia emozione è troppo grande, non posso perdere l'opportunità di un parcheggio sotto casa.
Corro all'incrocio tra la mia via e la via dove intravvedo, a circa 300 m, la mia auto.
Osservo a fondo il fondo della mia strada, immaginando tutte le possibili combinazioni di auto in ricerca di parcheggio. Le sorveglio arrivare, tremo all'idea che occupino il posto da me ambito, ma non accade. Quando non c'è segno di anima viva fin dove lo sguardo può arrivare, mi lancio in una frenetica corsa verso la mia auto, la scastro con cinque o sei manovre rimbalzanti di paraurti in paraurti come solo una completa donna può fare, mi precipito ai 100 all'ora nella mia strada, a momenti colpisco il bidoncino rosso che ancora manovra con direzioni imprecise e aleatorie, e mi infilo nel miglior parcheggio pensabile, quello dove mi sarei piazzata anche se la via fosse stata deserta.
Scendo, infilo la chiave nel portone, do un'occhiata alla signora. I rivoli del suo sudore dovrebbero ormai raggiungere il tombino lungo il marciapiedi.
Salgo in casa, mi faccio una doccia, mi vesto, scendo a buttare la pattumiera.
Il cubetto rosso è ancora lì, la signora ancora sopra.
Mi viene da pensare che tra poco dovrò andare a comprarle una tanica di carburante per il refill.

Risalgo, chiamo un po' di gente, trovo qualcuno per andare a fare un giro, esco di casa.
Il parcheggio è ancora lì, libero.
La macchina è ancora lì, in mezzo alla strada di traverso.
La signora non c'è più.
O si è liquefatta, o ha deciso che aveva già raggiunto il livello di parcheggio migliore possibile per lei.

venerdì 24 febbraio 2017

Quelli che non sanno andare in bici...e ci vanno


Sono loro quando...
  • sembra che da quando sono saliti sulla bici si sia creata una scocca unica monoblocco composta da loro e dal mezzo, senza alcuna possibilità di rotazione del collo, nemmeno di mezzo grado. Si buttano nelle strade senza girarsi, concentrati solo sul vano tentativo di assumere un'andatura rettilinea;
  • hanno paura di andare in strada, quindi, quando ci si ritrovano, traballano tutti nel tentativo di stare in equilibrio tra automobili e rotaie del tram, finendo irrimediabilmente contro una delle prime o dentro una delle seconde o entrambe prima di guadagnare qualche porto sicuro;
  • ritengono che il porto sicuro da guadagnare sia il marciapiedi, dove si avventurano incuranti della sua popolazione. Sta scendendo ad una fermata un tetris tridimensionale di persone prima perfettamente incastonate a riempire ogni interstizio di un autobus di quelli snodabili serpentei? Loro vi si infilano dal marciapiedi proprio quando c'è da infilarsi lì in mezzo. Dato che sono piuttosto instabili, si prodigheranno in numeri da circo, tipo quello di strappare tasche infilandoci i manubri;
  • indossano il casco, spesso appoggiato con leggerezza estrema sui capelli, soprattutto se sono donne che non devono rovinarsi la piega, quasi sempre con il laccetto slacciato, e se è allacciato basterà colpirli sulla fronte col palmo aperto della mano, anche debolmente, per farlo scivolare all'indietro senza nessuno sforzo;
  • hanno la rara abilità di riuscire sempre e comunque a imboccare ogni strada in senso contrario. Se lo farete notare loro, esploderanno in attacchi d'ira, che si manifesteranno con atti quali spaccarvi lo specchietto della macchina con un pugno o chiamare la polizia (evitando lo sforzo a voi), il tutto con una colonna sonora di impronunciabili vezzeggiativi.
  • ondeggiano pericolosamente ovunque vadano, incavolandosi con chiunque si pari sulla loro strada, che abbia la precedenza o meno, e appellandolo i soliti vezzeggiativi. Lo fanno anche quando vi tagliano impunemente la strada provocandovi cadute da qualsiasi mezzo più piccolo del loro voi stiate guidando, o omicidi colposi se state conducendo veicoli più grandi. 
Quando li vedete, chiudeteli se siete in macchina, spintonateli se siete a piedi, speronateli se siete in bici con lo scassone, spingeteli abilmente nella direzione opposta alla vostra se siete con la bici figa, ma fatelo tempestivamente, prima che possano nuocere gravemente alla vostra salute, perché se non lo fate voi, lo faranno loro. 

Anche se succedesse qualcosa di apparentemente brutto, in tribunale sarete scagionati per legittima difesa: non temete nemmeno il famigerato eccesso colposo di legittima difesa.  

Non è cattiveria.

mercoledì 1 febbraio 2017

Previsioni rasenti


Quando uno è lì che sta attraversando la strada e all'improvviso arriva una bicicletta sfrecciante, qual è il primo istinto che gli viene?
Fermarsi.
O peggio, fare un passo indietro.

Niente di più irrazionale.

Quello che va fatto è continuare a muoversi con moto rettilineo uniforme.

Perché?
Perché, se il pedalatore non è ritardato, o distratto dalla vita o dal cellulare o da entrambi, (quindi, effettivamente, una buona fetta di pedalatori viene eliminata dalla casistica), e arriva sfrecciando, non ha intenzione di scontrarsi con il pedone, anche perché non è come avere un mezzo pesante, che lo schiacci e non ti accorgi nemmeno, pensi "Toh, ho schiacciato un piccione", e senti quel fastidioso scricchiolio di ossa rotte per un po', ma poi passa. Se sei in bici rischi di farti male pure tu, e poi è più difficile scappare, e in più saresti sicuro che non si tratti di un piccione, insomma, non conviene.
Il pedalatore che sfreccia, quindi, prevede che il pedone attraversi, e, con maestria, decide di passare immediatamente dietro o immediatamente davanti al pedone. Se è prudente passa dietro. Così non rischia di calcolare male la velocità di avanzamento. Un po' più indietro se è un principiante, raso raso se è uno che ne sa e pedala da anni anni e anni.
Questo significa che se il pedone si ferma o fa un passo indietro, il pedalatore lo investe di brutto.

E se il pedone sta per partire con il segnale di attraversamento verde?
Lì il rischio di essere investito è quasi pari a zero.
Se un pedalatore di livello avanzato passa con il rosso e a lui pare che stia per investirlo, è una sua illusione. E' un'impressione data dal fatto che è afflitto dal flagello dello spazio della paura della paura. Il ciclista inesperto di solito si ferma, quello esperto sa prevedere il moto rettilineo uniforme.
Il secondo fa incetta di una notevole quantità di insulti. Gratuiti. Tanto per dare sfogo allo stress da vita in città.
Poi c'è anche la vecchina incazzosa con l'ombrello che fa un balzo in avanti che mancGalina Čistjakova per picchiare il pedalatore, e in quel caso pazienza, sono cose che capitano, e poi le ossa delle vecchine si sbriciolano facilmente anche con le ruote della bici: si chiudono gli occhi e si pensa ai piccioni. 

(in foto: souvenir berlinese mai consegnato al destinatario)

sabato 3 dicembre 2016

Chi porta


Stavo correndo al parco, lungo il Po, sul fango calpestato, quando ho visto venirmi incontro in lontananza un vecchio che spingeva qualcosa.
Mi sono detta ma pensa te, un vecchio che cammina qui sul limo facendosi sostenere dal girello.
Avvicinandomi ho notato che il girello non era un girello, ma una specie di passeggino, apparentemente vuoto.
Va beh, per non fare il vecchio che si fa portare dal girello, fa il vecchio che si fa portare dal passeggino. Del resto la vita è un circolo, polvere eravamo e polvere torneremo, passeggino abbiamo usato e passeggino useremo.
Avvicinandomi ancor di più ho visto che nel passeggino c'era un cagnino piccolo piccolo, bianco, seduto. Sarà stato vecchio? Sarà stato impedito da qualche problematica fisica? Il veterinario avrà detto che comunque gli avrebbe fatto bene andare al parco, ma non camminare?

La cosa evidente è che
credevo che il vecchio si facesse portare
invece portava.
Credevo che avesse bisogno di cure
e invece si prendeva cura.

Chi supporta chi, a volte, è difficile capirlo.