LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.
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giovedì 20 giugno 2024

Il non-latte al gusto di latte sugli scaffali corti della Esselunga

Uno si aggira per i lineari della Esselunga, che già di per loro sono minacciosi, e non si rende conto nemmeno del perché. Probabilmente perché la merce è tutta allineata in un modo completamente diverso rispetto a tutti gli altri supermercati. In quasi tutta la GDO, si vede un prodotto e gli altri esemplari sono incolonnati dietro al primo. In questo, invece, il lineare è poco profondo e molto largo, e i prodotti sono quasi tutti in vista, uno la replica dell'altro, come tanti gemelli omozigoti o cloni pronti ad avviluppare abbindolosamente il cliente che si aggira nei labirinti delle menti di chi ne ha concepito la disposizione. 

L'aggirarsi è legato alla ricerca del latte di avena, tanto apprezzato per il suo gusto di avena. 

Dato che in un supermercato come la Esselunga, con i lineari poco profondi, si creano dei percorsi lunghissimi, in cui si è bombardati non da tutta la gamma di prodotti, ma proprio da TUTTI i prodotti, in preda a un senso di vertigine da overdose commerciale, uno fatica tantissimo a trovare i latti. Che poi sono solo di mucca. Quelli vegetali sono altrove, in un'altra sfilza di cloni. Nell'ipnotico peregrinare sotto gli effetti psichedelici del marketing, uno incappa in 45 esemplari, tutti ugualmente in vista, di questo:
In preda a un frustrato sconforto, gira la confezione e legge:
Nel delirium tremens da Esselunga, gli basta la scritta AVENA. Non può ricorrere a Yuka, perché ha in una mano il cestino e nell'altra il bombardatore con cui scannerizza comodamente la merce senza dover poi passare in cassa. 

Tornato a casa, apre la confezione, con le ghiandole salivari tutte festanti all'idea di gustare il sapore dell'avena. Ecco. No. Il sapore è uguale a quello del latte. Ma proprio uguale. E dire che a uno il latte non è mai piaciuto. Fosse intollerante, ok. Ma proprio a lui non piace il gusto del latte. 
Poi guarda meglio gli ingredienti:
Oltre all'avena, lì dentro c'è di tutto: anche la cicoria e i piselli. Pure i fosfati di potassio, pieni di fosforo, che se già c'è nei dentifrici c'è scritto di sputare bene tutto, perché se si assume in eccesso può compromettere la mineralizzazione delle ossa, danneggiare i reni, aumentare il rischio di malattie cardiovascolari e cancro al seno. Poi c'è un bell'aroma artificiale, probabilmente al gusto di latte. Tutte cose che nel latte vero e in quello normale di avena non ci sono.  
L'aspetto divertente è che c'è pure scritto "FONTE DI CALCIO", sia davanti, in grosso, sia dietro, in neretto (oltre che vitamina D2): c'è calcio in aggiunta, con dubbia utilità antagonista rispetto al fosfato, scritto tra gli ingredienti come se fosse innocuo: del resto, conta solo quello che è urlato e sbandierato. 

Insomma, per rendere latte simile al vero il latte finto, si mettono insieme un sacco di schifezze.

Uno, amareggiato, beve lo stesso il non-latte al gusto di latte, che si deposita come un mattone sul suo stomaco: non è intollerante al lattosio. Lo è alla stupidità.

venerdì 3 febbraio 2017

La dieta perfetta


Quando uno ingrassa, la prima cosa a cui pensa è la dieta.

Se non ha disfunzioni, e per lungo tempo è stato in forma senza grandi sforzi, è ingrassato proprio perché ha mangiato più del normale, e se ha mangiato più del normale è perché ha dei problemi psicologici o sociali  o insiti nella sua natura, tipo che è triste, depresso o per lavoro deve ammazzarsi di pranzi e cene al ristorante o è invecchiato e gli è rallentato il metabolismo. E queste cose si cambiano con altro, a parte l'ultima, che è l'unica a giustificare non una dieta, ma un cambiamento del proprio regime alimentare, cosa che tra l'altro, se non ci fossimo coperti l'istinto con una pluristratificazione di sovrastrutture sociali, accadrebbe naturalmente.

Certo, se si insiste perché la dieta diventi il primo dei pensieri, curando i sintomi e non le cause del nostro essere diventati sferici, o qualcosa che di molto si avvicina alla sfera, con aggiunta di bitorzoli vari dovuto all'irregolarità dei depositi di adipe, si inizia a pensare a come fare.

Se si ha cibo in casa e si è diventati grassi per  tristezza, la prima cosa che si deve fare è buttarlo tutto in un cassonetto o, meglio, su un barbone, che si incavolerà tantissimo. Si potranno escludere tutti i non-comfort-food. Finocchi, carote, sedano possono rimanere.

Poi, ci si dovrà ammalare rovinosamente, di una malattia fastidiosissima, possibilmente allargata anche all'ambito intestinale, che costringerà a letto e farà venire una sensazione di disperazione acuta al sol pensiero di appoggiare piede a terra o allontanarsi dal piumone.
La malattia dovrà avere una convalescenza lunghissima, sempre caratterizzata dal terrore di uscire di casa, se non di scendere dal giaciglio notturno, e, per quel periodo, anche diurno.
Dovrà avere, altresì, carattere amnesico.

In questo modo, quando si guarirà dalla suddetta, una volta recuperato il disagio delle piaghe da decubito e riacquisito il controllo del proprio corpo conseguentemente a fisioterapia intensiva, si potrà inventare una nuova vita, avendo debellato, oltre alla grassezza (sintomi), pure le cause (tristezza, noia, stress, troppi pasti di lavoro, ...vecchiaia no, quella non rientra, tocca tenersela).

lunedì 21 marzo 2016

Raggiante leggerezza


Ti fai un bel giretto in bici, di quelli che ti risucchiano i pensieri centripeti tra i raggi in qualche endorfinico modo, per poi rilanciarteli in testa centrifughi e alleggeriti.
Sei lì che pedali, e ad ogni pedalata ti senti più sorvolatore, tanto che, nella temporanea leggerezza, ti viene fame.
Ti fermi in un ristorante trattoria in un paesino in cima a un collinare cucuzzolo immerso nel blu del cielo della prima primavera.
Entri e ti siedi.

Il gestore inizia a osservarti insistentemente, tanto che pensi di aver beccato un alveare in testa mentre pedalavi.
Poi vai in bagno e ti placca, bloccandoti tra la porta della toilette e quella che dà sulla sala.
- Tu sei stata qui tanto tempo fa -
 Ti chiedi dove voglia parare.
- Tu sei stata qui tre anni fa con un coupon di bollito. Ci hai recensiti su Tripadvisor. Mi ricordo bene di te -
Ti penti di aver messo su Tripadvisor, in tempi remoti e innocentemente incoscienti, la tua faccia nel profilo di Tripadvisor.
Sei totalmente immemore della tua recensione, assorbita dai raggi in tutti i giri che hanno fatto su queste colline negli ultimi quattro anni.
- Ora mangi e poi mi rifai la recensione -
Rispondi che non c'è problema, che sei già venuto tante volte a mangiare qui senza coupon, e che hai sempre preso l'ottimo fritto misto e mai il bollito.
- Adesso vado a prendere il tablet e ti faccio leggere la tua recensione -
Ringrazi di aver cambiato immagine e nome nel frattempo.

Fortunatamente, il tuo interlocutore cede dopo vana ricerca.

Tu, invece, non cedi.
La trovi.
La leggi, prima di pranzare.
Scorri velocemente:
"tortellini comprati sicuramente al discount in pacchi da 10 kg"
Ti senti un po' stronzo.
"il fritto misto dolce ci è stato fatto pagare 12 €"
E intanto pensi: "Ma come mai invece quello completo lo pago 14 €? Ma pensa te che stronzi pure loro!"
"il dolce era di rara cattiveria"
E qui inizi a sprofondare sulla sedia mentre ti apparecchiano il tavolo.
"locale squallidissimo, con linoleum di finto legno incollato su pareti e soffitto"
Ok, strisci radente al linoleum incollato al suolo verso la via di fuga della porta d'uscita. 

Quando scriverai la recensione, dirai che oggi il fritto misto è stato particolarmente leggero.
Come non averlo mangiato.
Quattro palle per la leggerezza.
Ma il linoleum rimane brutto: "locale squallidissimo, con linoleum di finto legno incollato su pareti e soffitto e pavimento".

martedì 15 aprile 2014

Gusti gelattici


Uno è sempre lì che cerca, nei gelati, la qualità suprema, l'assenza di grassi vegetali, mono e digliceridi degli acidi grassi, la presenza di ingredienti sani e genuini, naturali.
Uno è sempre lì che cerca, nei gelati, la buona esecuzione. Il gelato migliore è quello al pozzetto, che richiedere una totale freschezza, una costante rimescolata, un cambio dei posti dei pozzetti, insomma tutt'un'arte continua che permetta al gelato di essere ottimo.

Uno, essendo sempre lì a cercare, alla fine trova.
Trova il gelato naturale.
Trova il gelato senza additivi malsani.
Trova il gelato fatto a regola d'arte al pozzetto.

E quando ha trovato uno cosa fa?
Primo, usufruisce.
Secondo, consiglia.

Il fatto è che uno crede che tutti siano come lui. Invece c'è lui e ci sono gli altri, tutti diversi, alcuni simili a lui, altri dissimilissimi.

E così, portando un'intera scolaresca a prendere il gelato naturale, senza additivi malsani, fatto a regola d'arte al pozzetto, con pochi gusti continuamente rinnovati e anche innovativi, cosa si sente domandare?

1) PROF, IO VOGLIO TANTISSIMI GUSTI COLORATISSIMI.
2) PROF, QUESTI NASCONDONO I GELATI. IO DICO CHE E' CATTIVO SEGNO, CHE SONO CATTIVI. VOGLIO ANDARE DOVE SI VEDONO.

E' lì che uno getta la spugna e capisce che se vorrà smettere di fare il precario e vorrà aprire una gelateria, sarà il caso di munirsi di bustine,  preparati e di un largo frigo pieno di vaschette non al pozzetto. Tanto per non ritrovarsi povero in canna a lavorare tantissimo per servire pochi, sfigati prof precari sempre alla ricerca di qualcosa che interessa solo a loro.

mercoledì 15 maggio 2013

Tarallucci (e vino)

Quando ero all'Università avevo seguito un corso di marketing in cui avevano detto che se c'è già una ditta che produce un prodotto con un dato nome, non è carino che un'altra ditta produca un prodotto simile con lo stesso nome, anzi è proprio brutto, anzi, se la prima ditta aveva drevettato il marchio è terribile.
Il fatto è che se la ditta non ha brevettato il nome, non è poi così terribile, nel senso che uno può tranquillamente usare quel nome senza incorrere in tremende conseguenze.

Sempre nell'ambito dei brevetti, però, è possibile copiare un nome quando non ci sia nessun collegamento possibile tra i due prodotti. Per esempio, il nome Ferrari è attribuito sia a un'automobile che a uno spumante. Non si può facilmente confondere lo spumante con un'automobile, a meno che non si sia bevuto così tanto del primo da salirci sopra e (cercare di ) partire sgommando.

Se non ci fosse brevetto, invece, mi sa che uno potrebbe fabbricare una macchinetta del cavolo, di quelle che se sbatti contro un gradino si accartocciano tutte su se stesse, e chiamarla Ferrari.
Questa cosa mi sembra brutta.
Perlomeno mi appare ingannevole.

 L'altro giorno ero lì che mi mangiavo i Tarallucci del Mulino Bianco, e pensavo all'espressione tipicamente italica del finire le discussioni a tarallucci e vino. Pensavo che schifo i Tarallucci nel vino. E invece no, i tarallucci veri sono delle specie di craeckers spessi arrotolati a mo' di torcetto. Che comunque rientrano sempre nell'ambito delle cose asciutte farinose, come i Tarallucci del Mulino bianco. Ma come è venuto in mente alla Barilla di chiamare i Tarallucci Tarallucci, come i craeckerini torcettosi? E' come se si facesse una casa intelligente di ultima generazione e la si chiamasse Stamberga. Come se un cosciotto d'agnello al forno si chiamasse abbacchio e una salsiccia di maiale ai ferri si chiamasse abbacchio pure lei, magari con la A maiuscola.
E così mi è passata la voglia di mangiare i Tarallucci, che mi è parso un nome troppo copiato da una cosa che c'entra non abbastanza per avere lo stesso nome ma abbastanza da far trovare assurdo che nell'ambito dei biscotti, salati o dolci che siano, ce ne siano due con lo stesso nome.

lunedì 11 febbraio 2013

Latteo

Il latte è una roba bianca che se la bevi ha un gusto di mucca erba prati e pascoli più o meno remoto a seconda del livello di scrematura.
Una roba che ha dentro il calcio, non quello di Mediaset Premium, ma quello che ti tiene insieme le ossa quando sei menopausata.
La cosa pazzesca è che più sembra acqua, più calcio ha dentro.
Togli il grasso, il posto prima occupato dal grasso si riempie di tutte le altre parti che compongono il liquido, anche di calcio.
Quindi il latte parzialmente scremato ha più calcio che quello intero, quello scremato più di quello parzialmente scremato.
Già questo è semplice se ci si pensa, ma molta gente immagina che sia il latte intero quello più calcistico.
La cosa veramente incredibile è però che il latte non è tutto uguale.
Ultimamente sui cartoni del Carrefour ci sono il bollino di una famiglia e uno slogan:
 
Su quello intero c'è scritto GRASSO MINIMO 3,5%, il che significa che potrebbe averne molto di più. Non è come quel latte appena uscito dalla mammella della mucca, che se lo guardi bene ha pallini di grasso giallognoli galleggianti, ma quasi. I suoi pallini di grasso sono invisibili agli occhi ma non al cuore. E' il tipico latte avente come target le nonnine scampate alla guerra, che cercano la SOSTANZA. Non si curano del fatto che tutti questi pallini andranno a otturare le loro arterie. Ciò diminuirà il denaro che i loro successori verseranno alla casa di riposo in cui le rinchiuderanno non appena i suddetti pallini le renderanno abbastanza arteriosclerotiche da non essere più capaci di intendere e di volere, e/o non appena le loro ossa saranno cosi osteoporotiche e prive di calcio da impedire loro anche di fare di NO con la testa alla proposta dell'ospizio.
Per far gola e puntare tutto sulla SOSTANZA, i geni del marketing hanno scritto "PER UNA COLAZIONE NUTRIENTE". 


Ci sono poi i latti parzialmente scremato e totalmente scremato. Il primo ha MASSIMO l'1,8 % di grasso, il secondo proprio non ce l'ha. Notate il cambio di target: prima era il minimo di grasso per la nonnina ingolfata dalla sostanza adiposa, ora è il massimo per chi tiene alla linea. 
Ma la cosa incredibile è che sul bollino c'è scritto "PER UNA BUONA COLAZIONE".
Su entrambi.
Se ancora il latte parzialmente scremato può essere buono, avete mai provato ad assaggiare quello totalmente scremato? Ecco, assaggiatelo, e poi venitemi a dire se i geni del marketing del Carrefour non hanno perpetrato una truffa legalizzata scrivendoci su il termine "BUONA".

mercoledì 30 gennaio 2013

Occhi a merenda

Se c'è un cibo che inspiegabilmente esercita su di me una forza attrattiva inversamente proporzionale a quella repulsiva che esercita su quasi tutti gli esseri umani della cività perlomeno occidentale, è l'occhio.
E' bellissimo cavarlo dall'orbita del pesce o del coniglio, togliergli quella poltiglietta trasperente gelatinosa da intorno per ricavarne la perfetta, sferica, liscia pallina bianca che cede sotto il morso ma rimane pur sempre al dente. Il gusto è solo uno dei sensi interessati, forse il meno solleticato. In effetti, l'occhio sa un po' di polistirolo, ammesso e non concesso che voi lettori e anche la sottoscritta sappiamo che gusto ha il polistirolo.

In ogni caso, la mia passione per gli occhi è tale che da piccola ero andata dal macellaio di fiducia e gli avevo chiesto se mi potesse dare un occhio di mucca.


Lui me lo aveva procurato, impacchettato, e consegnato.
Aggratis.
Strano.
Ero andata a casa, l'avevo tuffato in un pentolone d'acqua bollente, quindi l'avevo scolato e impiattato. L'occhio era un monoblocco di gelatina durissima e impenetrabile. La gigantesca, perfetta, sferica, liscia palla bianca che mi ero immaginata è rimasta unìimmagine iperuranica stampigliata nella mia testa passata.

Dopo questa cocente delusione di gioventù, avevo ormai rinunciato a occhi di grandi animali, finchè, l'altro giorno, un amico non mi ha detto che in Messico si mangiano i tacos de ojo, che sono tacos farciti di fettine d'occhio di mucca, piuttosto appetitosi.
Mi è tornata la speranza. 
Poi sono andata con ansia a guardare su wikipedia, ma...l'occhio non vuole che io abbia la sua parte!

venerdì 25 gennaio 2013

Cose che succedono in gelateria


Quando entri in gelateria, di solito ti aspetti un gelato.

Se vai da "Ottimo!", però, trovi anche molto altro.

Non conviene passare quando si è di corsa: una volta entrati nel negozio, non si sa mai cosa ci si può aspettare. Molto spesso, però, non se ne esce in tempi brevi.
Il gestore è un vulcano di parole, con un entusiasmo culinario che straripa da tutti i pori. Te lo comunica per forza, e tu devi ascoltare, perchè è troppo interessante capire come nasce il suo gelato, come gli vengono in mente gusti tipo gorgonzola e marsala, fior d'oliva all'olio extra vergine d'oliva, zucca e amaretti, limone e salvia, rabarbaro e lampone. Ti ipnotizza con i racconti sulla ex fabbrica della "Leone", smantellata mandando al macero tavoli preziosissimi in marmo, stampi delle caramelle, cimeli di cui lui è riuscito a salvarne qualcuno e che esibisce come trofei. Ti spiega come calibri i grassi nei suoi gelati, quanto li limiti e come sia sempre attento a usare solo quelli del latte e derivati, o comunque sani e totalmente privi di grassi vegetali. Il risultato è davvero Ottimo!

L'altro giorno dovevamo andare al cinema dopo 20 minuti: siamo passati a prendere il gelato e Giulio, il gestore, era sprofondato in un libro, "Il lamento del prepuzio", di cui ci ha consigliato la lettura. Era così sprofondato, ma così sprofondato che non ci ha nemmeno introdotto uno dei suoi argomenti "da gelataio". "Sapete, questo libro mi prende tantissimo, devo finirlo!". E così mi sono detta che forse quella volta saremmo riusciti a vedere il film. Invece, dopo trenta secondi, è entrato un signore mastodontico carico di sacchetti di plastica, che ha estratto dalle borse una serie di barattoli di vetro, e si è messo a snocciolarne i contenuti: fichi al rhum, albicocche e pesche al rhum, fichi al liquore di lavanda, idromele, liquore di genziana, salsa di noci e miele, liquore alle trentasette erbe, e così via, finoa riempire tutto il tavolino. Sì dà il caso che non si lamentasse solo il prepuzio di Shalom Arlander, ma anche lo stomaco di Giulio, reduce da un'indigestione. Ma ormai il signore aveva estratto tutte le sue creazioni culinarie, preparate con cura per gli amici, dopo tante gite in montagna con raccolta di erbe fiori e frutti. L'amico era Giulio, ma, vista la situazione, siamo stati "assunti" come amici pure noi. Ci ha porto un cucchiaino (uno solo, tanto eravamo una coppia) e ci ha fatto assaggiare tutti, ma proprio tutti i prodotti che aveva con sè, mentre ci raccontava dei suoi libri di montagna e della sua collaborazione con il CAI. Insomma, alla fine al cinema non siamo andati. Siamo usciti barcollando sotto i fumi dell'alcol, ma abbiamo conosciuto Dario Gardiol, il che è ben più pittoresco (e organolettico) che guardarsi un film.

In conclusione, ogni volta che entri da "Ottimo!" non sai cosa ci troverai, a parte un gelato buonissimo, sano e sempre sperimentale.

Ultimamente, quando ci passo all'ora di pranzo, c'è un capannello di personaggi che parlano di soluzioni di marketing legate alla gelateria. Paiono professionali, preparati, pieni di documenti. Fanno osservazioni argute. Sembra di partecipare a un seminario della Facoltà di Economia.
Speriamo che non trasformino la genuinità dei gelati e di Giulio in un'operazione commerciale, dove anche Dario Gardiol dovrebbe fare domanda in carta bollata e richiesta alla ASL per fare la sua dimostrazione di prodotti tipici...

giovedì 12 luglio 2012

Gelati vegetali


C'è questa questione dei grassi vegatali nei gelati che mi scompiffera.
Ho letto un po' di tempo fa un servizio su Altroconsumo sui gelati artigianali, come al solito piuttosto superficiale e pieno di inesattezze, ma stimolante la curiosità.
Dato che la mia curiosità sui gelati è stimolata più o meno dal giorno della nascita, mi sono messa a leggere tutte le tabelle ingredienti dei gelati artigianali di Torino, che non era stata interessata dal sondaggio di Altroconsumo.

Ma qui serve una premessa di vitale importanza.

Se siete lettori accaniti del mio blog (???) ben (???) ricorderete (???) questo post, e quest'altro, e quest'altro ancora.
Tutto ciò per dimostrarvi che io queste cose ve le dico dal lontano 2007, quando ancora tutta la gente credeva che grasso vegetale fosse bello, perchè la parolina vegetale era magicamente vettore di vendite, oltre che di colossali risparmi per i produttori. Io già ve lo dicevo, che mangiarsi degli alimenti con grasso vegetale equivaleva più o meno a scuoiare una balena e suggerne il grasso sottocutaneo, oppure a spararsi in bocca il lucido da scarpe a base di grasso di renna forzatamente ingrassata con gli imbuti stile canard. Ma voi non leggevate il mio blog e ora avete i grassi vegetali che vi escono dalle orecchie. Ebbene sì, non è cerume, sono grassi vegetali. Se andate alla Ferrero magari vi assumono come componenti della catena di montaggio del Ferrero Rocher.
Io, invece, saggiamente, è dal 2001 che SO. Non ve l'ho scritto nel 2001 perchè il blog ancora non esisteva. Dal 2 febbraio all'11 aprile 2007 ho esitato perchè volevo tenere il segreto tutto per me, in modo da essere l'unica donna sulla faccia della terra senza cellulite. Ma poi ho visto che la cellulite l'avevo lo steso, così ho fatto outing in favore della scienza.
Il fatto è che, nonostante avessi eliminato tutti gli alimenti con grassi vegetali dai miei acquisti, continuavo ad avere questa maledetta cellulite. Eppure era ormai chiaro che, a parte tutti i sorvolabili malanni fisici provocati da questi grassi, tipo la morte, l'equazione della svolta fosse:

GRASSI VEGETALI + CORPO DELLA DONNA = CELLULITE

Era stata durissima eliminare quei 4 kg di biscotti al giorno, di qualunque marca fossero. Mangiavo solo più palettes bretonnes 98% di burro. Perfino i biscotti pur beurre danesi in realtà spesso contengono il 2% di burro e il 90% di grassi vegetali. La Nutella si tiene su con i grassi vegetali. Ho dovuto sostituirla con la Crema Novi, che costa il triplo ed è buona la metà. Per fortuna non sono una lattante con una madre prosciugata dal latte, perchè il latte in polvere è grasso vegetale puro con dentro incastonati quintali di vitamine adatte alla crescita del piccolo. Che potrebbe morire d'infarto con le arterie occluse dal grasso vegetale prima di dire "A". Ma, più grave ancora, se sarà una bimba, avrà la cellulite prima di dire "Beh". Miliardi di carriere come veline saltate.

In ogni caso, tornando a me, avevo eliminato tutti questi grassi, e la sofferenza maggiore era stata lo scoprire che tutti i gelati confezionati o quasi, a parte quelli che per comprarli serve aprire un mutuo, contengono massicce dosi di grassi vegetali. Al che, fiduciosa negli artigiani, dal 2001 a oggi ho consumato soltanto gelati ARTIGIANALI. Essendo una buona forchetta, anzi un buon cucchiaino, per non dire altro, ho mangiato quintali di gelati artigianali.

A Torino, il mio preferito era il Roma già Talmone, che ha gelati cremosissimi, e poi è una pasticceria con tutti i crismi e carismi. Non so quanto del loro gelato mi sia scofanata.
Ora che vivo a Venaria, però, per comodità, ho fatto andare da maggio a oggi quella quarantina di tessere da dieci gelati alla gelateria Gelis di piazza dell'Annunziata, dicendomi che, anche se non è proprio Talmone, avendo gelato artigianale di certo non può usare grassi vegetali.
Dopo aver letto Altroconsumo, però, sono andata a cercare gli ingredienti.
Orrore.
Ricetta base: grassi vegetali al terzo posto (ché l'ordine degli ingredienti dev'essere per legge dal più al meno abbondante).
Paste di aggiunta: grasso vegetale in pole position.
Insomma, questi gelati tengono insieme per il rotto del grasso vegetale.
Con un rigurgito di vomito, mi sono messa a declamare davanti ai clienti, sventagliando la tabella ingredienti, che i gelati di Gelis sono una porcheria. E, a dirla tutta, scrivendo questo post, continuo a sventagliare. Ma chi mi leggerà a Venaria? Nessuno, nemmeno il mio ragazzo. Gelis è salva. Pure lui continuerà a fare tessere lì.
Ma non finisce qui.
Vado a Torino, colta da crisi di astinenza da gelato.
Mi precipito da Talmone.
Scena pietosa con solo 3 tipi di gelato alle 9 di sera, dall'apparenza semisciolta.
Per rinfrancarmi, decido di prenderlo lo stesso, ma prima leggo la tabella ingredienti.
Raggelamento.
Da Talmone non solo i gelati hanno il grasso vegetale in prima linea, ma addirittura usano la polvere di olio di cocco. Una porcheria che non avevo ancora mai sentito. Già usi un grasso dannosissimo ed economicissimo, devi pure tenerlo in polvere? Ho avuto l'immagine di bidoni e bidoni di polvere di olio di cocco accatastati nelle celle sotterranee della pasticceria, e ho girato i tacchi.
Girando i tacchi, sono arrivata davanti a Grom. Grom non mi è mai piaciuto. Standardizzato, con la sua coda di gente fin fuori dal negozio, i suoi negozi ormai sparsi dappertutto.
Leggo gli ingredienti.
Ok.
D'ora in poi sempre da Grom.

E' vero che nella vita si può morire anche per cause diverse dai grassi vegetali, ma se dovessi mai ammazzarmi in misteriose contingenze, perlomeno ci lascerò le piume con poca cellulite e farò bella figura nella bara.
Ho già scelto il costumino sgambato.

mercoledì 23 maggio 2012

Il tuo contributo ha un valore inestimabile


Ultimamente mi sono intrippata delle recensioni on line di ristoranti.
Non ho proprio un belin da fare, direte voi, se siete genovesi. Se se non lo siete direte altro, ma il senso rimarrà quello.
In ogni caso, in realtà ho un sacco da fare, ma il trip è il trip, soprattutto quando è advisor.
Comunque, su Tripadvisor è bello perchè si fa carriera. A me, della carriera, non è mai fregato molto. Ho sempre teso di più all'espansione orizzontale che a quella verticale, non nel senso dell'ingrassamento ma in quello della differenziazione. In campo culinario, però, non solo mi sto fidelizzando a Tripadvisor per via di questa carriera virtuale, ma sto anche lavorando come non ho mai fatto in vita mia da pagata. E' bello passare da contributore a contributore esperto, a recensore, a recensore esperto e così via, fino a livelli inimmaginabili.
E poi, lo dicono pure loro, il mio contributo ha un valore inestimabile.
E allora perchè lo stimano 300 miglia Lufthansa per pochi mesi e per un massimo di nove recensioni al mese? Forse perchè, in pratica, non lo stimano: con quelle miglia uno può al massimo chiedere una chaise longue all'aeroporto nell'attesa di un volo charter.
E non ottenerla.

mercoledì 14 marzo 2012

Perchè leggere un mio post quando potete leggere questo?


Invece di stare qui a leggere un mio pessimo post, oggi su questa copertina qui sopra, andate sul sito, ordinate una copia di questo libro e leggetevelo, sperando che vi arrivi per il week end.
Almeno siete sicuri di leggere qualcosa di bello.

mercoledì 22 febbraio 2012

Ricetta della nonna

Dato che ieri era Carnevale ed ero pure in vacanza, ho deciso di cimentarmi nella preparazione di una gustosa e leggera ricetta carnevalizia: le bugie vuote.
Ricordavo con bave alla bocca stile San Bernardo le bugie che faceva mia nonna. Leggerissime, impalpabili. Ti si scioglievano sulla lingua, e per farne un etto dovevi riempirne una betoniera, dopo aver messo sulla bilancia supertecnologica la betoniera e aver premuto il tasto "tara".
Ho deciso che avrei creato le stesse meraviglie, senza peraltro conoscere la ricetta delle suddette, nè aver la minima intenzione di chiederla a mia nonna.
Ho preso il primo sito che mi è comparso digitando su google "Ricetta bugie" e mi sono fidata ciecamente di quello che mi si proponeva, seguendo beceramente la "Ricetta bugie" scritta lì dentro. Ho ammatassato, impastandoli insieme, farina, un sacco di uova, un sacco di burro, grappa, sale, ho dimenticato lo zucchero, ma tanto mi ricordo che mia nonna non lo metteva, e mi pare anche che non mettesse il 90% degli ingredienti che ho messo io ma va bene lo stesso, probabilmente alla mia veneranda età ho scordato il 90% degli ingredienti che metteva mia nonna.
Poi, memore di quello che accadeva nella casa di mia nonna, ho preparato un pentolino alto pieno di olio. Mia nonna metteva l'olio d'oliva, ma io, molto più avanzata nella conoscenza grazie al mio nobilitante lavoro di prof di sostegno, ho vaghi ricordi di una lezione all'alberghiero in cui si diceva che l'olio ideale per friggere è l'olio di arachidi, che ha un punto di fumo molto alto. E allora, giù di olio di arachidi. Un litro nel pentolino.
Per inciso, devo dire che, dopo avervi linkato il punto di fumo e aver letto cosa dice Wikipedia, ho le idee molto ma moooolto più chiare di prima. In ogni caso prima non avevo linkato, non avevo letto wikipedia e avevo messo l'olio di arachidi.
Torniamo a noi.
Avevo la mia pasta passata quelle venti volte ognuna nella macchina per fare i fogli di pasta, l'avevo tagliata con forme casuali dettate dalla mia nota creatività (rombi e striscie), avevo rivestito i fornelli di scatoloni in modo da schermare gli spruzzi e già l'olio di arachidi assumeva forme geometriche inquietanti dentro il pentolino sul fuoco acceso. A destra del pentolino c'era un filare di scottex, che avrebbe garantito alle fragranti bugie di essere asciugate ulteriormente dal poco olio residuo dopo la frittura, per poi essere adagiate in un enorme vassoio e spolverizzate con lo zucchero a velo già inserito nel colino a maglie fitte.
Benedetta, a me, fa un baffo.
Ho anche inserito lo stuzzicadenti nell'olio, che ha sviluppato una serie di bollicine, proprio come doveva essere secondo il primo sito trovato per la ricetta.
Con grande spirito da pioniera, ho lanciato dentro il primo rombo di pasta.
Il rombo è sprofondato fino al fondo del pentolino, è rimasto un po' lì, poi è salito con un'apparenza bianchiccia da pancia di pesce morto.
Ecco, a mia nonna non accadeva proprio questo, ma è perchè non usava l'olio di arachidi.
Si sa, più bianco è il prodotto fritto, meno cancerogena è la frittura.
Aiutandomi con la forchetta, ho pescato la pancia di pesce, che nel frattempo era gonfiata con una rassicurante bolla, come quelle delle bugie della nonna.
Peccato che la forchetta abbia bucato la bolla, e l'olio abbia iniziato a entrarvi dentro.
Quando ho tirato su il prodotto quasi finito, mi ci sarebbe voluto un argano, infatti la forchetta e i miei muscoli piatti da rana convalescente non bastavano a tirar su cotanto peso senza che il tutto si sfracchiasse nuovamente nell'olio, lanciando lapilli unti sul mio pile seminuovo bianco.
L'operazione da "Con grande" fino a "seminuovo bianco" si è ripetuta per otto volte, sostituendo progressivamente a "primo" "secondo", "terzo", "quarto", "quinto", "sesto", "settimo" e "ottavo" e diminuendo di volta in volta lo spirito da pioniera con aumento inversamente proporzionale di macchie gialle sul pile e bruciature sulle mani, voglia di scappare gridando "aiuto!" e fumata bianca, che sfortunatamente non voleva nemmeno dire che Ratzinger era stato rimpiazzato da un papa furbo.
Il nono rombo di pasta è atterrato nel pentolino vuoto rovente.
Non so se quella grigliata valga come nona bugia.
Ero rimasta al fatto che si potessero fare solo fritte o al forno.

Risultato della battuta di cucina: otto bugie del peso specifico pari a quello del mercurio, e con apporto calorico di 500 calorie l'una.
Ottomila calorie in un piatto che pesa due chili.
Duecentocinquanta grammi a bugia.

Un boscaiolo finlandese potrebbe soddisfare il suo fabbisogno di calorie giornaliero ingurgitando quattordici bugie delle mie. Non sarebbe soddisfatto di me. Gliene mancherebbero sei, anche se non sono del tutto sicura che vorrebbe averne altre.
In compenso, potrei nutrire una coppia di caucasici con lavori semisedentari e moderata attività fisica per una giornata intera con solo otto bugie.

Ciò che mi rinfranca è il risparmio di spazio occupato dalle bugie.
In confronto a mia nonna, ho un'efficienza che è meglio della Scottex.


mercoledì 4 gennaio 2012

No limits


Quando uno scia, gli viene fame.
Quando gli viene fame, come minimo cerca un bar.
Il punto è che anche i baristi sanno che sulle piste, se a uno viene fame, deve per forza scegliere uno dei bar sulle piste,perchè non è comodo nè fashion scendere in paese con gli scarponi e gli sci in spalla alla ricerca di un bar.
Il che fa sì che, sulle piste, i baristi si possano permettere di farti pagare un hamburger impiattato con due foglie di insalata intorno 14 €, e di dirti che di panini non ne fanno altri, e che se vuoi un panino puoi mangiarti in piedi i tramezzini che mettono sul bancone come aperitivo, alla modica cifra di 10 € (senza il bere).
Lo sciatore arriva quindi alla sera in due possibili versioni:
  1. con le tasche ancora più vuote di quanto avesse preventivato precedentemente, quando si svenava alla cassa per comprare il biglietto delle piste;
  2. con la pancia ancora più vuota delle tasche di cui sopra.
Se uno fa parte della seconda categoria, potrebbe capitare che vada a mangiare cena in uno dei famigerati giri pizza, che con pochissimi euro ti permettono di mangiare come uno sciatore a digiuno. Se si tratta di sciatore a digiuno digitalizzato, è probabile che,nonostante la fame, la digitalizzazione abbia la meglio, e che si rechi pure a controllare se il ristorante del giro pizza è buono o meno, consultando siti tipo Tripadvisor o 2spaghi

Potrebbe capitargli di consultare, per esempio, la pizzeria Saloon city di Trantasca. E di leggere che l'ultimo commentatore ha scritto: "Punto di forza: il "giro pizza" con soli 13 euro potete prendere quante pizze volete (di tipo e numero) + 1 litro di bevande (acqua coca birra) + il dolce e il caffè!!!! coperto compreso!". 
Potrebbe andarci, magari con altre tre o quattro persone, e iniziare a mangiare pizze divise in quattro o cinque parti, e alla quinta o sesta pizza recarsi dal pizzaiolo per avere un 'anticipazione su quale gusto potrebbe avere la sesta o settima pizza.
Mentre si avvicinerebbe, noterebbe lo sguardo di terrore negli occhi del pizzaiolo, che, alla suddetta domanda, ruoterebbe gli occhi di quarantacinque gradi verso la cameriera, che, abbassando lo sguardo sulle piastrelle del suolo, sussurrerebbe un "Ma...in verità, in verità le dico...voi siete quattro o cinque, già vi abbiamo portato la quinta o sesta pizza...sarebbe una pizza a testa...se ne prendete ancora una dovete ordinarla e soprattutto PAGARLA come da menù...".
E così, una volta consumata la torta meringata con cioccolato, affamato come solo uno sciatore che ha saltato il pranzo può essere, si avventerà sul vassoio pieno di briciole della meringata stessa, sotto lo sguardo inorridito del pizzaiolo, che, una volta uscito lo sciatore, esporrà il seguente cartello, con su scritto

IO NON POSSO ENTRARE

lunedì 1 agosto 2011

"Le bistrot gourmand" (Cannes): dopo il consiglio, la recensione

Dopo avervi consigliato il suddetto ristorante, non so come non so perchè, non ho mica pensato all'idea di recensirlo, o perlomeno di mettere un po' di fotine di ciò che ho mangiato io per rendere l'idea. Adesso, invece, ci ho pensato, ed ecco qui quello che ne risulta.

Già qui trovate un po' di materiale, tra cui anche le foto dei piatti fatte bene. Ma io voglio propinarvi anche le mie, fatte come le so fare io.

Qui potete vedere il dehors, in verità in un luogo un po' infelice, dato che il ristorante, contrariamente agli altri che si trovano uno dietro all'altro sulla viuzza del Suquet o lungo il porto, è proprio di fronte all'ingresso di un parcheggio, pieno di barboni e cani dei barboni, e tra l'ingresso e il dehors c'è una stradina in cui passano le macchine sfumacchiando sui piatti.

Considerate comunque che il rapporto qualità/prezzo dei piatti migliora al peggiorare del luogo.

Consiglio quindi di entrare nel locale, tra l'altro imbiancato di nuovo (prima era decorato come un teatro antico con molti colori), dove troverete la ricetta della crème brulée all'arancia...

...e le lavagnette con i vari menù (a pranzo ci sono combinazioni da 12 a 19 €; a cena, se si arriva prima delle 20 si può prendere il menù da 19 €, se no si prende quello da 29. Entrambi contemplano antipasto, piatto principale e dolce).

E veniamo a quello che abbiamo mangiato in due la last but not least volta che vi ho cenato (a 29 €):

Fiori di zucca ripieni di ricotta e basilico fritti con salsina di peperoncino:

Insalata con triangolini di pasta fillo ripiena di formaggio di capra:

Magret di anatra con purè allo zafferano e salsina allo zenzero e cannella:

Carpaccio di bue realizzato con: carne tritata di bue, coriandolo in foglie, rosso d'uovo, senape, ketchup, capperi, cipolle, ... con patatine fritte tagliate sottilissime e insalata:

Farandola di dolci: mousse al cioccolato, mini crème brulée agli agrumi, panna cotta al dulce de leche, tartelletta al limone con gelato alla cannella:

Crumble di cocco e ananas, con gelato al cocco:


Buon appetito!

mercoledì 6 luglio 2011

Recensione della trattoria Archivolto Mongiardino da Franco (Genova)

Quando si arriva in questo ristorantino immerso nei vicoli genovesi, tocca addentrarsi in una porticina piccola piccola con le tendine rosse e bianche, fidandosi dell'istinto o delle recensioni su internet.
Appena dentro, però, ci si imbatte in un ambiente curato e decorato in modo simpatico, e il proprietario si presenta accogliente e sorridente.


L'immagine qui sotto si capisce solo dopo essersi bevuti il vino che viene copiosamente offerto (per noi è stato tutto incluso nel prezzo del menù, ma io ho anche comunicato che avrei fatto questa fantastica recensione su questo visitatissimo blog... :D ...):

Noi abbiamo preso il menù degustazione...
...innaffiato da uno, anzi due, buoni vini. Il primo è questo Muller Thurgau:

Un brindisi speranzoso...

Ed inizia il menù...

...acciughe e burro...
...cozze alla Franco...
...taglierini al sugo di aragosta...
...altro vinello per affrontare la seconda parte della cena (cortese dell'alto Monferrato)...

...gamberi nostrani alla Franco...

Il proprietario ci fa ammirare un vino che non beviamo, fatto invecchiare in fondo al mare dalle parti di Portofino.
E si finisce con un dolce al cucchiaio tipico genovese con caramello (se qualcuno sa il nume mi aiuti che a quel punto il vino aveva già colpito duramente la memoria):

Ottimo rapporto qualità-prezzo, ambiente carino, anche se è meglio prenotare perchè i posti sono limitati.
Buon appetito a tutti!

mercoledì 8 giugno 2011

Circolo Culturale E Gastronomico Cantautori Liguri O Chi O A Ca Toa (La Spezia)

Ritrovatami in quel di La Spezia, sono stata portata da una mia amica a Fezzano, con l'annuncio che avremmo mangiato "nel circolo degli antipastini di mare", cosa che già mi aveva ispirata abbastanza.

Il posto si chiama "O Chi O A Ca Toa", che direi possa significare "O qui o a casa tua". Però, a dirla tutta, io preferivo lì che a casa mia, già solo per l'arredamento, per le scritte sui muri e per il fatto che a casa mia si mangia peggio e si lavano più piatti.
A casa mia non ho nemmeno una barca appesa al soffitto...

...nè sufficienti colapasta per farci delle lampade, e, anche se ne avessi a sufficienza, quelli di plastica credo non vadano troppo bene.

Se mi mettessi a scrivere frasi sui muri, poi, penso che qualcuno troverebbe da ridire, e leggersi un libro mentre si mangia non fa bene, quindi qui uno si può leggere il muro senza dover tenere il libro con le mani unte di pesce.
Ma veniamo alla parte pappatoriale. I gestori si presentano con piattini di pesce a raffica, non nel senso che te li tirano sul tavolo come in alcuni ristoranti cinesi, ma nel senso che non ti chiedono quello che vuoi, e seguono l'itinerario mentale del cuoco, che ama, a quanto pare, gli antipasti. Quando uno sta per scoppiare, stoppa il flusso di piatti. Devo dire che io avrei partecipato alla maratona fino alla fine, ma, uniformandomi alla mia amica, abbiamo preso "solo" dieci antipasti, più un pesce al forno mio personale a cui non ho potuto resistere.

Presa da voracità, ho scordato di fotografare il primo piatto, consistente in frisceu di baccalà.
In seguito, però, sono riuscita a immortalare tutto, ed eccovi il fotoromanzo della nostra cena:

Mazzancolle con fagioli:
Focaccina con frittatina di cipolle:
Piccolo fritto di mare secondo pescato, con due pesci che ora non ricordo ma molto buoni, spiedino di cozze (qui chiamate muscoli), e la mitica signorina, che è il pesce lungo e corvilineo, caratterizzato dall'avere una spina vertebrale piuttosto robusta. Evitate di mangiarla per non rimanere soffocati e perdervi il seguito.
Acciughe marinate...
...e sotto sale.
Panino con basilico, olio extravergine di oliva e muscoli (uniformiamoci al vocabolario spezzino): il proprietario tiene a precisare che va schiacciato tra le dita, facendo attenzione a non spargersi tutto l'olio addosso (cosa facilissima), e poi addentare, per sentire il sapore del mar ligure (sinceramente, ho sperato che il sapore fosse meglio di quello del mar ligure, perchè quando accidentalmente ne ingurgito un po' nuotando non è che la cosa mi riempia di tripudio ed estasi gustativa; per fortuna ho sperato giusto).

Panino di mozzarella di bufala ripieno di pomodorie acciughe e accompagnato da peperoncini con ripieno di tonno:

Panino di salmone affumicato, arancia e cioccolato:

Tortina al forno farcita con acciughe:

Baccalà con pinoli e pesto:

Se fossimo state all'altezza della competizione, avremmo ancora consumato:
  • Pappardelle con muscoli;
  • Quest'oratina al forno che io ho effettivamente consumato:
  • Pesca bislunga (scusate il tecnicismo) con lardo;
  • Piattino di dolci assortiti (torte, sorbetti).
Non so bene il prezzo, perchè la cena mi è stata offerta, ma potrete andare a indagare su altri siti, tipo questo. E potete anche trovarlo su Facebook.
Dimenticavo, anche il vinello bianco della casa è molto buono.
Ci è pure stato offerto il digestivo (mirto e grappa al miele invecchiata di 10 anni) sulla soglia, mentre barcollavamo pericolosamente cercando di raggiungere la macchina.

A questo punto non mi resta che augurarvi buon appetito!