LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.
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domenica 29 aprile 2018

Sbocciare castrato


Compilation di case anni '70
piastrellate di diamanti giallo diarrea.
Dai diamanti non nasce nulla,
dal letame nascono i fior.

domenica 18 febbraio 2018

lunedì 16 gennaio 2017

Riemersioni


Il vento spazzolava la città portando via patine di tempo dalla sua superficie. Il cielo era una cupola spleenetica e plumbea. Gocce che sembravano sbattute a tazze giù dal cielo si schiantavano con tonfi grassi sull'asfalto della strada e sulle pietre dei marciapiedi.
Camminavano piegati in avanti, tenendosi ben chiuse le giacche con le mani, in mezzo a un turbinio di cartoline e fogli sollevato dalle bancarelle dei portici.
Si erano rifugiati nei sotterranei scuri e protettivi. Il sibilo del vento, a ogni gradino sceso, diventava più ovattato. Si erano immersi in pile e pile di libri impolverati, studiandone fronte, retro, quarti di copertina. Leggendo pezzi qua e là, ammonticchiando i libri prescelti per essere acquistati a vantaggioso prezzo fatto a occhio e definito da una sana contrattazione, avevano perso il senso del tempo e dello spazio, convergendo in un mondo inventato da altri e anche un po' da loro.
Si erano lavati le mani dai polpastrelli anneriti in un lavandino sbrecciato, per emergere controvoglia, scalino dopo scalino, dal loro mondo sommerso. 'Sarebbe bello se tutto sopra fosse stato raso al suolo, vero?' Si erano figurati di uscire e trovare terra brulla dove prima c'erano case e gente e portici e bancarelle e fogli volanti e gocce di pioggia che schiaffeggiavano l'asfalto. Una pianura vergine che si perdesse fin dove la vista potesse arrivare, da cui ogni forma di vita e sua costruzione fosse stata portata via da un vortice come quello che aveva ingurgitato Dorothy.
Il vento sibilava ancora, sempre di più mano a mano che tornavano in superficie con quell'irreale sentore di apocalisse.
Carichi di borse zeppe di libri, avevano spinto la porta d'uscita, pronti all'attesa delusione. Dallo spiraglio era entrata una folata di vento diverso da quello di prima, forte ma meno freddo e inaspettatamente carico di salsedine, che aveva spalancato l'anta.
Davanti a loro non c'era nessuna terra brulla, nessun orizzonte in fondo al nulla.
C'era un mare in tempesta, e loro erano su una banchina sbattuta dalle onde. Vascelli con vele gonfie e cavalli che si sporgevano dai lati combattevano contro le onde avanzando tra i flutti. Il vento sibilava nei loro capelli e seccava gli occhi increduli e indagatori. Lo sbigottimento era direttamente proporzionale all'irrealtà della loro illusione precedente. Era stato facile desiderare cose che erano sicuri di non poter avere. In quel momento si resero conto che, in un modo o nell'altro, si ritrovavano davvero in un mondo evocato, e che quello a cui erano abituati era sfaldato, forse confinato in una dimensione parallela. La disattesa delusione aveva avuto un impatto emotivo molto più alto dell'attesa delusione.

Un vascello si era avvicinato a loro schiumando nell'acqua salata, un cavallo aveva allungato una zampa fuori dal bordo, e li aveva in qualche modo caricati a bordo. Iniziava una nuova vita, in un mondo dove i libri sarebbero serviti solo come piccoli depositi di nostalgia, per ricordare un passato che scivolava via veloce. Si appollaiarono in punta all'imbarcazione, con il vento che mandava indietro capelli e pensieri stantii, e seguirono la rotta con lo sguardo, come se l'avessero fatto da sempre.  

lunedì 22 aprile 2013

Il timido bambino

C'era un bambino piccolo e timido, che aveva sempre paura di incontrare altri bambini nuovi.
Non sapeva nemmeno perchè.
Forse, come era nato biondo e con gli occhi azzurri, così era anche nato timido, una roba che ci si porta nella tomba, come il colore degli occhi e dei capelli (il colore, non i capelli).
Era brutto, perchè spesso si ritrovava costretto a incontrare altri bambini, e diventava sempre rosso e sudaticcio, aveva paura di non saper cosa dire, avrebbe voluto chiudersi in casa da solo, o al massimo con adulti tipo i suoi genitori e i loro amici, che secondo lui appartenevano a un altro mondo e quindi facevano meno paura, era come se fossero in un'altra dimensione. E invece proprio i suoi genitori lo mandavano sempre con i figli dei loro amici, a fare cose con gli amici dei figli dei loro amici.
Lui alle cene con gli amici dei genitori sperava sempre che non arrivasse quel momento, ma quel momento arrivava sempre, e lui doveva uscire rosso e sudato a incontrare altri bambini.

Un giorno, l'ennesima volta che stava per accadere l'inevitabile incontro con bambini nuovi ed era già diventato tutto rosso e sudato, si stufò. Doveva trovare uno stratagemma per evitare quella timidezza invalidante. E così si era inventato un involucro immaginario. C'era chi si creava l'amico, lui si era creato l'involucro. Immaginava di essere circondato da una guaina che lo proteggesse dagli altri ma che fosse così sottile da permettergli di incontrare chiunque senza che se ne accorgesse, e al tempo stesso senza che nessuno potesse prendergli qualcosa di suo, tipo il cuore, e calpestarglielo, per poi restituirglielo tutto stropicciato e sbrindellato, oppure l'intestino, per poi ridarglielo tutto ritorto e strizzato. Incontrò quei bambini sconosciuti, e non diventò più nè rosso nè sudato, anzi diventò sudato, ma solo perchè aveva fatto una bellissima partita a calcio, e diventò rosso ma solo dal ridere, perchè si era divertito un sacco.

Da quel giorno tenne sempre addosso il suo involucro, fu sempre in mezzo alla gente e si divertì sempre un sacco. Non pensava più nulla prima di incontrare persone nuove. Andava, incontrava e basta. Sapeva che non era che non fosse più timido, che la timidezza si porta alla tomba molto più dei capelli biondi, ma non gli importava. Aveva trovato il modo per difendersene con l'involucro, e quello bastava.

Un giorno, però, incontrò una persona che gli fece passare la voglia di tenersi l'involucro addosso, perchè era vero, con l'involucro era invincibile, però sentiva poco, e non riusciva a essere veramente amico di quella persona. E così, per il suo amico, creò una zip nella guaina, e la tolse in sua presenza. Dopo un po' di tempo, però, l'amico gli prese il cuore, glielo calpestò, glielo sbrindellò, e poi glielo restituì a piccoli calcetti, facendolo rotolare e impanare nella polvere. Fu un bel problema ricompattare tutto, lavare tutto, rimettere il cuore a posto e richiudere la zip.

In ogni caso, dopo un po' di tempo tornò il buontempone di sempre, pieno di conoscenti e con la zip tirata su fino al cucuzzolo della testa.

Un giorno, però, incontrò una ragazza, e gli venne voglia che quella ragazza gli torcesse le budella, aveva piacere di aprirle il cuore. E così si tolse di nuovo la guaina. La ragazza gli torse le budella, poi gli spezzò il cuore e non glielo restituì nemmeno. Dovette andare a recuperarlo, frugando tra i resti della loro storia. Lo ricucì, non tanto bene, ché non era mica capace a cucire, e lo rimise a posto. Poi indossò di nuovo la guaina e andò avanti come prima, a ridere e scherzare in mezzo a tanta gente divertente, sempre nuova. 

Un giorno, però, incontrò un'altra ragazza. Questa volta aveva ancora più voglia di farsi attorcigliare le budella da lei, ma aveva paura. Alla fine, con una certa riluttanza, si tolse lo stesso l'involucro, timorosamente, e lei gli torse le budella, ma non con cattiveria, e anche il cuore glielo lasciò là, al suo posto, a battere più veloce. Il problema era che il bambino, che non era più un bambino, aveva paura che la ragazza, che anche lei non era più una ragazza, gli facesse qualche brutta sorpresa, e temeva anche di incontrare l'altra gente senza involucro, e così quando era con la ragazza lo toglieva, quando era con la gente se lo rimetteva. Era tutt'un metti e togli, peggio di Superman. Il casino pazzesco era quando era in mezzo alla gente con la sua ragazza. All'inizio metteva e toglieva tutto il tempo, ma perdeva un po' in spontaneità. Alla fine in pubblico si tenne sempre l'involucro, poi divenne pigro e smise di toglierlo anche con lei. Più che per pigrizia, era per paura, ché invecchiando aumenta la paura, mica diminuisce.
Tutto quello che aveva dentro fu sempre protetto, ma isolato dal resto del mondo, anche dalla sua compagna.
Non visse male, ma nemmeno appieno.
Morì timido e senza capelli.
Si portò l'involucro nella tomba.
Chiuso.

lunedì 1 ottobre 2012

Oggi scrivo di politica


 I PRODI dell'esercito degli SCILIPOTI combattevano come LEONI nelle pianure assolate, continuando a incrociare le armi per più giorni e TRAMONTI consecutivi. L'indiano, salito in cima a un roccione per contemplare la FISICHELLA dell'indianina chiamata "Parla con i SEGNI" che aveva tanto AMATO, aveva già du MARONI così di vedere tutti quei CASINI dall'alto, di vedere tutti quei FOLLINI che tanto si muovevano per non combinare nulla di buono. Dalla sua postazione fumava come un TURCO per passare il tempo, e invece dell'indianina vedeva passare LA RUSSA con il suo colbacco ROSSO, che si precipitava nella folla con le FINI braccia armate in avanti e la sinuosità di un DELFINO. Cambiò idea e pensò che anche LA RUSSA avrebbe potuto renderlo felice come un GRILLO, ma disse a se stesso di starsene BONINO in cima alla roccia, in stato meditativo, con il portamento di un CONTE, anche se di famiglia era un PASTORE e coltivatore. Per tranquillizzarsi si fece una PERA: ne aveva dietro, caricati sul cavallo, due grandi SACCONI: il suo albero che cresceva sulla COSTA vicino ai CASTELLI ne aveva fatte così tante, di pere, che ne aveva da VENDOLA.

mercoledì 26 settembre 2012

???

Vivevo la mia vita fino a poche settimane fa.
Poi, un mattino, ho aperto gli occhi, mi sono girato e ho visto lui, bello placido, nel mio letto.
Prima che potessi reagire in qualche modo, mi è entrato dentro.

Ho pensato: Ora mi alzo, dato che mi sono svegliato. Certo che però, come scendo dal letto? Con il piede destro o quello sinistro? Certo che pare porti sfiga alzarsi con il piede sbagliato. Forse il piede sbagliato è il sinistro per tutti i destrorsi, ma io che sono mancino come posso fare? Mi uniformo agli altri scendendo con il piede destro, oppure scendo con il sinistro, che è quello giusto per me? Mmmm...son problemi. Poi, per mettere giù i piedi devo tirarmi su. Quale sarà il modo esatto per titrarsi su senza danneggiarsi la schiena? McKenzie direbbe che bisogna tenere la schiena inarcata in un senso, ma il mio allenatore diceva di tenerla inarcata esattamente nell'altro senso. Come faccio a sapere qual è il senso giusto? Potrei guardare su Internet e tirare giù un file Excel dettagliatissimo in cui fare uno studio di probabilità legato al gran numero di dati, per stabilire qual è la posizione probabilmente più adatta. Ma per andare su Internet dovrei alzarmi, e come faccio ad alzarmi se non conosco l'incurvatura giusta della schiena? E poi, per connettermi, starò usando il servizio più economico? Potrebbe essere dannoso usare un fornitore diseconomico, considerato che i mesi in cui si paga la bolletta in un anno sono dodici, in dieci anni 120, in mille anni 1.200, e avanti così. Metti una differenza di 5 euro al mese, sono già...1.200 x 5...mi ci vorrebbe la calcolatrice...ma per prenderla dovrei alzarmi...e poi non so se la differenza è proprio di 5 euro...e se fosse di 3,45? E poi con i se e con i ma non si fa nulla: dovrei vedere queste offerte su Internet, ma senza sapere le tariffe non oserò certo connettermi, senza calcolare che non mi posso alzare senza sapere come posizionare la schiena.

Oggi non vivo più la mia vita.
Sono morto.
Dentro il letto.
Con la schiena dritta.



mercoledì 6 giugno 2012

The angel


C'era un angelo custode che lavorava un sacco bene. Era scrupolosissimo, e per questo era stato affidato a un tizio che ne avrebbe combinata una per colore e che doveva fare una cosa prima di compiere 40 anni, se no la sua vita sarebbe stata inutile.
Il fatto è che l'angelo custode era un po' seccato dal fatto di dover lavorare di continuo, senza nemmeno avere le ferie e la mutua pagati.
Un giorno andò al sindacato degli angeli costodi e chiese che fossero fatti valere i suoi diritti.
Così ottenne due mesi di ferie ogni vent'anni.
Gli diedero anche la mutua, tanto per gli angeli è impossibile farsi male o ammalarsi, ma lui era tutto contento, e lavorò con il doppio della lena solita.
L'umano a lui assegnato, intanto, conduceva la sua vita dandosi alle più pazze attività estreme senza preoccuparsi affatto, dato che notava che tutte le volte che stava per ammazzarsi qualcosa lo riportava allo stato normale.
Pensava che fossero il fato, o il caso, o la sua propriocezione superlativa a fare sì che fosse sempre vivo, sempre intero, sempre in forma, e sempre per un pelo.
Andava quasi giù da un burrone in macchina? Gli finiva la benzina proprio sull'orlo del precipizio e lui pensava "Che fortuna!", mentre l'angelo rifletteva su come smaltire la sbornia di benzina che si era fatto fuori con la cannuccia telescopica cielo-terra.
Aveva l'impressione di essere invincibile.

Ma poi arrivò il momento delle ferie dell'angelo.
All'improvviso, l'uomo iniziò a farsi malissimo anche nelle circostanze più normali. Prendeva storte salendo sull'autobus, si accoltellava sbucciando una mela, e in tutte le sue spedizioni folli si procurava rovinose cadute. Nel giro di due mesi già tutti gli operatori dei Pronto Soccorso della zona lo riconoscevano e ancora lui si chiedeva il motivo per cui di colpo fosse così sfortunato.
Non sapeva che non era ancora morto solo perchè, essendo quadro, l'angelo aveva l'obbligo di reperibilità, e tutte le volte che il pericolo era troppo veniva chiamato via cellulare e accorreva sul luogo, limitando i danni. Il suo uomo, quindi, era tutto livido e dolorante ma senza gravi problemi disopravvivenza.
Dopo due mesi, dopo essersi deiscritto da tutte le gare di sport estremi, e nonotante ciò essersi inflitto una ferita longitudinale in tutta la mano tagliando una torta al torneo di briscola, l'uomo ricevette una cartolina dall'angelo.

Allora capì tutto.

Per fortuna, le Poste erano così lente che l'angelo era già tornato e l'uomo avrebbe potuto riprendere a fare tutto ciò che aveva sempre fatto.
Invece continuò a giocare a briscola, e se credete che l'angelo si sia riposato sbagliate, perchè le insidie sono equidistribuite tra briscola, casa, impervie montagne, abissi marini.
Alla vacanza angelica successiva, l'uomo si chiuse in casa, perchè decise che anche la briscola fosse pericolosissima, dopo essere rotolato giù dalle scale del centro dove andava a giocare, ed essersi pinzato tutte le dita nella porta dell'ascensore successivamente.

Per fortuna, però, arrivarono i 40 anni, l'uomo fece quella coa importante che doveva fare e l'angelo andò in pensione.

L'uomo morì a 98 anni.
Senza angelo.
Chiuso in casa, con i muri imbottiti di ovatta.

venerdì 27 aprile 2012

Per il bene


Per il tuo bene,
è meglio che tu sia uno scemo che si crede intelligente,
piuttosto che uno intelligente che si crede scemo.

Per il bene di chi ti circonda,
non è meglio
nè che tu sia uno scemo che si crede intelligente,
nè che tu sia uno intelligente che si crede scemo.
Le altre due casistiche possibili
sono da escludere,
una per impossibilità ossimorica,
l'altra per irrilvenza statistica.
Infatti, se sei scemo, è difficile
che tu possa ritenerti veramente scemo,
perchè la qual cosa denoterebbe una certa
intelligenza,
il che farebbe sì che tu sia
uno scemo intelligente,
il che è un ossimoro,
una roba che esiste solo in letteratura
e non in natura.
Se invece sei intelligente,
è raro che tu sappia di esserlo,
e vorresti essere proprio tu,
tu che stai leggendo questo post,
quel fortunatone
che la statistica addirittura trascurerebbe,
che lo è e lo sa?
Quindi,
per il bene di chi ti circonda,
è meglio che
tu non sia.
Punto.

lunedì 23 aprile 2012

Vado al massimo?


Se dai il massimo di te stesso,Inserisci linka te, poi, non rimane niente.
Se non ti rimane niente,
è chiaro che ti senta portato
a prentendere il massimo dagli altri,
in modo che ti ritrovi con qualcosa,
e non con niente.

Se invece dai il giusto di te stesso,
potrai pretendere dagli altri il giusto.

mercoledì 21 marzo 2012

Ti amo sempre, anche oggi

Ti amo
Perché non riesco a dirtelo
A volte
Ma te lo vorrei dire
Sempre.

Ti amo
Pericolosamente
Perché sono invischiato
Fino al collo
E oltre
E mi piace il vischio,
Che è vischioso.

Ti amo
E poi ti odio
E poi ti amo

E non è mai indifferenza.

Ti amo perché
Non so i perché
Ti amo
E basta.

lunedì 13 giugno 2011

Recensione del mio libro "Emilio"

Dopo aver partecipato al 24° premio Calvino, ecco qui la recensione del mio libro in vendita su questo sito qui, a destra, anche in versione e-book.

Emilio a trent’anni non si può più permettere un amico immaginario e così ha creato un figlio immaginario e lo ha chiamato Ugo. A Ugo vengono diretti e scritti dei trafiletti, estemporanei, divertenti, meditati, riflessioni sul significato delle parole, invenzioni. Allineati uno dopo l’altro fino all’estinzione di Ugo stesso che come dice l’autrice-autore nell’ultimo capitoletto aperto “Fine?”, era parte di lui/lei. I capitoli trafiletti costituiscono un motivo per svegliarsi la mattina e hanno un livello molto altalenante pur essendo tutti brevi, concisi, diretti. Alcuni sono riusciti e compiuti nella loro interezza (il vuoto, pollice verde, cadute, collisione) e l’intuizione che genera la scrittura è un ragionamento che si compie nel breve spazio di una paginetta scarsa, altri contengono solo delle fulminee intuizioni (che i cuneesi guidino male è un post-concetto) che però sono dei lampi immersi in un testo-contenitore che li diluisce e li smorza, in altri casi la comicità o l’assurdo sono troppo faticosi (Pelosa interdetta) o poco originali (Ascelle farinose), in altri casi gli incisi per strappare a tutti costi un sorriso finiscono per essere stonati (cacca e pipì non hanno bisogno di una nota dantesca per giustificare una presunta volgarità). L’insieme è frammentario con esiti alterni, ma questo esordio più che un’opera compiuta va inteso come una prova di scrittura, come un esercizio per trattenere e riunire le pulsioni a scrivere di una mente brillante e come tale si rivela promettente.

Il Comitato di Lettura

domenica 9 maggio 2010

Buttati

Buttati
giù da un monte correndo sui sassi sull'erba sulla neve scivolosa
buttati
giù da un dirupo nell'aria
magari con un deltaplano o un aliante o un parapendio
se prendi le correnti ascensionali
ributtati giù dalle correnti ascensionali
se prendi quelle discensionali
risali sul monte e ributtati
buttati da un trampolino in una piscina
buttati di piedi
dal bordo
poi dal trampolino elastico di un metro
che se sbagli rimbalzi sul trampolino
con le parti del corpo
procurandoti un sacco di ematomi
ma comunque poi ributtati
buttati dal trampolino di cinque metri di cemento
buttati di testa
dal bordo
poi dal trampolino di un metro elastico
poi dal trampolino di cinque metri di cemento
se ti butti di testa
i pensieri arrivano prima
buttati
nella mischia
buttati nel vuoto
buttati da una roccia
nel mare limpido
se ti butti di testa
i pensieri arrivano prima
e se per caso ti succede come a Ramon,
non smettere comunque di buttarti
non so, prendi la tua carrozzina
e buttati comunque
e se ti piaceva tuffarti di testa
buttati di testa con la carrozzina e tutto nel mare
stavolta però scegli un mare un po' profondo
e se ti butti con la carrozzina forse di testa il tuffo benissimo non viene
ma quando sarai in fondo al mare con la carrozzina
potrai
pensare
che
comunque
sarà
stata
un'emozione
fortissima.

martedì 24 novembre 2009

Autunno


Tutto quel foglieggiare
giallo
vivo
non era altro
che il
preludio
di questi
scheletri
neri
che
implorano
la
muta
cupola del cielo.

martedì 15 settembre 2009

Traversate


L'altro giorno ero al mare, e ho visto un uomo che voleva passare dal dire al fare.

E' chiaro che, se fossi stata in montagna, o in pianura, o ai laghi, quest'uomo non l'avrei visto, dato che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.

Sto tipo era proprio intenzionato a effettuare il passaggio.

Infatti, senza troppi ma nè se, si è tuffato di testa prima in acqua e ha iniziato a nuotare.

Il pasticcio è che, dopo un po', è arrivato uno squalo tigre, razza che caratterizza il mare bordato da un lato dal dire e dall'altro lato dal fare. Sto squalo gli si è attaccato a un piede e ha iniziato a sbocconcellarlo tutto, sbriciolando tutte le falangine e falangette e succhiando bene bene l'osso, finchè è stato pulitissimo e bianchissimo.

Il tizio, urlando dal dolore, è tornato a grandissime bracciate sulla riva del dire, e ne è uscito correndo un po' sul piede integro, un po' sull'osso bianchissimo e pulitissimo.

Il giorno dopo, il tizio, armato di barchetta a remi, zoppicando sul moncherino, si è reinoltrato in acqua.

La barchetta a remi è sparita all'orizzonte.

Nessuno l'ha più visto.

mercoledì 29 aprile 2009

Recensione del mio libro "Mal d'Africa(no)"


Non so se questa recensione vi farà venire voglia di leggere il mio libro (se guardate qui a destra, vi accorgerete di poterlo acquistare cartaceo per 10 €, cliccando sull'immagine della copertina, o scaricare gratuitamente), ma ve la incollo. Non si sa mai.

E' l'esito della partecipazione al 22° premio Calvino:

Sofia, studentessa di Cuneo residente a Torino, conosce Mamour, immigrato di seconda generazione che insegna a Parigi. Tra i due nasce una storia d'amore. Le differenze sono tante, di età, di provenienza geografica (nel doppio senso della nazionalità e delle radici africane), di religione. Ma i due si amano e in incontri che si succedono negli anni (all'interno dei capitoli sono scrupolosamente annotate anche le date) la loro storia d'amore dura tra mille difficoltà e crescenti perplessità. È una storia metafora del nostro tempo curioso e avventuroso, ma anche precario, insicuro e necessariamente insoddisfatto. La ragazza sente di essere degna di una dimensione più stimolante della provinciale Cuneo, e le circostanze lavorative la allontanano dal suo amante per portarla in varie città: la loro storia costituita di successioni di incontri è caratterizzata da viaggi in tutta Europa in cui i due estranei riescono a conoscersi nella scoperta di realtà sempre nuove. È la precarietà e la mobilità il tratto che consente loro di stare insieme, un equilibrio nel non esistente, ma non hanno scelta. Lo stile è frizzante e giovanile e la condizione d'amore difficile è narrata con molta naturalezza così come i momenti di crisi; a volte, purtroppo, il ritmo rallenta e si avverte una certa ripetitività.

Il Comitato di Lettura

venerdì 21 novembre 2008

Antroforeste


C'era una volta una foresta.

La foresta sembrava una qualunque foresta, agli occhi di un daltonico.

Un normovedente, invece, notava subito che c'era qualcosa di strano.

La cosa strana era che le fronde degli alberi, anzichè verdi e frondose, o marroni e stecchite, erano rosa, o gialle, o, al massimo, color caffè.

Se si guardava bene, infatti, non c'erano fronde, ma uomini appesi ai rami.

Le donne c'erano anche.

Di solito, infatti, dove ci sono degli uomini ci sono anche delle donne.

Delle donne, anche loro rosa, o gialle, o al massimo colo caffè, utilizzando le braccia degli uomini appesi come liane, ondeggivano su e giù per la foresta. Ognuna di queste donne non toccava quasi mai terra: era sempre appesa a un uomo o all'altro, e, a volte, nel cambio, anche a due uomini, una mano appesa al braccio dell'uno, e una al braccio dell'altro. E così le loro braccia, secondo una darwiniana evoluzione, erano diventate lunghissime. Così lunghe che, alla fine, alcune di loro toccavano terra. Toccavano terra, ma le loro gambe si erano atrofizzate, e non riuscivano più a camminare. E così si afflosciavano su sè stesse non appena le loro lunghe braccia mollavano quelle degli uomini frondiferi. La cosa complicata era che, a forza di avere braccia così lunghe, faticavano anche a prendersi cura di sè stesse. Pensate all'ispettore Gadget che si pettina quando ha le braccia estroflessibili. Con tutta sta lunghezza, mica è facile. E così, una volta sfrondate, queste donne erano perdute.

C'erano poi altre donne che, invece, non avevano subito l'evoluzione darwiniana in quel senso: si erano accontentate di vivere sulla terra. Continuavano a condurre un'esistenza autonoma, e, se avevano voglia di un uomo, scrollavano un po' un tronco e ne facevano scendere giù uno ben maturo. A qualcuna toccava a volte un uomo un po' marcio o bacato. Ma, come si sa, basta tagliare via il pezzo intorno alla marcescenza o al verme, e poi il frutto torna ad essere perfettamente edibile. Al massimo con un retrogusto un po' amarognolo.

lunedì 6 ottobre 2008

La macchina della poesia



L'altro giorno ero lì che mi facevo un giro al festival del libro di Mouans Sartoux.

Ho girato l'angolo, e mi sono ritrovata di fronte a una grandissima macchina in cui c'era uno spazio concavo.

In questo spazio concavo bisognava infilare la testa, e si vedeva proprio, perchè c'era un poggiatesta egizio, insomma, si capiva davvero che lì ci poteva solo stare la tua testa.

Ecco il poggiatesta, per chi non credesse all'ineluttabilità dell'appoggiarci comodamente la testa. --------->


In ogni caso,ci ho appoggiato la testa.

E la macchina si è messa a girare girare e girare.

E zacchete.

Da una fessura sul lato è uscito un foglio con delle poesie bellissime, messe insieme dalla macchina attingendo da quello che di buono c'era nel mio cervello.

Che figata, mi sono detta, ma poi mi sono detta anche che così tutti sarebbero diventati poeti.

E se tutti fossero diventati poeti, non ci aarebbe più stato in realtà nessun poeta.

Così, dato che nessuno l'aveva ancora vista, dato che era lì in un angolino, ho preso un piede di porco che guarda caso mi sporgeva dalla tasca e l'ho distrutta, riducendola in pezzettini minuscoli.


Le poesie, però le ho ancora.


Vorreste leggerle?


Eh, no.

lunedì 14 aprile 2008

Palla al balzo

Il magrebino ci sorrideva, mostrandoci due palette bianche sporgenti. Anzi, GLI sorrideva, perchè lei e io non eravamo contemplate come interlocutrici.
Ci aveva messi davanti all'uscita del bar, e ci aveva aperto la porta davanti, per farci prendere aria. Perchè si sa, l'ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza. Mi sa che noi puzzavamo già dopo tre minuti.
Poi GLI ha spiegato come AVREMMO dovuto versare il thé alla menta. Menta proveniente dal Marocco direttamente, mica la menta che c'è qui a Torino.
GLI ha messo il narghilè in mano, tutto rivestito di carta stagnola. Tutti gli altri, tutti uomini, fumavano senza carta stagnola. GLI ha detto che ci serviva come protezione contro i batteri altrui, ma abbiamo avuto la sensazione che servisse a loro come protezione contro i NOSTRI batteri.


Ok, questo è il mio inizio: Farfallula, tocca a te, cogli la mia palla al balzo per continuarla? Poi passala al blogger che vuoi! Vediamo che ne viene fuori!