LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

sabato 30 gennaio 2016

Raggrupparsi


Capita di uscire in un gruppo che, partendo da una serata apparentemente come tutte le altre, muti in polpo tentacolare.
 Al'inizio si era due o tre, poi accade un'evoluzione che segue un vorticoso principio alla Amway, senza che la si possa controllare in alcun modo.
Ci si ritrova così inglobati in un mastodonte obeso con tanti cervelli in sommatoria, che invade le strade, incastonandosi nella folla della movida serale.
Ogni movimento diventa inusualmente difficile: si diventa all'improvviso qualcosa che deve decidere mettendo d'accordo venti-trenta cervelli. Si passa il tempo in piedi al freddo, perdendo i confini della creatura. Nel vortice delle presentazioni, ci si è persi i nomi e le facce di tutti. Perché i singoli nomi e facce sono secondari rispetto alla loro somma e funzionali solo ad essa. E così, mentre si aspetta che parta l'input del movimento verso una meta, ci si gira a destra e sinistra e, tra le facce note, se ne intravedono molte che non si sa se facciano parte del gruppo o meno. Per non risultare maleducati o arteriosclerotici, ci si mette a chiacchierare a destra e sinistra, per poi scoprire che si è favorito l'allegarsi di gente che non c'entrava nulla con la formazione iniziale. L'ammasso si allarga dilagante. Ogni due metri qualcuno si ferma a salutare qualcun altro incontrato per caso. Nessun locale può contenere cotanto insieme di menti e corpi e intenzioni. Gli indianini con le rose si insinuano in mezzo alla folla e non se ne staccano più, cercando invano parvenze di coppie e proponendo alla fine i loro fiori a chiunque sia alla loro portata. L'agglomerato si dipana serpeggiando tra amici pregressi, nuove conoscenze, gente che non si parlerà né conoscerà mai, indianini che infilano rose sotto le ascelle altrui, ubriachi che intonano canzoni prendendo a braccetto ora l'uno ora l'altro.
Quando si tornerà a casa, si riconoscerà finalmente il proprio cervello.
Lo si riconnetterà a se stessi.
Si verificherà che tutto funzioni ancora come prima.
Ci si tranquillizzerà.
C'è ancora tutto.
Come prima.
Tale e quale.
Niente di più.
Niente di meno.

domenica 24 gennaio 2016

La Simmetria


Quando Dante diceva che "amor, ch’a nullo amato amar perdona", doveva essere sotto effetto di Ketamina. Ci sono troppi indizi di uso della suddetta, dalla tipica esperienza del volo, fino a quando cadde come corpo morto cade, che è il tipico distaccamento sensoriale indotto dalla sostanza. Prima di scrivere la Divina Commedia avrà fatto un giro nelle zone di Christopher McCandless, sbafando casualmente bacche qua e là. Mi rendo conto delle notevoli discrepanze spazio-temporali. Per una volta (ancora) mi avvalgo della licenza blogghica. 

Poi ci si è messo pure Jovanotti. Ma mi chiedo io, come gli è venuto in mente di voler scrivere "amor, ch’a nullo amato amar perdona" sui muri e sulle metropolitane? Del resto, per lui non sussistono le suddette discrepanze. Quindi si può capire che si metta a scrivere simili affermazioni. 

Ma nella realtà, fuori dalle canzoni, non succede quasi mai che amor ch'a nullo amato amar perdoni. 

Si creano quasi sempre situazioni di asimmetria totale. 

La situazione A è quella in cui qualcuno si innamora di te, senza che tu lo ricambi. 
Magari sei in un periodo in cui, dopo aver sfogliato svogliatamente il catalogo dei potenziali pretendenti, dopo esserti aggirato trascinando i piedi tra i lineari del supermercato degli esseri umani, ne hai preso uno dal secondo scaffale a destra, hai studiato l'elenco ingredienti, e hai detto proviamolo. E' pure in autopromozione. 
Dal canto suo, l'individuo individuato diventa il tappetino della doccia, il cane di Breakout, la patella sullo scoglio, la zecca sprofondata nella tua carne.
Una cosa così non può essere.
Non deve essere.
Ma può non essere?

La situazione B è peggio della A, perché il tappetino della doccia, il cane di Breakout, la patella sullo scoglio, la zecca sprofondata nella carne altrui sei TU. Sei stato scelto per noia, sei stato il meno peggio di un ventaglio, sei la persona carina simpatica razionalmente adatta. Sei il "proviamo a vedere", il "tanto siamo qui", il "passatempo".
Una cosa così non può essere.
Non deve essere.
Ma può non essere?

Il fatto è che ti guardi intorno, ascolti i racconti delle persone che vivono in questo mondo intorno a te e non nei libri o nei film poco originali, e capisci che invece può essere. Anzi, è proprio così. E' quasi sempre così. Non può che essere così. La simmetria è per le proiezioni ortogonali della mente. La realtà è illusione, menzogne a se stessi e agli altri, autocommiserazione, autoaccontentamento, tutto pur di fingere di non essere nella situazione A, o, peggio, nella B.
La tua tesi si consolida negli anni.
Ipotesi.
Corollari vari.
Dimostrazione.
Cvd.

Poi, un giorno, tardissimo, dopo anni di infallibili dimostrazioni, capisci che "Storia del Pensiero economico" non era così stupido come esame. Forse aveva un senso aver preso 30 proprio lì, proprio in un esame così stupido. Un esame così stupido che fa capire che si nasce e vive senza esperienza, si muore senza assuefazione. Dimostrazioni ineccepibili e grandiose smontate e riposte in disuso in un angolo della memoria da un evento scardinante.

Come due sguardi che in un momento sovrappongono un destino.

E' un bene?

E' un male?

Può essere?

Deve essere?




E'.

venerdì 22 gennaio 2016

Muse


No, questo non è un post sul famoso gruppo alternative rock britannico.

E' un post sulle divinità greche ispiratrici delle arti, che poi per antonomasia sono diventate qualsiasi evento, persona, oggetto, pensiero scatenante dell'ispirazione.

Uno è lì che vive immerso nella più temibile e devastante causa di morte in vita, la NOIA, che fagocita qualsiasi estro, e si presenta prima o poi alle porte di tutti, e ormai pensa che sia successo qualcosa di inevitabile. Che i neuroni siano fioccati giù dal proprio cervello come forfora, con la differenza che il cuoio capelluto si ricrea e quelli no. Uno si convince che la degenerazione sia ineluttabile, e non crede nemmeno di essere annoiato, o poco stimolato. Si assuefà alle situazioni in cui vive, si crea riferimenti in base a ciò che lo circonda. Il mondo diventa un insieme di quei riferimenti e si dimentica il passato, quando, non si sa come, non si sa perché, si era zeppi di idee e non si vedeva l'ora di estrinsecarle.
La creazione diventa un lavoro.

Poi, ad un certo punto, ecco che arriva la Musa.
Forse era andata a farsi un vacanza, forse era impegnata con altri.
Forse la sua assenza era stata così lunga che la si era scordata.
Invece torna,
sotto forma di oggetto, pensiero, sogno, persona, idea, istante,
e ci coglie.
E' un interruttore che viene acceso all'improvviso: di colpo ci si ritrova di nuovo presenti a se stessi, come dopo una giornata di vento che rende tutto sclent e lusent.

E allora si scopre che i neuroni ancora sono in buona parte lì,
e che non si può fare altro che assecondare quest'epifania,
sperando che non sfumi,
sapendo che sfumerà,
e che l'unica cosa che si può fare
è
fare ingorde scorte.

mercoledì 20 gennaio 2016

Fiuto da segugio


Quando si ha un'automobile, si sa, son costi.
Non solo per comprarla, ma anche per mantenerla.
Il paradosso è che più si allontana il momento della prima spesa, più le ultime aumentano.
E così ci si ritrova con un catorcio bozzolato che va avanti per miracolo inondando le strade di un nuvolone nero e fuligginoso, ma si spende ogni anno una cifra che a fare la somma degli ultimi tagliandi si sarebbe potuta comprare un'auto nuova.
Ma l'affezione è una brutta bestia. Si pensa alle avventure vissute con quella macchina, a tutte le opportunità derivanti dalle volte in cui ci ha abbandonati in autostrada in mezzo a un deserto, o a quando si è fermata sulle rotaie del tram in arrivo, o si è spenta irrimediabilmente su un attraversamento ferroviario. Si torna con la mente a quelle giornate di primavera in cui ogni km ci si fermava per versare acqua nel radiatore fumante, al primo scasso subito, al primo specchietto rotto poi sostituito con un altro dello sfasciacarrozze di improbabile abbinamento cromatico. Si pensa a tutto ciò e si decide che la propria auto è una della famiglia e che va tenuta, costi quel che costi. Se però costa meno è meglio.

Proprio per questo ci si mette, succubi della pubblicità, su segugio.it, a cercare di risparmiare almeno sull'assicurazione. Dopo un po' di smanettamento, si ottiene la classifica dalla meno alla più cara.
Per risparmiare tocca prendere l'assicurazione con il gps.
Figata, meglio guidi meno spendi.
Non importa che con quella senza gps uno spenda 30 € in meno, ormai è galvanizzato dal risparmio a tutti i costi.
E così il suo puntatore del mouse va a selezionare quell'opzione.
Subito dopo aver pagato scopre che dovrà investire un pomeriggio per andare a far installare il gps da un'autofficina. Effettivamente l'ftp assicurazione-cofano dell'automobile non è ancora stato inventato.

Dopodiché, inizia la sua vita automobilistica con il gps.

Se è uno che non usa mai la macchina e la lascia abbandonata e raminga sul ciglio di una strada per mesi, la prima volta che ne avrà bisogno scoprirà che la batteria sarà andata. Se ne dovrà comprare un'altra, spendendo molto di più di quanto non pagasse per la vecchia assicurazione. In più, dovrà prendersi cura della batteria nuova, andando a trovare l'automobile più di quanto non faccia con gli amici e accendendone il motore ogni 2 settimane almeno. Una schiavitù. Il tutto per 30 € in meno. Ah no, scherzavo: 170 in più.

Se invece è uno che usa sempre la macchina, non gli si abbatterà la batteria, ma il morale. Mensilmente, infatti, l'assicurazione invia gli indicatori di come guida. Solitamente, più tempo si passa in automobile, più cavolate si fanno. Gli indicatori colano a picco, riducendo sensibilmente lo sconto sul prossimo rinnovo.

Il gps, poi, non è solo una rottura da montare, è anche e soprattutto un occhio invisibile che ti segue ovunque tu vada, qualsiasi velocità segni il tuo tachimetro e qualunque cosa tu faccia (in macchina). Il che significa che lui SAPRA'.
Saprà dove sarai, saprà quali effrazioni avrai fatto, saprà che incidenti avrai avuto.
Loro dicono che così si definisce meglio la colpa in caso di incidenti:e tutto sommato, se si è dei buoni oratori (e dei pessimi guidatori) potrebbe non essere proprio ottimale.
Loro dicono che così se rubano il veicolo si può controllare dov'è finito e recuperarlo.
Loro, però, non dicono che potranno seguirti ovunque tu vada, cosa di cui magari non ti fregherà nulla, a meno che tu non sia una spia del kgb, ma in tal caso dubito che ti installi un'assicurazione con il gps.
Loro non ti dicono che stanno aspettando che la gente, vittima della lobotomizzazione da segugio.it, si converta tutta all'assicurazione gps, per poi collegare direttamente le centrali della Polizia di Stato con le automobili dei cittadini e seppellirli di multe ad ogni minimo sgarro, foss'anche quando si va al palazzetto a fare i freni a mano.
Fantascienza?
Lesione della privacy?
Ma figurarsi.

sabato 16 gennaio 2016

Flagello urbano



C'è un flagello dei ciclisti che si aggira per le città indisturbato, anzi pure incentivato.
Il flagello, infatti, dovrebbe concorrere alla riduzione dell'inquinamento, tanto che, ultimamente, è pure diventato gratuito in derte giornate particolarmente grigie.
Nessuno tiene conto del fatto che il suddetto salverà forse polmoni ma è una vera minaccia per il ciclista, che, anche lui, salva polmoni (altrui), soprattutto se affiancato da numerosi suoi simili.
Il pedalatore urbano, però, oltre a condannare i suoi, di polmoni, rischia proprio tutti gli organi.
Uno dei maggiori stakeholders della sua morte è appunto il flagello autobus.

Sei lì che pedali tranquillo, limitandoti a scansare pedoni per cui se sei silenzioso non esisti, automobili, altri ciclisti del Tobike, quando ecco che incombe dietro di te il ben noto rombo. Continui a pedalare, girandoti ogni tanto per vedere il serpentone snodato il cui muso quadrato si avvicina inesorabilmente. Inesorabilmente ma lentamente, dato che tu e lui, ed è questo il flagello, andate più o meno alla stessa velocità. Infatti l'incombenza retrostante è più rara rispetto alla svolta flagellante, consistente nell'immettersi in una strada che si deve percorrere lungamente e obbligatoriamente nello stesso istante in cui sta passando LUI.
Nel primo caso, si inizia subito con il trauma del sorpasso.
Vedi un ammasso di gente schiacciata contro i vetri seduta e in piedi in un tetris umano di bacilli volanti e sudori misti.
Il conglomerato di carne e lamiera ti passa sulla sinistra; man mano che finisce il sorpasso, ti chiude tra lui e il marciapiedi, finché il tuo manubrio non si trova a un millimetro dalla sua fiancata, finché non vedi distintamente i punti neri del naso dei passeggeri.
Il gas di scarico del lombrico gigante a sezione quadrata, valevole per la sommatoria di quelli dei potenziali mezzi di trasporto privati di ogni suo utente, ti stordisce le narici e ti offusca i pensieri.
Relativizzato dal gas, il tuo cervello inizia a elaborare che tutto sommato è un buon giorno per morire. Spesso, ma non sempre, però, non è quello il buon giorno, perché l'autobus finisce il sorpasso inchiodando sulla fermata.
Ti tocca superarlo, ma dopo pochi secondi te lo ritrovi dietro.
Cerchi di fuggire, evitando le rotaie del tram che si intersecano a disegnare un centrino di ferro in cui ti devi destreggiare per attraversare ogni binario perpendicolarmente. Mentre fai equilibrismi di raro virtuosismo, il rombo si avvicina, e ti ritrovi nella stessa situazione di prima, con l'autobus che ti chiude, le rotaie che pongono il veto su una serie di direzioni e i punti neri dei passeggeri così vicini che se non ci fossero i vetri potresti anche scoppiarli, mollando il manubrio in un'esibizione di acrobazia urbana senza pari e sparandoti in faccia lapilli di pus bianco,
tanto per oscurarti la vista
e vivere quel momento obbligatoriamente reiterato
in
un
candido
oblìo.

lunedì 11 gennaio 2016

Identità linguistico-cittadine


In Marocco le lingue ufficiali sono l'arabo e il tamazight, che è il berbero, strano mix di francese, arabo e piemontese (secondo la mia modesta opinione).

E' però risaputo che gran parte dei marocchini parli francese.
Talmente risaputo che se uno va in Marocco e si rivolge a qualcuno in francese gli viene risposto invariabilmente in inglese o in arabo. Insistendo molto, poi, ci si sente rispondere in francese. Chissà da dove deriva questo essere restii a confessare di conoscere questa lingua, pertanto ritenuta elegante e raffinata.

Andiamo ad analizzarne le ragioni partendo da una delle famose città imperiali, dove il fenomeno di negazione del francese è più massiccio.

Fès.

La pronuncia è identica a quella del francese fesse, che sta a indicare quelle parti posteriori su cui ci si siede e che in palestra vengono definite natiche dagli istruttori che vorrebbero sempre farle tonificare ai poveri clienti (facendo fare loro un culo così a furia di esercizi, soprattutto in questo periodo post-natalizio).
Ora, è ovvio che se quasi tutti a Fès conoscessero il francese non avrebbero piacere di vivere in una città il cui nome ricorda quello delle chiappe. E' un po' come essere clienti di in un supermercato che si chiama cojonazzo. E così, si fregiano di parlare inglese, dove il nome ha assonanza con face, che vuol dire faccia.
Sotto sotto, però, inconfessabilmente, molti sanno anche il francese, ma non amano rivelarlo, per evitare che si palesi l'identità Fès-fesse-face, da cui si potrebbe dedurre che abbiano la face come le fesse.