LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

martedì 17 novembre 2020

Perché la dieta spesso non funziona

Uno, un giorno, si guarda allo specchio e scopre, praticamente di colpo, di essere grasso. 

Al che, la prima idea (e anche l'ultima e pure, spesso, tutte quelle di mezzo) che gli viene in mente è: "dieta".

Conta le percentuali di lipidi carboidrati proteine, decide quante calorie introdurre al giorno, monitora, magari si iscrive anche in palestra, e via. 

Una fatica pazzesca, le giornate dominate dall'idea di un babà con panna che incombe irraggiungibile, cene e pranzi rifiutati, quelle sedute in palestra che piuttosto uno si appenderebbe a un albero (in realtà lo fa, si appende, ma a un macchinario, che è peggio). 

Uno si dice: "Deve funzionare per forza". 

E invece non funziona.

Rimane grasso. Al più migliora un po', ma niente di eclatante.

Sarà conformazione, sarà che ha sbagliato qualcosa. 

Sarà che la sua vita è finita al servizio del suo corpo da migliorare. Perché, ok che la libertà non esiste, ma mettersi al servizio anche di ciò che dovrebbe essere al nostro è accanimento nel limitare quell'area di movimento che ancora è risparmiata dall'assenza di libertà. 

Nell'inesistenza di libertà, sarebbe bene capire che c'è ancora qualcosa che sta al nostro servizio - e non viceversa -, tipo il nostro corpo. 

Ci mettiamo a dieta perché il nostro corpo sia conforme all'idea di lui che abbiamo (probabilmente ai nostri occhi irraggiungibile). Andiamo in palestra per lo stesso motivo. 

Avete mai visto una pubblicità di una palestra in cui vi si dice che sarà bello andarci? Magari cercano anche di farvi divertire in qualche artefatto modo, ma, appunto, si tratta di un di-vertissement. Lo scopo unico è IL FISICO. 

Tra dieta e palestra, il vostro benessere psicologico non trarrà grandi benefici. Quel babà gigante e il sogno di stare coricati su una sdraio caraibica con cocktail super calorico, patatine e due indigeni che vi sventolano palme davanti vi perseguiteranno. 

E allora che fare? Andateci, su una spiaggia caraibica o nel posto che vi pare, magari a piedi o in bici. Mollate quello scatolone maleodorante della palestra. Concentratevi sul mettere il vostro corpo al servizio del vostro benessere. Non penserete più ai babà giganti, perché sarete impegnati a vivere per voi e non per il vostro corpo. Di colpo, quando arriverete alla vostra spiaggia caraibica o dove vi pare, non vi fregherà più né del vostro corpo né della sdraio. Sarete in forma e non avrete bisogno di coricarvi. Non vi fregherà nemmeno più di QUELLA spiaggia se vi sarete goduti tutto il viaggio. E se non ci arriverete, non vi fregherà poi così tanto della meta perché vi sarete goduti il viaggio. 

Ma voi direte: perché mai devo andare alla spiaggia caribica o dove mi pare? Posso stare dove sono. E' più comodo. Costa meno. Mi fa rimanere inserito nella società in cui vivo. Figurati se con dieta e palestra non ce la faccio, a dimagrire lo stesso. 

Molti non ce la fanno, a dimagrire lo stesso. 

Alcuni ce la fanno. Quelli credono di essere arrivati, con enorme sacrificio, alla meta (unica cosa importante e meritevole di attenzione). Quindi si trovano davanti ad un bivio e agiscono in due modi alternativi:

  • smettono, e tornano a essere grassi, ma più di prima perché il corpo si è disabituato e quindi fa più scorte di prima per recuperare il depauperamento che ha vissuto;
  • continuano. Palestra, dieta, pesa tutto. Stai attento. Mangia l'insalata a cena. Con gli amici, dì: "questo non lo mangio, sono a dieta". Con la fidanzata fai lo stesso, quando siete in un bel ristorante. 
In entrambi i casi, uno non è molto felice. Nel primo deve ricominciare da capo, in un'escalation di cicli e ricicli, in cui ogni volta si trova più grasso di quando era partito. Nel secondo vive di stenti. 

Ora, tornate su e ripensate il processo nel momento in cui uno, di colpo, scopre di essere malato invece che grasso. Al posto della "dieta" c'è la "cura". La cura diventa il pensiero fisso monomaniacale della vita. 

In molti casi - sebbene non in tutti - il problema si sarebbe potuto evitare. Si constata solo l'effetto quando si manifesta, ignari del processo che ha portato al problema, soffocati da una serie di costrizioni auto o eteroimposte (che possono essere la causa di segni di malessere generale, quali ingrassamento, malattie, ecc). 

La soluzione è fare quello che si vuole fare (e sapere cos'è). 

Fare quello che si vuole fare avviene nei limiti della libertà degli altri, e non del loro volere (spesso distorto), cosa che si è obbligati a fare per legge da minorenni. La vita da minorenni dura - per convenzione e non per reale necessità - fino a diciotto anni, ed è già tantissimo. Infatti, risaputamente, l'adolescenza è un periodo di merda perché uno non ce la fa già più, a sottostare al volere dei genitori. Figurarsi dopo. 

Dopo, meglio capire cosa fa stare bene e farlo. Anche se non piace ai genitori. Anche se non piace alla società.

Se no il corpo ci avverte che c'è qualcosa che non va nella schiavitù della nostra vita. 

Cosa dite? Che avete letto questo e vi siete resi conto che non essere schiavi ha un costo altissimo, o forse che proprio non si può fare? Ritagliarsi un pezzo di libertà in tutta questa non-libertà su cui l'esistenza è imperniata è un'opera al di sopra delle vostre possibilità?

E allora, cari miei, arrendetevi.  

domenica 1 novembre 2020

Vietato accettare la morte

 


L’uomo si è evoluto.


In questa evoluzione, ha lasciato indietro un po’ di cose, tanto era preso dall’avanzare.

Insomma, l’avanzamento, lo dice anche il termine, ha prodotto degli avanzi.


Ad esempio, è diventato illegale accettare la morte.  

E’ la legge non scritta più chiara a tutti.


Una volta la gente moriva: a trenta-quarant’anni, in guerra, di polmonite, di raffreddore, masticata da un giaguaro, uccisa da qualcuno, anche a pietrate in testa.

Andava bene, era la vita a presumere la morte.

Inizio – svolgimento – fine.

Al ciclo di vita non si sfugge.

Era chiaro a tutti.

 

Adesso la gente muore ugualmente, ma non va più bene.

 

La gente è così avanti che non le sta più bene il ciclo della vita.

 

Se muori, e non sei sufficientemente (?) vecchio, ci sono due ipotesi:

·      che tu sia uno sfigato, e quindi sia tu sia chi ti circonda iniziate a creare questo alone di vittimismo mescolato a dosi generose di senso di colpa che accompagneranno voi e chi vi circonda non per il resto della vostra vita ma per il resto della vostra progenie;

·      che tu sia un coglione: te la sei andata a cercare, e magari – peggio ancora – lo hai fatto mettendo a repentaglio le vite altrui oltre alla tua.

 

Se poi quelli intorno a te accettano la tua morte, e magari continuano a vivere, sono dei cinici e degli stronzi.

Meglio se vanno avanti nel lutto e nel dolore. 

 

No, quelli intorno a te devono tutelarti dalla morte a tutti i costi, anche a costo di non lasciarti vivere.

 

Il bambino non può mica uscire da solo, è pericoloso. E’ meglio farlo uscire sempre accompagnato. Anche giocare da solo può essere pericoloso, meglio un adulto che lo controlli e giochi con lui. Sempre. Dormire da solo? E se cade? E se batte la testa? E se si sente solo? Vorremo mica far partire il ciclo vittimismo/senso di colpa generazionale? No, no, meglio andare avanti così, finché il bambino ha 30-40-50 anni.

 

No, no, il rischio di morte non deve più esistere.

Avvolgiamoci nella bambagia, evitiamo ogni spigolo.

Se il mondo è pieno di spigoli, evitiamo il mondo.