LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.
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giovedì 31 ottobre 2024

Questione di etimologia

 Aveva ragione Moretti, le parole sono importanti. 
Molti dicono di no, che le parole sono solo una convenzione, che l'importante è la sostanza. 
La sostanza, però, a volte deriva anche dalle parole che si usano per definirla, e l'etimologia stessa racconta molto più di quello che si pensi. Ci condiziona senza che ce ne rendiamo davvero conto, un po' come fa l'inconscio rispetto al cosciente, che ci governa mentre pensiamo di essere noi a decidere tutto a livello consapevole. 

Facciamo un esempio: a scuola, una volta c'era il Preside, adesso c'è il Dirigente Scolastico. 

A fare un concorso da Preside andrebbero le stesse persone che vanno a farne uno da Dirigente Scolastico?

Sembra che, sostanzialmente, si tratti sempre di quel primo inter pares che coordina e organizza l'attività di un collegio di docenti, ma l'etimologia la dice molto lunga:
  • Preside, infatti, deriva dal latino praeses -ĭdis ‘chi siede avanti, chi presiede’, der. di praesidēre ‘presiedere’ •sec. XIV.
  • Dirigente, invece, deriva dal latino dirigĕre, der. di regĕre ‘guidare, reggere’, col pref. dis- 1 •prima metà sec. XIV.
In sintesi, l'etimologia dice che:
  • il Preside presiede,
  •  il Dirigente dirige. 

mercoledì 18 ottobre 2023

L'eterno dilemma dei voti

L'altro giorno leggevo un articolo della Mastrocola sui voti
I voti sono importanti o no? Definiscono quello che si è o bollano come lettere scarlatte?
Mastrocola sostiene che siano importanti, per una serie di motivi che non ho voglia di riassumere e potete leggervi nell'articolo. 
Il punto cruciale è che, a meno che non cambi qualcosa (e forse cambierà), per ora i voti esistono e ce li dobbiamo tenere tutti, prof e alunni. Anche quelli dello scientifico Bottoni di Milano, prima o poi li avranno, se non nel primo, almeno nel secondo quadrimestre. Voto rinviato, ma non eliminato. 
Se si devono dare, sti voti, tanto vale darli nel modo più pedagogico possibile. E qual è il modo più pedagogico? Secondo me risiede nella diffusione. Come gli alberghi diffusi di Matera: sono così sparsi in tutti i Sassi che non sembrano nemmeno più alberghi, ma lo sono. Così ho pensato di fare con i voti: dici una cosa intelligente in classe? 8. Dici una stronzata durante le lezioni? Nessun voto. Ti faccio fare un esercizio alla lavagna per 5 minuti? Un voto. Lo fai bene? Un bel voto. Lo fai male? 4, non meno, ché se no poi ti afflosci, ti senti un fallito, inizi a odiare la materia. Con 4, recuperi con un 8. Ce la puoi fare. Tanto basta che trovi un esercizio che sai fare bene e ti proponga, e magari ce la farai. Te ne scrivo due o tre a matita, poi faccio la media, così quello che scrivo a matita non è un marchio scarlatto: se oggi hai mal di pancia e prendi 4, nessuno dice che tu non possa prendere 9 dopodomani, quando sarai in forma. 

Non ero molto sicura di questo metodo, ma ho notato che:
  1. gli studenti sono invogliati a partecipare, facendo osservazioni in classe. Per quanto spesso sia altamente probabile che dicano stronzate, almeno ci provano, e non hanno così paura di dirle perché non saranno valutati negativamente. Se riescono a tirare fuori qualcosa di buono, però, avranno un voto positivo che a loro appare "regalato", ma in realtà è guadagnato con l'impegno nel dire qualcosa di furbo, prima o poi;
  2. si instaura una gara a chi sa rispondere alle domande o fare esercizi alla lavagna. Di solito nessuno vuole essere interrogato, ma con i voti diffusi capita che ci sia una competizione su chi va alla lavagna per primo, anche perché, si sa, all'inizio è più facile che dopo un po'. E intanto, i ragazzi si abituano ad alzarsi dalla sedia, mettersi in gioco ed essere propositivi. Non parlo di Licei, insegno praticamente solo nei professionali, e sì, il parapiglia per andare alla lavagna accade nei professionali, dove maranza con look improbabili e cappellini in testa fanno a gara per andare alla lavagna a risolvere esercizi sulle proporzioni. 
Cosa dite? Il cappellino in testa in classe non va bene? Ovvio che non va bene. Glielo si dice. Ma se prendi di punta un maranza, con grandissima probabilità il maranza, e non solo lui, ti prenderà di punta. Meglio fare qualche battutina, fargli capire che magari la prossima volta se non lo mette è meglio, ma per lui, non per te.
In ogni caso, meglio un maranza con il cappellino che prende 9 alla lavagna, piuttosto che un maranza scappellinato incazzatissimo al banco che dorme o disturba. 

Il voto diffuso è faticoso per il prof? Sì, ma a tutto ci si abitua. 
L'importante è custodire accuratamente l'agenda con i voti a matita, possibilmente in una tasca impermeabile ricavata nella propria pancia a mo' di marsupiale. Ché se lo perdi, lì, veramente, son problemi. 

sabato 8 luglio 2023

Maturità canaglia

Come tutte le Maturità, anche quella del 2023 è deputata a segnare il passaggio dall’età acerba a quella, come dice il nome stesso, matura. Viene discussa davanti a una commissione di docenti che hanno raggiunto la Maturità, nella maggior parte dei casi, anni e anni prima. Si fronteggiano due falangi di persone di cui la prima è matura da così tanto tempo da far sorgere il dubbio di esserlo quasi troppo, la seconda potrebbe essere ancora acerba. Tutte e due sono bombardate: le prime da verbali, PTOF, PDP, PFI, PEI, relazioni del 15 maggio e burocrazia varia, le seconde da ogni tipo di stimolo passi attraverso il monitor di uno smartphone.  

I ragazzi arrivano alla prova visibilmente emozionati, il che vuol dire che la fama dell’Esame è un baluardo rimasto miracolosamente in piedi dopo il bombardamento che ha subito la scuola a cura dei vari Ministeri. Sudorazione eccesiva anche per i 30 gradi, gambe che frullano l’aria, visi chiazzati, piedi inquieti parlano da soli. Il look? L’abito fa il monaco, ma è anche importante comunicare il proprio stile, e così molti oscillano tra la tenuta da cerimonia e quella rischiosamente improntata al Cobainiano “come as you are”.  


I docenti hanno la via rischiarata da griglie di valutazione che li guidano minuziosamente - e vanamente 

Che fare se un candidato si presenta con i jeans strappati e gli orecchini? Gli si decurtano dei punti o lo si premia per il coraggio di essere sé stesso? E D’Annunzio estetista, non lo merita qualche punto ilarità? Ché poi, era talmente fashion victim, che un po’ estetista lo era. Confondere i nomi delle sue amanti è un merito o un demerito? Non è forse un modo per entrare in empatia con il vate, dato che è commettere il suo stesso errore? Senz’altro è un lapsus dannunziano dire che una delle frodi alimentari è l’adulterio. In ogni caso non c’è alcun dubbio, il voto della maturità è una roulotte russa.  

Pesa di più il senso di colpa dell’aver promosso qualcuno che non lo meritava o quello dell’averlo bocciato? La bilancia pende quasi sempre dalla parte della mole burocratica aggiuntiva in caso di non superamento: lo dicono i dati.  


C’è ingiustizia implicita nell’esame di maturità? Certo, come ovunque, e in questo prepara al mondo crudele che c’è fuori dalla scuola (come se quest’ultima non lo fosse). Basti pensare che i docenti, con il passare dei giorni, sono sempre più stanchi, annoiati e distratti, mentre ogni alunno vive ciascun istante dell’Esame per la prima e ultima volta, nel 99,9% dei casi.  

lunedì 7 novembre 2022

L'assassinio della lingua italiana

Di solito vi parlo di uno, uno che può essere me, o voi. Invece oggi parlo proprio di me. Di cose che mi sono successe. 
Sono una prof, insegno una materia di quelle per cui si ha la tacita licenza di sbagliare la sintassi e la grammatica. Capita però che, a me, sintassi e grammatica facciano un effetto strano. Da sempre, riconoscere un complemento di specificazione, uno di termine, scoprire un mio tipico errore di grammatica o un piemontesismo che uso in modo improprio e correggerli mi dà una vertigine che manco l'Oil tower. Una frase scritta bene che crei un'immagine nitida di un'emozione o di una situazione mi fa un effetto quasi orgasmico. Insomma, il linguaggio mi piace proprio, in modo entusiastico. 

Nell'ultimo mese sono entrata in contatto, seduta in un pubblico ascoltante, con almeno due docenti di lettere di Liceo. Di quelli che non hanno la licenza di sbagliare le frasi. Ammirata a priori, mi sono seduta e li ho ascoltati parlare sia di contenuti, sia di questioni relative a come i giovani liceali recepiscano la lingua italiana e a come reagiscano spesso male alle lezioni sulla lingua volgare o sul latino. Ebbene, dopo circa 15 minuti di attento ascolto, io, maniaca della grammatica, umanisticosapiosessuale, stavo per crollare dalla sedia direttamente al suolo, sprofondata in un sonno in cui nemmeno un pacchetto intero di Novanight mi avrebbe spedita così rapidamente. Eppure, la lingua usata era italiano, mica latino o volgare, e usciva dalla bocca di prof, quelli che stanno con i giovani, i giovani che dovrebbero appassionarsi alle lettere, invece di mandarsi messaggini da semianalfabeti pieni di errori e smiley. Strano, che non si appassionino...molto strano. Decisamente, una generazione degenere. 

La lingua, bisogna ricordarlo a qualcuno, è emozione, divertimento, gioco, scambio. Non un fiume di ridondanti parole a senso unico, che si arrotolano su sé stesse, per approdare nel nulla cosmico dell'autocompiacimento intellettual-nombrilista, o nell'espressione di un concetto ogni mezz'ora. Il linguaggio, qualsiasi linguaggio, è scambio e confronto. Richiede un controllo sul feed-back. 
Spero di essere incappata in casi strani, isolati. 
Per me, quella con le lettere, non può che essere una storia seria divertente, perché, senza divertimento e coinvolgimento, non si va da nessuna parte.
Anzi, si va, si va nella noia totale e nel disgusto per un strumento che racchiude in sé tutte le possibilità del mondo, se si impara ad utilizzarlo senza odiarlo. 

E concluderei con: 🙆🙊🙉🙈👂👄👄👄👄👄👄👄👄👊👾

E riconcluderei, tanto per accapponarmi un po' la pelle, con:




giovedì 3 marzo 2022

Letame

Ogni tanto qualche professore si comporta in modo da finire sui giornali.
La notizia del momento riferisce di un’insegnante di sostegno gravitante tra Saluzzo e Savigliano molto sollecita e coinvolta nel seguire un suo studente quattordicenne, al punto di avere una relazione di mesi con lui. Questa docente sicuramente non ha rispettato la deontologia professionale. Quattordici anni è l’età del consenso, e quindi, se non fosse stato per il suo ruolo, non avrebbe potuto  essere denunciata. Ma una famiglia che non vede il componente quattordicenne tornare la notte e si accontenta come giustificazione del fatto che abbia dormito su una panchina appare come la padella in cui il ragazzo saltellava prima di finire nella brace.
La provincia di Cuneo ha avuto vari precedenti di comportamenti ancora più inaspettati da parte di docenti: l’ex professor Fabrizio Pellegrino, quando ancora insegnava, nel 2014, amava, tra l'altro, giacere nel letame facendosi calpestare e percuotere da giovani alunni, in cambio di denaro e buoni voti. Sicuramente agli studenti, consenzienti, non sarà dispiaciuto quel lato dell'esperienza. 
Dai diamanti non nasce niente, dal letame è sorto il prof. 
Prima di finire in carcere.  

venerdì 22 gennaio 2021

DADattica in presenza

 
La DAD era un'avventura, ma la Azzolina ha estratto dal suo cappello magico altre meraviglie: la DAD al 50%.
Perché stare a casa davanti al PC, con una tazza di the, senza mascherina a lavorare su settecento finestre diverse, scannerizzare, cavarsi gli occhi, quando lo si può fare a scuola, con la mascherina fpp2 in faccia che scava l'osso del naso e fa diventare le orecchie due sportelli aperti, correndo come pazzi da un'aula pienissima di alunni a una vuota con LIM rotta o malfunzionante e programmi antidiluviani e non aggiornati? 

La Azzolina vuole che i docenti dimostrino quello che valgono, e quindi ha predisposto un simpatico percorso a ostacoli, che vedrà arrivare alla fine pochi, quelli che non moriranno di covid o non impazziranno, sprofondando in un eterno burnout. Così non ci sarà più il problema del precariato storico e delle graduatorie imballate. 

Il passaggio dalla DAD al 100% alla DAD al 50% ha reso la scuola migliore. 
Nella maggior parte dei casi, è stata scelta la presenza o l'assenza dell'intera classe. Quindi, il 50% è stato interpretato come la metà della scuola, non come tutte le classi a metà. 
In effetti a livello pedagogico e didattico ha più senso. A livello emergenziale, nessuno. Ma la preoccupazione della Azzolina è didattica (mica sanitaria), e quindi la maggior parte dei prof votanti ai collegi docenti si è allineata al suo encefalogramma. 

Parecchi docenti, grazie alla democrazia e alla vittoria della maggioranza, si sono quindi trovati nel migliore dei casi a passare una settimana a casa e una a scuola, ma spesso hanno avuto la gloriosa occasione di dimostrare meglio quanto valgono, trovandosi con metà delle classi a scuola e metà a casa. I più fortunati hanno un meraviglioso orario a scacchiera, caratterizzato da un'ora con gli alunni in presenza e una in DAD. Il che significa correre come ossessi da classi odorose di sudori e miasmi umani, dopo aver spalancato le finestre a folle velocità ed essere fuggiti prima che gli alunni infreddoliti insorgano, per fiondarsi in classi designate per la DAD. Di queste, una buona parte è priva di qualsiasi device.
Il docente tipo, spesso proveniente da lontano con una compilation di mezzi pubblici e privati, tra cui la bicicletta, può optare per due soluzioni, entrambe attingenti da strumentazioni proprie:
  • PC pesante come un mattone, da portare sulle spalle avanti e indietro, sudando e incurvandosi come sherpa. Il pregio è che funziona. 
  • tablet: leggero, elastico, assurdo da usare. Se il docente si mette in videoconferenza , non può fare altro. Appena accede a un'altra app (registro, classroom, word, excel, youtube), la videoconferenza si minimizza e gli alunni non sentono e vedono più il prof. E' vero che in un'ottica di empatia ha un senso, perché sperimentano sulla loro pelle cosa si prova a parlare con un quadratino nero che non risponde alle domande, ma sarebbe bello chiedere alla Azzolina quale sia il valore aggiunto di questa didattica invece che di quella fatta da casa. Per poter lavorare, il prof in questione deve connettersi alla videoconferenza con il cellulare, attaccare una tastiera bluetooth, mettere le cuffie, applicare un trasformatore all'uscita miniusb per poi collegare la tavoletta grafica. Peso di tutto l'ambaradan: lo stesso del PC. Funzionalità di gran lunga peggiore. Impressione squisitamente psicologica di evitare la pesantezza del PC. 
Se il prof ha solo un fisso, proprio non può caricarselo in spalla. Spererà nella LIM. 
Nel 90% dei casi, dovrà fare la lezione stando al telefono con il secchione della classe. Per fortuna ce n'è sempre uno. 
Nel 10% dei casi, trascorrerà il tempo intercorrente tra una lezione in presenza e l'altra ad attaccare cavi, schiacciare inutilmente tasti, dire parole non adatte a un educatore e correre per tutto l'istituto alla ricerca dell'introvabile tecnico informatico, imboscatosi in un antro personalizzato dove deve aver vissuto per tutto il periodo della DAD ingozzandosi di Netflix e co, a giudicare dall'obsolescenza non solo dei PC ma anche dei programmi presenti, tutti con la licenza da rinnovare, e, se c'è la LIM, con compattezza della superficie su cui scrivere identica a quella delle lenzuola stese ai fili per bucato.  

I dirigenti si profondono in aiuti ai docenti, consistenti in frasi di incoraggiamento tipo "Potete anche usare i vostri device, considerate che non siete medici che vanno ad operare". E per fortuna, perché se i medici avessero attrezzatura corrispondente a quella scolastica, gli ospedali sarebbero dei cimiteri. 

Ma i soldi abbondantemente profusi dal ministero dove sono finiti? 
Si saranno incastrati in qualche ingranaggio burocratico o in qualche tasca?
Ci saranno ma avranno cozzato contro il rimbalzo di incarichi tra un ATA e l'altro, tra un tecnico e l'altro? 
Non si sa. 
Fatto sta ed è che i fondi sono serviti solo a migliorare alcune scuole, tipo quelle che compaiono ai tg e dove va la Azzolina a fare un giretto ogni tanto, accompagnata da una troupe televisiva, prima di rinchiudersi nei suoi igienizzati locali privi di minorenni adolescenti con gli ormoni e i cervelli impazziti. 

E le famiglie, in tutto ciò? Sono impazzite pure loro, dopo un anno quasi intero di molta DAD. Come utilizzano il loro equilibrio psicologico messo a dura prova? Tempestando di telefonate i docenti, con la pretesa che nei pochi minuti di discontinua didattica in presenza, a faccia coperta e impegnati a dire ogni quattro secondi agli studenti di tirarsi su le mascherine, facciano il miracolo di moltiplicare i saperi. Anche se probabilmente costoro peccano di ignoranza matematica, perché è risaputo che zero, moltiplicato per qualsiasi numero, dà sempre zero. 

In ogni caso, questo non è importante, l'importante, per la Azzolina, è poter dire che la scuola è vita
Sì, vita di stenti. 

mercoledì 9 dicembre 2020

Sulle scuole aperte o chiuse, il COVID e la catena di riforme del sistema scolastico

 Mentre faccio colazione mi leggo la rassegna stampa web sull'app del Corriere della sera, per intenderci una delle poche cose non a pagamento e non per questo priva di interesse. 
Leggo sempre volentieri quasi tutti gli articoli, in particolar modo quelli di Luca Angelini.  
Oggi, poi, il tema mi riguarda: la scuola!

Leggo con interesse. Già il titolo è suggestivo: "La "tristezza e frustrazione" di Miozzo (Cts) per le scuole ancora chiuse". 


Vi si parla dell'immenso danno arrecato agli studenti costretti in casa alla DAD, della loro perdita notevole, del disastro che si sta consumando nelle giovani generazioni. Si insiste ancora sul fatto che a scuola i contagi non siano rilevanti, nonostante le evidenze. Vi si dice che il rischio per gli studenti di ammalarsi è molto basso. Non vi si ricorda che da asintomatici si è contagiosi ugualmente, e manco lo si sa. 

Ho per questo predisposto una risposta da "addetta ai lavori":

Buongiorno, 
mi sento in dovere di scriverle a proposito del suo articolo sulla Rassegna Stampa del Corriere pubblicata oggi.

Davanti alla “tristezza e la frustrazione” di Miozzo per le scuole chiuse, vorrei porre il punto di vista della sottoscritta, docente di sostegno in un istituto professionale superiore di Torino.

E’ sicuramente vero che gli ammassamenti sui mezzi pubblici e gli assembramenti tra studenti non solo davanti alle scuole, ma in ogni luogo, possibilmente senza mascherina e tutti abbracciati, siano dannose. Ma non ritengo veritiero che una volta varcati i muri delle scuole cambi tutto. I ragazzi che conosco da una decina d’anni di insegnamento nelle scuole professionali sono fatti così, e sono spesso poco consapevoli delle conseguenze delle loro azioni, e in generale per niente propensi al ragionamento logico-deduttivo.

Non mi riferisco qui a tutti gli alunni, perché sicuramente ci sono delle eccezioni, ma all’andazzo generale, che è poi quello che interessa quando si vanno a fare statistiche sui contagi.

Quando sento parlare politici e esperti vari o leggo quello che scrivono sulla scuola, ho l’impressione che non abbiano mai messo piede nelle classi, se non in qualche scuola d’élite poco rappresentativa. Per tutto il periodo in presenza, i miei studenti stavano in classe perlopiù con la mascherina sotto il naso se non sotto il mento, si alzavano di continuo, si sedevano in due sulla stessa sedia, bevevano dalla stessa lattina e mangiavano dallo stesso panino, e per parlare con noi prof venivano a poca distanza dalle nostre facce e si abbassavano la mascherina eventualmente (per puro caso) alzata, perché “così li sentivamo meglio”. Il tutto essendo redarguiti e illuminati sulla necessità di un comportamento diverso all’incirca ogni dieci minuti, con evidente impossibilità, o quasi, di svolgere le lezioni.

L’immagine di classi con gli alunni seduti in silenzio a prendere appunti, ognuno nel suo banco, con la bocca a un metro dalle bocche di tutti gli altri, sono per i nostalgici e coloro che la scuola non la conoscono. Non ho mai insegnato in un Liceo e spero che la situazione sia un po’ diversa,  ma sentir di continuo dire che la scuola non è luogo di contagio mi pare superficiale e irreale.

Lo stesso Miozzo, tra l’altro, ha riferito che la Azzolina, già a fine ottobre, fosse a conoscenza, dai dati trasmessi dai Presidi, di 65.000 casi nelle scuole. Ecco un articolo in proposito: https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/25451389/franco-bechis-lucia-azzolina-scuola-contagi-ecco-documento-dimostra-ministero-nascosto-verita-.html

Preciso – perché sembra dimenticato, in questo articolo - che nelle scuole non ci sono solo gli studenti teenager, che se contraggono il virus perlopiù manco se ne accorgono (e quindi continuano a circolare senza sospettare nulla), ma ci sono molti docenti/dipendenti con un’età media abbastanza alta, con famiglie da cui tornano quotidianamente, a loro volta spesso con figli che frequentano le scuole.

Aggiungo che mi rendo sicuramente conto del danno che viene apportato agli studenti, ma non sono d’accordo sul bilancio tra benefici e svantaggi che viene espresso in termini generali nell’articolo. Sicuramente ci sono un sacco di alunni che vanno a scuola per imparare, si impegnano e per cui non andare a scuola in presenza può essere un danno. Questi stessi studenti, in ogni caso, si daranno da fare anche in DDI, imparando a gestire l’apprendimento in modo diverso, che non fa mai male. Lavorando nei professionali rilevo che, grazie all’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, e anche alla cattiva comprensione della possibilità di andare comunque a lavorare a 14 anni con specifichi percorsi alternativi alla scuola, le classi sono piene di persone che vanno a scuola solo perché obbligate, in attesa di compiere i famigerati 16 anni, intente solo a disturbare e a arrecare il massimo intralcio allo svolgimento delle lezioni. Del resto, in una serie di lungimiranti riforme scolastiche, anche le ore di laboratorio sono stata ridotte se non quasi del tutto eliminate, aumentando il disinteresse di ragazzi più work-oriented. Questi individui, che di solito abbandonano il percorso scolastico verso i 16 anni o rimangono nelle scuole per interessi del tutto alieni dall’apprendimento (tipo il fatto che abbiano un ampio mercato di smercio di droghe leggere a portata di mano), non solo non traggono giovamento alcuno dall’essere a scuola, ma in questo periodo di pandemia sono veramente dannosi e, non sentendosi sottomessi a nessuna regola, favoriscono la diffusione del virus. I processi che portano all’espulsione di simili elementi sono lunghissimi e farraginosi, vista anche l’aziendalizzazione della scuola e la trasformazione degli studenti in clienti e di docenti/dirigenti in tappetini al servizio delle famiglie, che possono cambiare “prodotto-scuola” se quello attualmente in uso non soddisfa le esigenze dei loro figli-clienti, facendo perdere redditività all’Istituto-azienda. Inoltre, se davvero si riuscissero ad espellere tutti gli individui di questo tipo, si dimezzerebbe la popolazione scolastica di queste scuole.  

In questo contesto degenerativo, iniziato fin dalla riforma Berlinguer vent’anni fa, mi pare che una pandemia e un po’ di DDI non siano che la ciliegina sulla torta del disservizio nei confronti degli studenti, mentre ostinarsi ad aprire a gennaio questo tipo di scuole sia un efficacissimo strumento per dare una notevole spinta alla terza ondata pandemica. Tenere le finestre spalancate e stare nella corrente a settembre-ottobre è ben diverso da farlo a gennaio, con l’inizio dell’influenza stagionale oltre al covid.

Considerare i docenti carne da macello pur di fare bella figura a livello politico è tipico dell’andazzo italico-scolastico di un periodo ben più lungo rispetto al 2020-21.

martedì 7 luglio 2020

In totale acronimato

In questo 2020 si è introdotto prepotentemente il termine "smart working", detto anche lavoro a distanza. 

A scuola non fai il lavoro a distanza, e nemmeno lo smart working, fai la DAD. 
Tutti fanno il lavoro a distanza, mica il LAD, invece a scuola c'è la DAD. 

Ma c'era da sospettarlo, che si sarebbe introdotto un nuovo acronimo anche per questo, dato che la scuola è acronimica da sempre, e uno che ci arriva non ci capisce davvero una mazza (uno che ci permane ne capisce mezza). 
Perché mica si fa il collegio docenti, si fa il CD (che poi viene ascoltato da molto pochi e molto poco), da non confondere con il CdC. Un alunno in difficoltà, se non è un HC (a volte, per semplicità, anche detto DA), è un BES (e sì, in effetti di BES se ne vedono in gran numero e non solo a scuola) o un DSA e bisogna fargli il PEI o il PDP, in certi anni anche il PDF (da consegnare spesso in PDF ma a volte anche in altri formati).

Prossimamente i dialoghi tra insegnanti in aula docenti si svilupperanno così:
Prof 1: C! CV?
Prof 2: C, TB, ET?
Prof 1: NCM, D. 

Anche perché, si sa, con la mascherina è meglio risparmiare il fiato. 



mercoledì 21 agosto 2019

Mission INPSossible


Ok, siamo in Italia e tutto funziona in modo raffazzonato.
Però anche qui in italia la tecnologia inizia ad entrare nelle vite di tutti.

Ad esempio, il sito dell'INPS è super tecnologico.

Già in passato la sua ipertecnologia è stata toccata con mano, quando abbiamo dovuto procurarci un PIN, che metà si chiedeva direttamente all'INPS, metà da pc, ma poi arrivava tramite posta qualche mese dopo (perché anche le Poste vanno da dio). Poi si faceva un collage dei due pezzi di PIN e alla fine si poteva accedere comodamente da internet senza scomodarsi. Questo per quei fortunati che dovevano chiedere ogni anno la disoccupazione. Secondo me era un tentativo di dissuadere la gente dal richiederla. Ma la gente mica si dissuadeva, e si ammassava e si accalcava e si impegnava, perché, si sa, all'italiano medio c'è una sola cosa che accende l'ingegno: i soldi.

Uno cresce,anzi invecchia, riesce in qualche mirabolante modo a superare lo scoglio del precariato, e si ritrova a leggere che il riscatto della laurea costa meno. Certo, è un rischio pazzesco riscattarla, si paga un casino adesso e quasi sicuramente si sarà morti al momento di andare in pensione, sia perché l'età pensionabile sarà di circa 70 anni, sia perché, con quello che stiamo distruggendo, manco a 60 ci si arriverà più. In ogni caso ci si dice che una domandina di riscatto si può inoltrare, tanto per vedere che esosissima cifra sarà richiesta.

Se si è con il posto pubblico fisso, si dovrà accedere all'area riservata, gestione ex INPDAP.
Già questo scoglio sarà superato solo andando sulla gestione normale, per poi, dopo 3-4 mesi, leggere che la domanda è stata rifiutata, fare un ticket e leggere nella puntualissima risposta che bisogna passare dall'altra.
Si passerà dall'altra.
Per fortuna adesso il PIN si ottiene tramite mail direttamente. Meglio tardi che mai.
Si sono fatti furbi, si pensa.
Indi si trova l'accesso e si procede a introdurre una nuova domanda.
Appena si clicca, compare un bel messaggio di errore.
Bisogna aggiornare Adobe.
E aggiorniamolo.
Niente.
Si prova con 84 browser diversi.
Niente, non va.
Ok, si chiama il numero verde.
Ci viene detto che bisogna seguire delle istruzioni, per accedere alle quali bisogna seguire delle istruzioni che vengono date al telefono.
Si scrive pazientemente.
Si seguono le istruzioni per accedere alle istruzioni per accedere alla domanda.
Ci sono più opzioni, una per ognuno degli 84 browser.
Ognuno di questi browser va installato con una versione obsoleta.
Ok, si disinstalla la versione eventualmente posseduta, si installano,una a una, quelle obsolete.
Si seguono le configurazioni.
Una a una, una volta configurato tutto, vengono testate.
Si accede trepidanti alla pagina per dipendenti pubblici INPS.
Si effettua l'accesso.
Si apre, ogni volta, una finestra rossa: il tuo browser non è aggiornato. Aggiornalo all'ultima versione.
Peccato che con l'ultima versione non funzioni la domanda di riscatto laurea.
Ok, cara INPS, non vuoi che riscatti la mia laurea, dandoti un sacco di soldi per poi non recuperarne probabilmente nessuno.

Sei contraddittoria con te stessa, o forse solo italiana dentro.
Il che è direi pleonastico.

In ogni caso la domanda di riscatto non la farò, anche perché, a furia di tentativi, l'età della pensione sarà abbondantemente arrivata, e di me non resterà che un mucchietto di cenere, un po' sulla tastiera, un po' sulla sedia, un po' per terra, che dà anche fastidio, ché la cenere non se ne va via manco con il mocio.



sabato 2 marzo 2019

Utilità marginale

A volte, nella vita è più facile fare che studiare.

C'è una gelateria, anzi, più di una, che fa l'all you can eat.
Vuol dire, come per tutto, che ti siedi e mangi finché non scoppi (o saggiamente dici basta prima di esplodere).

Ora, personalmente, trovo che l'all you can eat di gelato sia secondo solo a quello di pizza in quanto a difficoltà di ammortamento.

Arrivi lì, magari in una giornata tiepida o addirittura calda, e ordini il famigerato ayce.
Già, se c'è gente, inizi a sentirti osservato.
Poi puoi prenderla bene (madoh soo ffigo, batto il record) o male (oddio mi prendono per bulimico, instabile psicoemotivamente, e robe così).
Ti siedi, con un bel libro, e se sei avvezzo, anche con uno o due plaid piegati sulla sedia a lato.
Inizi a ordinare cose, cercando di fare il calcolo.
 A Torino ce n'è uno a 12 €, ad esempio.
A 4 € di consumazioni inizi a battere i denti e a sentirti sazio, anche perché hai centellinato il tutto godendoti la lettura.
Sei sotto di 8 €.
Il gelataio ti dice che c'è gente che è arrivata a 80 € di spesa da sola: capisci che non batterai mai il record, che forse non sei bulimico ma probabilmente vomiterai lo stesso.
Tremi.
Ma ordini.
Fai uno studio delle coppe più care, per poter arrivare in fretta al punto di superamento della spesa.
La coppa da 3 € che hai ordinato è colossale, ti sta davanti freddissima e coperta di panna.
Hai i denti ghiacciati.
Ogni cucchiaino che metti in bocca è una frustata di ghiaccio.
Ma devi resistere.
Anzi, dopo devi ordinarne un'altra, magari con il caffè per tirarla giù.
E arrivi solo a 9 €.
Ti avvolgi in una coperta.
Anche la coppa con il caffè ha tantissima panna sopra. Scavi per trovare il caffè, ma è in quantità omeopatica.
Ormai di quelli che ci sono intorno non ti interessa più. La vista periferica è sfocata.
Ogni boccone senti il conato di vomito che arriva.
Ma dopo quella coppa, ordini una serie di frullati alla frutta per giungere alla cifra che avresti pagato senza l'ayce.
Noti con disappunto che i frullati di frutta sono più freddi delle nauseanti creme e della panna.
Non serve nemmeno avvolgersi nella seconda coperta.
Sei in ipotermia.
Quando arrivi a 12 €, ordini una coppa baby alla fragola da 1 €, tanto per fare il sorpasso.
Non riesci a afferrarla.
Hai la mano rigida e bluastra.
Ti dici che non ripeterai mai l'esperienza.

Ma quando insegnerai l'utilità marginale a scuola, la farai fare ai tuoi alunni, come viaggio d'istruzione.

mercoledì 14 marzo 2018

Sull'assurdità di iniziare le lezioni scolastiche alle 8


Sentir dire da parte di un adulto a qualche adolescente che il suo è il periodo più bello della vita denota rimozione.
Gli adolescenti hanno un sacco di casini, tutti non indifferenti, e a farne un elenco esaustivo servirebbe uno spazio non conforme al post.

Parliamo quindi solo di uno degli aspetti corrosivi della vita da studente: l'inizio delle lezioni alle ore 8 (spesso per terminare a metà pomeriggio, specie se si frequenta un professionale, quelle scuole dove la gente va per "sbattersi di meno").

Iniziare le lezioni alle 8 è un atto contro natura: vuol dire, nella più rosea delle ipotesi, alzarsi alle 7, nel cuore della notte, quando, nella maggior parte del periodo scolastico, è buio e freddo.
C'è poi un'ampia gamma di casistiche in cui ci si alza a orari indecenti come le 5, per motivazioni varie ma tutte validissime agli adolescenziali occhi:

  • ripassare per le 4 verifiche e 3 interrogazioni che ci sono nella giornata;
  • prendere una compilation di autobus per andare a incastrarsi in una compilation di corpi, pezzi di puzzle incastrati gomiti tra le costole, ginocchia tra gli incavi di ginocchia altrui, abbracciati agli zaini come naufraghi a una boa, ma in questo caso si direbbe più ad un boa, visto il contenuto di libri pieni di programmi ministeriali meravigliosamente e scientemente architettati dalla buonissima scuola;
  • truccarsi per due ore perché se no ci si sente brutte (la famigerata beauté de l'age è una leggenda metropolitana: si sente più figa un'ottantenne al circolo della briscola che una sedicenne alle superiori). Poi ci si sente brutte lo stesso, ma ci si è alzate alle 5 e le occhiaie premono sotto gli strati di fondo tinta, da ristrutturare durante tutte le ore, soprattutto quando ci si addormenta con la faccia nel portapenne per carenza di sonno;
  • ...
Alle 8 le classi sono vuote. 
Alle 8 anche il professore, che ha subito la stessa tortura degli alunni, ma non lo fa tutti i giorni, e poi finisce dopo 2-3-4-5 ore, è perlopiù in coma. 
Gli alunni che ci sono non chiacchierano: si limitano alle funzioni vitali di base, che non includono l'uso del cervello, ma solo respirare, tenere gli occhi vagamente aperti (anche se questo è un optional), mantenere un turgore muscolare tale da non afflosciarsi sul banco (totalmente opzionale anche questo, a giudicare dalla mollezza con cui i corpi poggiano su banchi e sedie). 
In sintesi, si limitano a respirare. 

Solo alle 9 arriva la maggior parte degli studenti. 
Alle 9 si può iniziare a lavorare.
Fino alle 12, ché poi subentra la stanchezza da troppo lavoro.
Che studiare non è mica come lavorare.
Studiare è faticoso. 
Prendere appunti per un'ora è come fare un lavoro d'ufficio o commerciale per 3-4 ore. 

Tanto varrebbe fare meno ore, farle meglio, iniziare alle 9, inframmezzare intervalli in cui con calma si possa andare in bagno, mangiare, rilassarsi, e al massimo fermarsi un po' di più al pomeriggio alternando lezioni, sport e momenti di studio in gruppo, ché non s'è mai visto un adolescente finire scuola alle 15, arrivare a casa alle 16-17 dopo il cocktail di autobus, pranzare all'ora della merenda e poi aver voglia di mettersi a studiare da solo. Alle 18. 

Comunque, la cosa bella dell'adolescenza, e anche della scuola, è che finiscono. 
Entrambe. 
Spesso

sabato 27 gennaio 2018

Soddisfazioni 2

PROF: il commercialista supporta le aziende clienti, tiene loro la contabilità, presta consulenza in campo fiscale-tributario, si occupa delle dichiarazioni dei redditi,...
ALUNNO: ma prof, quindi se cerco un commercialista lo trovo a Porta Palazzo?
PROF: Beh, se guardi su pagine gialle immagino che ce ne siano anche lì.
ALUNNO: ma che me ne faccio di pagine gialle, è pieno, sono tutti lì con i banchetti!


venerdì 26 gennaio 2018

Soddisfazioni


PROF: In bocca al lupo!
ALUNNO: Grazie!
PROF: Ma non si dice grazie. Si dice crepi. Rifacciamo!

PROF: In bocca al lupo
LUI: Rifacciamo!

lunedì 11 settembre 2017

Accorgimenti empatici per il primo giorno di scuola (del prof)

Ogni anno a settembre, suppergiù, si verifica il famigerato primo giorno di scuola. 

Gli alunni non hanno quasi nessuna voglia di andarci, e questo è abbastanza palese, anche se per alcuni è bellissimo incontrare di nuovo compagni che per qualche ragione non hanno potuto vedere d'estate. Si tratta comunque del doloroso interramento di un'estate che, per quanto abbia potuto essere anche brutta, era pur sempre estate.

Il fatto è che anche per i professori è esattamente la stessa cosa. 
Che dura, per molti di loro, da quando hanno sei anni.

La differenza è che per gli alunni c'è l'effetto collaterale di imparare qualcosa;
per i professori, molto spesso, invece, ogni anno che passa il cervello è più atrofizzato,
e ogni anno che passa c'è più divario tra loro e gli studenti. 
Si arriva a un punto in cui le date di nascita  degli alunni appaiono al docente assimilabili a quelle di confezionamento di qualche cibo che potrebbe avere in frigo. 

Al prof basta però pensare alla sensazione provata quando è suonata la sveglia per sentirsi all'improvviso in perfetta sintonia con tutti gli alunni del mondo e poter esercitare la sua professione in perfetta empatia con le classi.

giovedì 3 novembre 2016

Fuck you, prof!


Dicono che i prof siano la categoria più a rischio di malattie psicologiche, insieme ai giuristi.
Poi ci sono anche i giuristi prof, un'intersezione fatale di due insiemi a rischio.
Mi concentrerei su quella dei prof, dato che di giuristi non ho esperienza diretta ma solo indiretta.

Dicono che i prof abbiano problemi psicologici legati più che agli alunni, ai colleghi e alle relazioni con loro.
Beh, ci credo, relazionarsi con gente con problemi psicologici avendo problemi psicologici non è facile.
Ma poi, i problemi psicologici non vengono proprio dalle relazioni con i colleghi?
E' un po' un quiz senza risposta come quello che pone il dubbio se sia nato prima l'uovo o la gallina.
E' nato prima il problema psicologico o la relazione con il collega che procura problemi psicologici?
Ma poi, diranno quelli dei luoghi comuni, è ovvio che gli insegnanti hanno problemi psicologici, il problema psicologico è la malattia del benessere,i prof non fanno mai un tubo, fanno 18 ore a settimana, hanno 3 mesi di ferie, andassero a lavorare in miniera vedi che si riprenderebbero perché avrebbero altro a cui pensare.
Ma qui si pone un altro quiz senza risposta come quello che pone il dubbio se sia nato prima l'uovo o la gallina.
E' veramente vero che i prof non hanno un tubo da fare, oppure ci sono prof che non fanno un tubo per ritagliarsi il tempo per gestire relazioni malate con colleghi malati in base a esigenze derivanti dal loro essere persone con problemi psicologici?
Non è che forse, se i prof facessero il loro lavoro per bene (le diciotto ore sono in classe, poi ci sono riunioni, lezioni da preparare, compiti da predisporre e correggere, a volte fino a trecento al mese, ecc ecc) non avrebbero più tutto sto tempo di gestire le loro relazioni malate e di manifestare i propri problemi psicologici in tutto il loro splendore?
Sono domande, appunto, senza risposta.
Nel dubbio, non fate i prof.
E tenete i vostri figli lontani dai prof.
Come, non si può?
Ecco perché l'Italia va a rotoli.

martedì 14 giugno 2016

Telefonate di rara piacevolezza


Quando devi dire a dei genitori che i loro figli, sangue del loro sangue, pelle della loro pelle, eccetera eccetera, sono stati segati a scuola, sono brutti momenti.

Quando devi dirlo al telefono, sono ancora più brutti, o un po' meno brutti, ma comunque brutti.
Dipende dal rapporto che hai con il telefono.

Per quanto mi riguarda, fin da piccola ho sempre avuto una patologia da cornetta. Ho passato pomeriggi interi a contemplare il telefono grigio con su quel dischetto rotante con tutti i numerini intorno. Se il numero da comporre aveva degli 1, 2, 3, facevano un giro così lungo che quasi sempre bloccavo tutto con una manata prima che dall'altra parte una voce senza volto potesse rivolgermi il famigerato "pronto". Non parliamo poi delle reazioni al suddetto, che variavano dal mutismo da maniaco alla chiusura della comunicazione, con tutta una variegata serie di situazioni intermedie. Dopo venticinque tentativi di composizione del numero e 47 chiamate da maniaco, riuscivo a dire con un flebile filo di voce che ero io e che volevo ringraziare la maestra per quello che aveva fatto per me nell'anno scolastico. Sì, perché le telefonate che dovevo fare da piccola erano sempre quelle alla maestra.

Se una volta uno era terrorizzato all'idea di chiamare la maestra per ringraziarla, figurarsi quando poi diventa lui il maestro, anzi il prof, ché se il maestro boccia qualcuno sono davvero cose dell'altro mondo, ai confini della realtà.
Se invece il prof è prof di un professionale, i confini della realtà sono rasentati da chi è promosso senza sospensione in nessuna materia. Lo sventurato coordinatore, forte della congrua retribuzione di circa un centone all'anno (sì, avete letto bene, ho scritto bene, siamo tutti bravi scrittori e lettori. All'anno, non al mese), prende l'elenco dei componenti della classe e chiama la metà circa dei genitori, quando va bene, per informarli che il sangue del loro sangue, la pelle della loro pelle eccetera eccetera non ce l'ha fatta.

Il tono da assumersi può prendere a prestito quello a macchinetta dei centralinisti che non portano pena perché ambasciatori. Ancor meglio, si può scrivere un testo freddissimo su Textaloud e lo si fa leggere dalla voce sintetizzata direttamente alla risposta del genitore. Si può iniziare con "Questo è un messaggio preregistrato: è pregato di ascoltare in silenzio, non obiettare in nessuno modo e chiudere la comunicazione al termine".
Se si opta per la versione funerario-sentita, si può chiamare di persona con tono plumbeo. Le parole vanno cercate nel profondo del proprio cuore. Frasi come "Suo figlio è un emerito deficiente", "Suo figlio non capisce una mazza, è meglio se va a raccogliere pesche", "Suo figlio dice percussioni per ripercussioni", se scaturissero mai dal profondo del cuore, sarebbe meglio che ci rimanessero. Meglio tutto sommato che scaturiscano dal profondo della raccolta delle banalità accettabili, soprattutto se - e non lo si sa - l'interlocutore ritiene che la propria prole sia la continuazione di se stesso, e in quanto tale possa riscattare i propri insuccessi.
Dire che il figlio è un idiota equivale a dirlo al genitore.
Dire che il figlio non ce la fa equivale a dirlo al genitore.

Insomma, l'annuncio è spiacevole.

Ma infatti, perché sbattersi tanto?

Meglio usare Textaloud e ignorare la seconda delle mie opzioni.

Il suggerimento è grandioso, ma ha un inconveniente: non funziona dal vivo.

giovedì 12 maggio 2016

? (domanda)


Uno è lì in santa pace (cerebrale) che sostiene in qualità di prof di sostegno, afflosciato su un banco vicino al suo alunno sostenuto, a sua volta afflosciato sul suo.
All'improvviso, il docente curricolare gli dice "Non è che vuoi fare lezione tu?".
A lui non par vero, anche se non ricorda più precisamente quale fosse la sua materia nell'altra vita in cui l'aveva insegnata.
Dà uno sguardo al libro, vede che si tratta proprio di un argomento familiare a un'ala sopita del suo cervello.
La domanda.
Si dice che forse era una prof di italiano. Domanda: sostantivo, nome comune di cosa, genere femminile, numero singolare, forma interrogativa.
No, forse no, ci sono dei grafici.
Ahhh, ecco, sì, si staglia nell'immaginario una materia con qualche vago sentore economico.
Già, già, era un prof di economia. Laureato in economia. Specializzato in economia.
Una vita fa.
Ormai è blogger. E, attività collaterale volta a sopravvivere con uno stipendio pecuniario, ha la copertura di prof di sostegno.
Non si vuol far sfuggire l'occasione, quindi sfodera un professionale sorriso e si avvia sicuro verso la lavagna. Butta un occhio al libro, lo lancia sulla cattedra con il fare di quello che non ha bisogno di consultare mai.
La domanda, che sarà mai.
E si mette a fare esempi con le mele, ché le mele, a scuola, fin dai tempi di Pinocchio, non mancano mai.
Traccia un piano cartesiano, e intanto le reminiscenze tornano su come rutti dopo una serie di birre al pub. Uno non se li aspetta, ma arrivano, perché ha bevuto un sacco. In questo caso, non se le aspetta, ma arrivano, perché ha studiato un sacco.

Inizia a spiegare la domanda neutrale, quella dell'uomo razionale. Quello che al dimezzarsi del prezzo raddoppia la quantità acquistata, al raddoppiare del prezzo la dimezza. Matematico. Palloso. Niente di imprevedibile, una curva di domanda con regolare discesa. Un corrispondente grafico dell'andamento emozionale dell'acquirente regolare e collinarmente stabile.

Poi fa esempi in cui uno, davanti ai prezzi ridotti o aumentati, si emoziona tantissimo, prova sentimenti che gli toccano le corde più intime, e reagisce in modo teatrale al passaggio di prezzo di un chilo di mele da 1 € a 50 centesimi, riempiendosi di tanti di quei frutti che dovrà tornare a casa mettendoseli in più sporte e anche in ogni alloggiamento degli indumenti, come un giocatore di tennis con i pantaloncini deformati dalle palline di riserva che gli gonfiano le tasche.
Poi, la persona passionale vedrà il prezzo arrivare a 2 €. Prenderà una sola mela, sconvolto dall'allucinante aumento, mica ne comprerà la metà come fa il neutrale. Arrivato a casa, affetterà la mela in tante lische trasparenti a furia di sottigliezza, e farà durare la consumazione giorni e giorni.
Gli alunni, di fronte a questo individuo emozionalmente instabile, mica si scompongono. Capiscono benissimo, dal loro punto di vista di studenti di un famigerato professionale. Non oppongono obiezioni.
Uno spiega loro che costoro, che reagiscono agli eventi con trasporto, abbondando o strarisparmiando, creano una domanda elastica. Questo tipo di domanda ha un andamento più appiattito rispetto a quello della domanda neutrale. La curva va più lontano.
Certo, uno così avrà un andamento emozionale, sempre immaginato su un piano cartesiano, oscillante con picchi positivi e negativi da ottovolante.
Certo, uno così è affine agli studenti, che hanno quindici anni, e, per quanto lobotomizzati possano apparire a chi ha più anni e esperienza di loro, possono insegnargli come emozionarsi ancora, nel bene e nel male, e comunque a sentirsi vivo.

Si affronta poi l'individuo tipicamente anaffettivo, a partire dalla relazione con gli oggetti, non parliamo di quella con gli esseri umani. Il freddissimo, a fronte di eventi come il dimezzamento o il raddoppiamento del prezzo, ha oscillazioni comportamentali che si scostano di ben poco. Al massimo cambia di qualche mela, così, tanto per non fare il rigidone. E così, la curva di domanda anelastica che ne sbocca è molto più inclinata di quella neutrale. Insomma, ad essere anelastici, la curva si schianta in picchiata.
Uno così poco elastico avrà una curva emozionale su piano cartesiano con pochissime oscillazioni. Altro che colline, qui si arriva pressoché a un tavoliere.
A questo punto uno vede che gli alunni iniziano a agitarsi sulle sedie come morsi da tarantole. Iniziano a fare scattini, come a voler dire qualcosa, ad aprire la bocca, poi richiuderla. Osservano perplessi il prof e la lavagna, la lavagna e il prof, ormai rientrato in pieno nel suo originario ruolo, il ruolo per cui aveva sputato sangue alla SSIS.

Uno riesce ancora ad arrivare alla domanda rigida prima che finisca l'ora. Fa l'esempio di uno che deve fare una torta con quattro mele. Questo, con i paraocchi, non pensa di poterne acquistare altre se costano poco e tenersele lì per creazioni culinarie diverse, o anche solo per mangiarle, sempre che non gli facciano schifo. Se invece costassero carissime, ne comprerebbe comunque quattro, perché lui deve fare 'sto dolce con 'ste quattro mele. Non lo farà mai con le pere magari economicissime, e nemmeno con pomi d'oro, caso mai fossero più economici, in un mondo folle in cui le mele costassero meno dell'oro.
Grafico su piano cartesiano dell'andamento emozionale di costui: zero. Cardiogramma da morto tipico di E.R..
E qui, è finita.
Non si sa se è perché l'ora volge al termine, ma inizia una serie di obiezioni molto accalorate: "Ma prof, questo è un *@#<§!" , "Non è possibile che esista al mondo un  *@#<§ del genere!".
E vai a spiegare che si tratta di ipotesi diverse per dimostrare tipi di curva di domanda diversi,
 che la gente è diversa come le curve di domanda,
che ognuno è uno,
che esistono davvero morti viventi che agiscono con il paraocchi.
No, non lo possono accettare.
Non lo vogliono accettare.
La classe diventa un pandemonio.
Volano oggetti.
Grida selvagge si levano nell'aria.
Il prof non riesce più a spiegare.
E lì, si dice che

forse

nonostante le apparenze

c'è speranza per il futuro.

martedì 3 maggio 2016

L'importante, quando si educa, è avere le idee chiare


Caro alunno che mi chiedi perché ti sto affibiando una nota, sappi che te la scrivo perché io, come prof, devo farti capire quali sono i tuoi limiti.
Tutte noi, figure educative, siamo tenute a delimitarti, in modo che tu capisca fin dove puoi arrivare.

Dovrebbero farci dei corsi di limiti. Altro che BES, DSA, competenze. Dovremmo sapere tutti quanti che limiti darvi, magari in base a fasce d'età, limiti tutti uguali, in modo che non vi confondiate.
In modo che capiate l'ampiezza della palizzata che avete intorno. Una palizzata di tanti paletti uno vicino all'altro, che così non vedete più quello che c'è a lato, e magari anche un tettuccio sopra, anche lui fatto di tanti paletti uno vicino all'altro, che così non vi fate più accecare dalla luce del sole che, si sa, brucia la retina, non vi fate più ammaliare dalla luce delle ingannevoli stelle, né lunaticizzare da quella della cangiante luna.

L'educatore deve avere le idee chiare.
Solo così può educare.
E poi, si sa, i ragazzi hanno bisogno di regole.
Anzi, il loro comportamento mica tende alla libertà, è mirato a farsi mettere i famosi paletti.
I ragazzi vogliono i paletti.
Siamo noi educatori ad essere scemi se non gliene mettiamo.

Ma la famosa libertà? Non è che tutti questi limiti limitano la libertà?
Beh, ma tanto si è già detto e ripetuto che la libertà non esiste, no?
Può esserci una porzione di libertà, sì, ma non tutta. Ce ne può essere quella fettina illusoria che permette di aggirarsi nell'ambito della palizzata-cubo che si ha intorno.

Poi, l'educatore illuminato, quello proprio avanti, può ricordarsi del concetto di elasticità.
La libertà non esisterà, ma l'elasticità sì.
Piccole concessioni, ogni tanto si sposta un paletto dal tettuccio e si fa vedere una stellina.
Sì, anche perché che vita sarebbe una vita rigida e non-libera?!
Non-libera, però, è brutto da scrivere. L'opposto di non libera qual è?
Ah, sì. Occupata.
Ma l'occupazione non si fa quando si rivendica una certa dose di libertà?
Si occupa per essere liberi (fino a un certo punto).
Si è liberi di occupare (fino a un certo punto).

Ma poi, quando si ottiene questa risicata avara trasparente fettina di libertà, ci si ritrova comunque davanti i famosi limiti.
Tornano sempre, come i peggiori alieni.

Un limite, però, può tendere a infinito.
Ma un limite che tende a infinito diventa libertà totale?
Eh, no, mica è così semplice.
Il risultato di un limite che tenda a infinito può anche essere un misero intorno di un numero. E così ci si ritrova rinchiusi in una palizzatina con lato pari ad un intorno tendente a zero, dopo la grande illusione del limite tendente a infinito.
Può anche accadere che il limite che tende a infinito abbia come risultato infinito. Ma l'infinito è un artifizio matematico, un'invenzione di scienziati pazzi, perché non si può mai sapere se esiste veramente o no. Non si può nemmeno studiare all'infinito, perché tutto finisce, pure la vita. Si può sperare in una staffetta di cervelli, ma si può quasi scommettere che finirà pure quella.
E che dire di quando il limite tende a zero e il risultato è infinito?
Un bel gomitolo di opportunità.

Hai capito, alunno mio, che mi chiedi perché ti sto dando la nota?
Per questo.
Non hai capito?
Non è perché sei scemo,
è perché non ti applichi.

lunedì 25 aprile 2016

Contrapasso professionale


"Mettete via questi maledetti cellulari!"
Quante volte lo hai detto agli studenti.
Loro niente, continuano imperterriti a fissare lo schermo con espressione assorta, esuli dal mondo che li circonda, focalizzati con un'attenzione conica che converge sul monitor dello smartphone.
Puoi minacciarli di sospensione immediata, di espulsione dalla finestra con catapulta elastica, di interdizione perenne dalla fruizione di aule scolastiche. Non esisti per loro, la loro attenzione è integralmente catalizzata dal catalizzatore di attenzione per eccellenza.
E allora vorresti essere lì dentro, uscire in 4D dal loro monitor, con tanto di lapilli saliviferi ad ogni parola, dire loro "Ahoo, sono qui, sei a scuola, io sono la tua prof del momento, quella che ti può aprire il cervello verso nuovi orizzonti per te insperati, se solo mi potessi ascoltare".
Puoi inventarti qualsiasi frase ad effetto, qualsiasi tipo di lezione interattiva, qualsiasi accattivante battuta, niente vale a farli distogliere dal monitor.
Non ti vedono neppure.
Tu ti indigni, ti chiedi come sia possibile, prendi per il codino sopra la testa l'alunno che ha il bollino rosso sulla fronte a furia di stare con la fronte poggiata sul banco a consultare lo smartphone, gomiti sulle ginocchia, telefono sotto il banco. Rischi una denuncia per tentativo di estrazione scalpo da un minorenne. Ma niente, qualsiasi tuo sforzo è invano.

Poi ti ritrovi a fruire di un corso. Sei tu l'alunno. Un alunno prof, ma pur sempre un alunno. Sei seduto a una sedia di una bella aula magna piena zeppa di tuoi compagni di sventura. La lezione è anche interessante, per carità, ma come si fa a non consultare se per caso è arrivato un messaggino su whatsapp, telegram, mail? E se fosse questione di vita o di morte? E se la tua futura vita dipendesse da questo messaggino? E poi, beh, un bel libro di lettura non guasta. Apparecchi le tue ginocchia con smartphone in modalità silenziosa e sopra il romanzo, con tanto di matita per sottolineare le parti interessanti. E poi, quando c'è una parte interessante, che fai? Non la fotografi per condividerla con chi merita? E così, lo stimato prof, durante una lectio magistralis in aula magna, si alza in piedi, totalmente preso dal pensiero di mettere a fuoco la pagina per condividerla al meglio.
Si contorce per beccare la migliore inquadratura.
Osserva il cellulare, rapito con attenzione conoidale
dal monitor.
Manda l'immagine con un sorriso di soddisfazione per nulla velato.
Poi si gira.

Si ritrova in piedi,
con il residuo sorriso che si estingue lentamente,
 a constatare che il relatore si è zittito,
che lui è ritto in mezzo all'aula magna,
che gli occhi di tutti i presenti sono puntati su di lui,
che i capi si scuotono in segno di disapprovazione,
che i relatori vorrebbero dirgli
"Metta via questo maledetto cellulare!"
ma non possono, perché lui è un prof,
perché sarebbe grottesco sminuire così la sua presunta professionalità.

Si siede.
S guarda intorno costernato.
Mette una mano a lato mento,
l'indice in su e le altre dita in orizzontale,
osserva le slide proiettate
con finta attenzione.

Intanto pensa a un modo per venire incontro agli alunni smartphonedipendenti.
Ché i tempi cambiano.
Dagli alunni di oggi non si può pretendere
ciò che si poteva pretendere da quelli di ieri.
Si può e deve pretendere di più.
Ma nel modo giusto.
Quello adatto.

domenica 10 aprile 2016

Disorientamento multidirezionale


Sono alla lavagna e cerco di spiegare il modo più rapido per risolvere un'espressione a un nugolo di alunni inferociti che mi assalgono a colpi di cancellino e osservazioni disperate.
"Ma prof...lei ci confonde!", dicono, e intanto cancellano la mia soluzione, perché ai loro occhi è troppo strana. 
"Ma cercate di ragionare...guardate qui i passaggi", e cerco di esplicitare ogni ragionamento in un modo che ritengo di chiarezza cristallina.
"No, prof, non capiamo niente, se fa i passaggi ci confonde, noi troviamo più facile fare tutto a mente" e via di colpi di cancellino e assalto fisico di gruppo mentre cerco di proteggere la mia creazione facendo da scudo umano alla lavagna.
"Ma non vedete che sbagliate tutti i segni, e oltretutto scegliete la via più lunga, in modo da garantirvi il maggior numero possibile di errori?!?" Ormai sono alla fine delle mie energie protettive.
"Prof, cosa vuol dire la via più lunga? Intende dire che ci sono più modi per arrivare alla soluzione? Ma l'altra prof dice che ce n'è una sola". Vedo il terrore nei loro occhi. 
L'idea che ci siano più strade percorribili per poter aver risultati soddisfacenti è inarrivabile per loro. 
La situazione, in questo modo, si prospetta troppo complicata.
La via giusta dev'essere una.
Chiara.
Semplice. 
Se li disoriento sono degenere. 
Come la vita, a volte.