LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

giovedì 13 febbraio 2020

Mangiare anime

Capita spesso di sentirsi dire dalla gente:

"Sono vegetariano, ma il pesce lo mangio". 

Addirittura hanno coniato il termine: pescetariano.

Ora, ci possono essere varie ragioni per cui uno è vegetariano, o pescetariano, ma spesso il motivo addotto è che è un vero peccato far del male ad animali come noi, che se noi non veniamo mangiati non si vede perché altri animali debbano esserlo.

[SE HAI FRETTA, SALTA QUESTO PARAGRAFO]
A volte, a questa obiezione, mi viene da chiedermi il contrario, cioè perché se gli altri animali vengono mangiati non possiamo esserlo pure noi. Non dico di andare a creare allevamenti di uomini al fine di nutrirsene, o di ammazzarli per assaggiarli, ma magari di risolvere diversamente il problema del deterioramento e smaltimento dei cadaveri (magari non morti di malattia ma ad esempio di incidenti). Diciamo che, per non inoltrarmi su un crinale delicato e passibile di polemiche quasi a livelli mondocricetiani, chiudo l'excursus sulle carni umane e torno all'argomento che indica il titolo.

[PUOI RIPRENDERE DA QUI]
"Non voglio nutrirmi di animali, poverini, anche loro hanno un'anima. Però il pesce me lo mangio".

Ora, il mio dubbio irrisolto è: perché il pesce sì?

Che male ha fatto la fauna ittica da essere decretata come mangiabile da pietosi esseri umani rispettosi di tutto il resto della fauna?

Un'altra osservazione è che se mi mangio una mucca, è vero che si tratta di un'anima, ma 'sto bovino mi dura almeno un anno, se proprio ci do dentro.
Insomma: un anno di carnivorità, un'anima accoppata.
Se mangio un guazzetto di cozze e vongole, faccio fuori un trenta-quaranta anime in dieci minuti.

Io, se proprio dovessi diventare vegetariana ma non troppo, mi mangerei massimo un'anima al cinquantennio.

Sarei balenotterazzurriana (con un enorme freezer).

domenica 9 febbraio 2020

Dio casuale


Quando uno vive, gli succedono cose belle, brutte e neutre.

Quando è il momento di quelle neutre, non pensa a nulla di quello che l'ha condotto a tale neutralità. Quando invece si tratta di quelle brutte, ecco che inizia una trafila di "ah, se non avessi fatto quello", "ah, se avessi fatto quell'altro", "tutto si accanisce contro di me", "sono uno sfigato cosmico".
Nel caso in cui i vari bivi della vita lo portino ad ottenere un successo, parte commentando tra sé e sé "Mizzega che bravo che sono", "Certo che a girare di là ho avuto un'idea geniale", molto più raramente "che fortuna che ho avuto".

La realtà è che tutto quello che capita è abbastanza casuale. Chi ti ha detto che girare da lì piuttosto che da là ti avrebbe portato ad avere un incidente che sicuramente girando di là non avresti mai avuto? E chi ti dice che, girando da là e non avendo quell'incidente, in cui magari non ti sei fatto male, non ne avresti avuto uno peggiore?
Se uno inizia a porsi simili domande, inevitabilmente una parte ancestrale del suo cervello inizia a pensare a un dio malvagio che ce l'ha con lui se è pessimista, a un angelo custode che lo salva da
incidenti peggiori se è una persona gioviale.

Invece, nel neutro, nessuno trova mai coincidenze, fatti significativi, bivi importanti. In realtà anche in quel caso, se si fosse scelto altro, magari sarebbe successo qualcosa di bellissimo o bruttissimo anziché neutro. O magari qualcosa di neutro diverso, a cui non si sarebbe fatto caso ugualmente.

Insomma, la lucidità porterebbe a chiamare quello che gli uomini chiamano dio, angeli, destino, semplicemente casualità.

Solo che l'uomo non è portato per la casualità.

E così si inventa altro.