LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.
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lunedì 10 ottobre 2016

Quinquennalità intellettuale ma non troppo, di sinistra, ma anche un po' di destra


Una sera sono finita in un covo di intellettuali umanisti supercerebrali e non osavo parlare, perché, da aziendalista resa peraltro opaca dagli anni di disuso, mi sentivo un po' a disagio.

Si sa cosa si fa quando ci si sente un po' a disagio e ci si ritrova a una cena, seduti in mezzo alle fonti di disagio, senza sapere bene come ci si sia finiti, anzi sapendolo, perché ci si è finiti con le proprie mani, anzi con i propri piedi. 
Ci si attacca alla caraffa del vinaccio.
Generalmente gli intellettuali di sinistra bevono cancarone in caraffa nei circoli ARCI dei peggiori quartieri proletari. 

Dopo qualche bicchiere, il disagio diminuisce, e la spigobloggosità fuoriesce anche a livello verbale. 
Incredibilmente, gli intellettuali di sinistra si accapannano interessatissimi intorno a me che illustro un semplice concetto di focussiana, ma direi anche cosmopolitana ispirazione. 
E' proprio così, quando si parla di rapporti non c'è intellettualità che regga; siamo quasi tutti degli incapaci pressoché assoluti, nonostante il superamento pluriennale della maggiore età e n lauree. 
E così, nei fumi dell'alcool, illustro la mia teoria nata dalla remotissima lettura di un articolo di "Focus" (boato di disgusto dagli interlocutori) secondo cui l'essere umano è istintivamente programmato per durare in coppia cinque anni, dopo aver ovviamente concepito un figlio quasi immediatamente, mosso dai più elementari istinti animali. Insomma, si ha voglia di stare insieme fintanto che il pargolame (anche solo presunto) non ha le capacità naturali di sopravvivere da solo. Che poi quelle artificiali ritardino bambocciosamente fino a 40-50 anni è una deformazione del sistema di cui alla Natura matrigna frega proprio un tubo. 
Da quando ho letto l'articolo, in età adolescenziale, ho deciso che non avrei mai fatto nulla di compromettente con qualcuno nei primi cinque anni di rapporto. Il che si è poi inquietantemente ricondotto al non fare mai nulla di compromettente con nessuno. 
Il capannello inizia a protestare che il mio punto di vista è terribilmente cinico, che in cinque anni in una coppia possono accadere cose compromettenti tipo sposarsi fare un figlio fare un mutuo insieme per questioni squisitamente tecnico-collaborative. Ribatto che anche le questioni tecnico-collaborative hanno un puzzo di cinismo terribile. E che il mio punto di vista è invece atrocemente romantico. 
Vengo pure battezzata l'elaboratrice della teoria degli incastri, perché agli intellettuali piace dare un nome alle teorie, in modo da poterle citare con altisonanza. 
Qualcuno dice che gli anni sono sette, qualcun altro asserisce che alla nostra presunta età intorno alla trenta-quarantina se si aspettano cinque anni si è fottuti, ma a me pare che si sia comunque fottuti, quindi, fottuti più fottuti meno, tanto vale prendersela in quel posto senza incastri. 
Il punto è che io mi sento sempre profondamente romantica. 
E' romantico e anche umanistico riflettere sul fatto che l'uomo, con la sua profonda (?) evoluzione emotiva, possa sopravanzare l'istinto curando un rapporto in modo tale che superi i paletti imposti dalla Natura. 
E' romantico aspettare (speranzosi) ogni (deludente) volta di verificare che sia davvero così, che il proprio rapporto sia "oltre".  
Ed è romanticissimo riuscire a farlo di nuovo, e di nuovo, e di nuovo. 
E' così romantico che, come quelle giostre con le gabbie al luna park, ad un certo punto il romanticismo si spinge così oltre da dare il giro. 
Il romanticismo portato all'empireo finisce per autodoppiarsi, per ricadere nel suo opposto agli occhi altrui, opposto che si può identificare nell'antiromanticismo, o cinismo. 

E così

 il superromantico è così oltre che sembra cinico. 

Il supercinico è così oltre che sembra romantico. 

Insomma, più passa il tempo più andiamo tutti così oltre che sembriamo tutti altro e nessuno capisce più niente.
Un bel casino.
Molto intellettuale.

E anche romantico.
Certificato dalla presenza del termine -romantic- per ben undici volte in un solo post (contro sei intellett-). 

lunedì 28 gennaio 2013

Silenziosi

Un vecchietto attraversa la strada davanti a me e alla mia bici, passetto dopo passetto, con le pantofole scozzesi lanuginate all'interno. E' tutto curvo, cammina a velocità esaspetantemente lenta e, sempre lentissimamente, solleva un braccio con il dito puntato verso le nuvole, e sussurra "Giovane...", guardando verso il fondo delle strisce pedonali.
Guardo anche io verso il fondo, e non vedo nessun giovane. Vedo solo automobili tutte pronte a partire come molle appena il semaforo diventerà verde, e inizio a pensare che il vecchietto si rivolga agli autisti delle automobili, uomini o donne che siano. Del resto, giovani lo sono quasi tutti, in confronto a lui. In effetti "giovane" è un aggettivo invariabile e decisamente relativo a chi lo usa.
Io immagino già una pappetta di anziano sull'asfalto, con strisciate di sangue e finto burberry e lanugine bianca allo scattare del verde. Mi dico che nessuno può udire una voce così flebile, o considerare il gesto di un vecchio sbabbucciante sull'asfalto di una mattinata lavorativa.
Invece riesce ad arrivare indenne fino alla fine della zebra, e non solo. L'autista dell'autobus l'ha visto, sentito, e pure aspettato. Con tutta la calma di questo mondo, il vecchietto si siede sul bus e partiamo in contemporanea.
Ci affianchiamo io e l'autobus.
L'autista non mi vede, non mi sente e non solo non aspetta che io passi, ma mi taglia pure la strada con capottamento di me e del mio mezzo sventato per miracolo.
Sarà che la bici è un mezzo così silenzioso da essere più silenziosa del fiato di un vecchietto in fase terminale della vita, le ruote della bici più felpate del felpino delle sue ciabattine.


venerdì 25 gennaio 2013

Cose che succedono in gelateria


Quando entri in gelateria, di solito ti aspetti un gelato.

Se vai da "Ottimo!", però, trovi anche molto altro.

Non conviene passare quando si è di corsa: una volta entrati nel negozio, non si sa mai cosa ci si può aspettare. Molto spesso, però, non se ne esce in tempi brevi.
Il gestore è un vulcano di parole, con un entusiasmo culinario che straripa da tutti i pori. Te lo comunica per forza, e tu devi ascoltare, perchè è troppo interessante capire come nasce il suo gelato, come gli vengono in mente gusti tipo gorgonzola e marsala, fior d'oliva all'olio extra vergine d'oliva, zucca e amaretti, limone e salvia, rabarbaro e lampone. Ti ipnotizza con i racconti sulla ex fabbrica della "Leone", smantellata mandando al macero tavoli preziosissimi in marmo, stampi delle caramelle, cimeli di cui lui è riuscito a salvarne qualcuno e che esibisce come trofei. Ti spiega come calibri i grassi nei suoi gelati, quanto li limiti e come sia sempre attento a usare solo quelli del latte e derivati, o comunque sani e totalmente privi di grassi vegetali. Il risultato è davvero Ottimo!

L'altro giorno dovevamo andare al cinema dopo 20 minuti: siamo passati a prendere il gelato e Giulio, il gestore, era sprofondato in un libro, "Il lamento del prepuzio", di cui ci ha consigliato la lettura. Era così sprofondato, ma così sprofondato che non ci ha nemmeno introdotto uno dei suoi argomenti "da gelataio". "Sapete, questo libro mi prende tantissimo, devo finirlo!". E così mi sono detta che forse quella volta saremmo riusciti a vedere il film. Invece, dopo trenta secondi, è entrato un signore mastodontico carico di sacchetti di plastica, che ha estratto dalle borse una serie di barattoli di vetro, e si è messo a snocciolarne i contenuti: fichi al rhum, albicocche e pesche al rhum, fichi al liquore di lavanda, idromele, liquore di genziana, salsa di noci e miele, liquore alle trentasette erbe, e così via, finoa riempire tutto il tavolino. Sì dà il caso che non si lamentasse solo il prepuzio di Shalom Arlander, ma anche lo stomaco di Giulio, reduce da un'indigestione. Ma ormai il signore aveva estratto tutte le sue creazioni culinarie, preparate con cura per gli amici, dopo tante gite in montagna con raccolta di erbe fiori e frutti. L'amico era Giulio, ma, vista la situazione, siamo stati "assunti" come amici pure noi. Ci ha porto un cucchiaino (uno solo, tanto eravamo una coppia) e ci ha fatto assaggiare tutti, ma proprio tutti i prodotti che aveva con sè, mentre ci raccontava dei suoi libri di montagna e della sua collaborazione con il CAI. Insomma, alla fine al cinema non siamo andati. Siamo usciti barcollando sotto i fumi dell'alcol, ma abbiamo conosciuto Dario Gardiol, il che è ben più pittoresco (e organolettico) che guardarsi un film.

In conclusione, ogni volta che entri da "Ottimo!" non sai cosa ci troverai, a parte un gelato buonissimo, sano e sempre sperimentale.

Ultimamente, quando ci passo all'ora di pranzo, c'è un capannello di personaggi che parlano di soluzioni di marketing legate alla gelateria. Paiono professionali, preparati, pieni di documenti. Fanno osservazioni argute. Sembra di partecipare a un seminario della Facoltà di Economia.
Speriamo che non trasformino la genuinità dei gelati e di Giulio in un'operazione commerciale, dove anche Dario Gardiol dovrebbe fare domanda in carta bollata e richiesta alla ASL per fare la sua dimostrazione di prodotti tipici...

mercoledì 18 gennaio 2012

Visioni apocalitticamente romantiche

Quando uno fa jogging girando in tondo in un isolato, impara a memoria tutti i giri da farsi e il suo cervello può concentrarsi sulle amene scene che vede.
Il fatto è che, quando uno corre in tondo in un isolato, ogni sei minuti circa vede le stesse persone, e quelle stesse persone fanno quasi sempre le stesse cose, e alla fin fine uno un po' si annoia, a vedere la bambina che dice sempre "ti amo", il nonnino che sempre ti dice una frase facendola ruotare su tre giorni per poi ricominciare, il signore che corre in mocassini e gareggia con te, causando tra l'altro un allungamento del tempo di condivisione dello spazio visivo, eccetera eccetera.
L'altro giorno giro l'angolo e vedo una coppia con un cagnone grandissimo nero e peloso, al guinzaglio, e loro erano tutti felici, tutti ben vestiti, tutti bucolici anche se di prati ce n'erano ben pochi intorno e quel poco di prato era pieno zeppo di cacche di cane, e si baciavano appassionatamente, manco volessero chiamare Doisneau per farsi fare un'altra foto storica. La mia corsa non mi ha permesso di appollaiarmi su una panchina a osservarli trasognata. Sarei anche sembrata una maniaca, per di più una maniaca sudata candidata alla broncopolmonite. Ho quindi continuato il mio solito giro, per ritrovarmi, dopo sei minuti, nel luogo del bacio. Mi aspettavo di trovare la scena di prima cristallizzata, invece lei stava urlando cose non riferibili, lui farfugliava interdetto. Per evitare per la seconda volta la broncopolmonite, non mi sono fermata, ma sei minuti dopo, ineluttabilmente, ero di nuovo là. Lei si stava allontanando, trascinando per il guinzaglio, con irosa foga, il cagnone semistrozzato che strusciava il pelo nero sull'asfalto. Lui si era seduto sulla panchina dove avrei voluto sedermi io dodici minuti prima e quasi piangeva. Lo vedevo, che aveva la testa bassa, doveva sicuramente piangere. Mi sono perfino fermata un attimo, rattristata, quel tanto che bastava a non farmi gelare il sudore sulla schiena e a vedere che in realtà il tizio non piangeva ma armeggiava su un cellulare. Altro giro, l'ultimo, e poi sarei tornata a casa. All'ultimo round, colpo di scena, il tizio non solo non piangeva più, ma si era reinstallato in un'altra scena bucolica in cui baciava appassionatamente un'altra ragazza, stavolta con un cane giallo di medie dimensioni, tipo Pluto.
Fortunatamente i miei giri erano finiti.
Il bacio successivo con la ragazza successiva e il chiwawa al guinzaglio sarebbe stato molto meno romantico.
Non mi piacciono molto i cani di piccola taglia.

venerdì 9 dicembre 2011

La buona azione quotidiana


Sono entrata in un negozio dove, seguendo uno dei miei soliti ragionamenti piuttosto contorti, mi sono ritrovata a dover pagare una cifra di 95 centesimi in seguito a un cambio merce gentilmente concessomi dalla commessa nonostante il pacco stracciato e l'assenza del vecchio scontrino.

Le ho porto una monetina da un euro, e lei, con biondo sorriso, mi ha restituito una monetina da un euro, tale e quale a quella che le avevo dato io, forse proprio quella che le avevo dato io, nel caso in cui la sua bionda memoria le avesse fatto scordare che fosse proprio quella la monetina che aveva adagiato nell'alloggiamento delle monetine da un euro, più una micromonetina in rame da 5 centesimi.
Esiste anche l'ipotesi che i suoi forse miopi occhi l'avessero portata a scambiare una monetina da un euro per una monetina da due euro, ragion per cui il mio portafoglio avrebbe anche potuto respirare quell'aria di novità apportata dall'inedita moneta.

Ora, direte voi, era mio dovere chiarire che la monetina da un euro non mi spettasse, e che non fosse giusto che me ne andassi con 95 centesimi di merce e 5 centesimi di monetine in più rispetto a quando ero entrata.

Ma la commessa era stata così carina, così gentile a concedermi il privilegio del cambio merce in assenza dei requisiti esposti a chiare lettere nel negozio in Franchising, che non ho avuto il coraggio di dirle: "Guardi che ha sbagliato a darmi il resto".

Cos'è un ammanco di un euro al cospetto della consapevolezza di non essere in grado di svolgere una delle quattro o cinque mansioni richieste dal lavoro di commessa?

E quindi sono uscita dal negozio a testa alta, con cinque centesimi di monetine e 95 centesimi di merce in più di quando ero entrata, felice di aver evitato alla commessa una frustrazione che le sarebbe costata ben più cara di un euro.

La mia buona azione quotidiana era stata evasa. 

mercoledì 30 novembre 2011

Telefonata inattesa

Bighellonavo per casa, quando ecco udirsi un suono che non avevo mai sentito.
Più che un suono, una suoneria, ed ero certa che in casa ci fosse solo il mio cellulare, e che il mio cellulare non avesse quella suoneria. Eppure quella suoneria venive ben dal mio unico cellulare. Basita, ho risposto.
IO: Pronto?
LUI: Pronto, parlo con Amauroto?
IO: Sì sì, sono io. E tu chi sei?
LUI: Sono Dio.
IO: Ah, ecco perchè hai una suoneria diversa. Eppure non ti avevo messo nel gruppo "Divinità". A dire il vero il gruppo "Divinità" manco ce l'ho nel cellulare, ché di numeri di divinità non ne ho molti, anzi non ne ho nemmeno uno.
LUI: Beh, io sono Dio, e come tale posso far suonare tutti i cellulari del mondo in tutti i modi del mondo senza nemmeno avere il numero.
IO: Certo che hai un bel potere. Io non potrei mai. Ma a parte queste discussioni, perchè mi hai telefonato?
LUI: Beh. volevo sapere come stai.
IO: Volevi sapere come sto? Io? Ma perchè io con tutti i miliardi di persone che ci sono sulla Terra?
LUI: Beh, tu hai un cellulare, e non è che ce l'abbiano tutti sulla Terra. In ogni caso è un po' come quando i tecnici informatici di una grande azienda devono monitorare l'attività sul computer dei dipendenti. Ogni mese ne pescano uno a caso e lo mettono sotto controllo. Se poi quello va sui siti porno, lo fanno licenziare.
IO: C'è crisi davvero se perfino tu fai questo lavoro di persona senza assumere nessuno. Ma scusa, sono andata sui siti porno?
LUI: Ma no, che c'entra! Mica ti devo licenziare, e tu mica lavori per una grande ditta. Te ti licenzia il precariato, non c'è bisogno di altri interventi. E poi devi prendre la metafora come tale, usare il secondo grado, insomma, uso la stessa metodologia ma con finalità diverse.
IO: e quali sarebbero ste finalità?
LUI: Te l'ho detto, vorrei sapere come stai.
IO: Ma scusa, ma se sei Dio non puoi saperlo senza telefonarmi?
LUI: Sì, certo che io so come stai. Ma io non voglio sapere davvero come stai, ma come tu pensi di stare. In realtà so anche come pensi di stare, solo che voi umani cambiate idea tante di quelle volte che preferisco farlo dal vivo, una tantum, su una persona a caso, in modo più umano, per fare una statistica necessariamente e umanamente imprecisa di quanto la gente creda di stare in un modo invece che nel modo in cui effettivamente sta. Ho già predisposto un sacco di file in Excel e mi stanno uscendo dei grafici bellissimi!
IO: Va beh, a sto punto ti risponderò. Come sto? Sto male.
LUI: Anche io sto male.
IO: Che hai?
LUI: Sono influenzato.
IO: Ma come, controlli tutti i cellulari del mondo e poi ti becchi l'influenza come un comune mortale con le difese immunitarie scariche?
LUI: Ma no, sono influenzato da voi.
IO: Ma come, non dovresti essere l'essere più elevato dell'Universo? Com'è che ti fai influenzare dalle tue creazioni?
LUI: Perchè, tu non ti fai influenzare dai tuoi alunni, o dalle cose che scrivi?
IO: No, sono io che influenzo loro.
LUI: Ma no, è una cosa reciproca. Se tu li influenzi, loro ti influenzano almeno altrettanto. Lo stesso vale per me e le mie creature.
IO: Quindi questa è una specie di seduta dallo psicologo per te?
LUI: Diciamo di sì.
IO: Beh, allora farebbero 50 €, proprio perchè sei tu.
LUI: Ma come, non sei una psicologa, tu, sei una prof precaria e per di più di sostegno.
IO: Sì, ma tu mi usi come tale. Caccia i 50 €, che sono precaria e in bolletta.
LUI: Non li ho, ora come ora.
IO: Ma non puoi crearli dal nulla?
LUI: Non vorrei mai alterare la finanza mondiale immettendo sul mercato denaro non coniato dalle Banche centrali.
IO: Certo che con sto libero arbitrio degli umani ti sei proprio legato le mani.
LUI: Già, già, a volte si diventa schiavi dei propri passatempo.
IO: Va beh, senti, se non hai i soldi, almeno fammi una ricarica sul cellulare. Puoi?
LUI: Sì, quello posso farlo.
IO: Allora va bene.
LUI: Ti saluto. Ti arriverà il messaggino della ricarica effettuata.
IO: Ok, grazie. Ciao e stammi bene.
LUI: Grazie, mi prenderò una tachipirina, magari mi sentirò meno influenzato.
Il cellulare, dopo tutto questa conversazione, era un po' caldo, il mio orecchio era un po' grigliato.
La ricarica, poi, non mi è mai arrivata.
Ora mi tocca aspettare di essere ripescata per un'altra telefonata, per avvertire Dio che l'ha scordata.
E già che ci sono, per ricordarmi di chiedergli un po' di altre cose che, presa alla sprovvista, ho dimenticato di domandargli.

lunedì 24 gennaio 2011

Incontri ravvicinati del solito tipo


Sabato ero qui, ed era qui anche lui.
Il sabato prima ero qui, ed era qui anche lui.
Ma la differenza è che, se il sabato prima c'era una bolgia infernale fin dall'inizio, perchè lui è ormai un'istituzione a Torino, a Cuneo, in mezzo a un popolo di bugia nen, sono arrivata che non solo non c'era quasi un cane, me c'era anche lui fuori dalla porta del centro commerciale adibito a circolo arci, con la solita sigaretta, ma un po' più smarrito del solito, e soprattutto abbastanza solo.
E così, soffrendo di un'improvvisa amnesia e scordandomi del mio autismo da vicinanza con l'artista, arrivando così, io e lui su una spianata di cemento, abituata a vederlo ai vari reading e nel mio Facebook quasi più di quanto veda i miei genitori, mi sono dimenticata e l'ho salutato come se lo conoscessi, che poi in verità lo conosco, ma quando mi autisticizzo è come se non conoscessi più nemmeno me stessa. E così ci siamo messi a chiacchierare del più e del meno, e io ero sempre autistica, ma qualche parola l'ho detta.
E poi, lì, proprio lì ho capito che io devo prendere le distanze dagli artisti per evitare di essere autistica.
E ho anche capito come mai non sono ancora famosa.

Non è che io voglia ma non possa.

Io posso ma non voglio.

Ché poi dovrei prendere le distanze da me.

venerdì 13 agosto 2010

Consolatori e contrariati


Salgo sul treno, mi sprofondo nella poltrona e mi apro un libro.
Inizio a leggere.
Non riesco a leggere.
Dietro di me c'è un ronzio strano.
Focalizzo l'udito sul ronzio strano.
E' una voce.
La voce, man mano che l'attenzione si focalizza, aumenta di volume.
Si distinguono le parole.
Mi metto ad ascoltare, con il libro a mezz'aria, girato al contrario.
Il tizio al telefono sta parlando con quella voce, la voce del consolatore saggio.
Un'ora e mezza di voce da consolatore saggio nelle orecchie.
A pensare che in fondo è così semplice assumere quel tono.
A pensare che dovrò stare attenta a non assumere quel tono.
Perlomeno non in treno.
Sono scesa che sapevo tutta la vita della sorella del consolatore e la ramificazione delle sue corna.
La mia dirimpettaia anche, leggeva il giornale al contrario.
Strano.

mercoledì 11 agosto 2010

Impagabile atto di poesia

Era su un treno tutto tranquillo, che si faceva i fatti suoi.
Il treno, però, brulicava talmente tanto di persone di sesso femminile, piacenti e di età inferiore ai 30-35 anni che a farsi proprio il 100 % dei fatti suoi non riusciva.
Poi, a un certo punto, si è seduta una ragazza bionda nel sedile obliquamente vicino, dall'altro lato del corridoio.
Ha aperto un libro, ed era bello guardarla leggere il libro, perchè cambiava espressione ogni mezza pagina, probabilmente in linea con ciò che leggeva. Da ciò lui aveva arguito che, oltre che un bel pezzo di figliola, la bionda era anche sensibile.
Poi aveva guardato la copertina del libro, e sulla copertina c'era scritto "Où es tu?".
Non ce l'aveva fatta.
Era troppo.
Aveva preso il suo biglietto del treno, ci aveva scritto su "je suis ici", e l'aveva piazzato sul tavolino, in modo che lei potesse leggere.
Ma lei niente, lei era troppo presa a leggere dentro il libro, per leggere anche sul tavolino.
Ma la natura chiama anche le bionde sensibili e carine, e la bionda sensibile e carina era andata in bagno.
Lui, con una mossa felina, le aveva fatto scivolare il biglietto nel libro, in sua assenza, con su scritto anche il suo numero di telefono.
Lei, sempre presissima dalla vicenda, al ritorno non s'era manco accorta dello spessore tra le pagine, ma ormai la cosa era fatta.
L'avrebbe chiamato, ne era sicuro.
Caso (o destino) aveva voluto che scendessero entrambi alla stessa stazione.
Caso (o destino) aveva voluto che fossero entrambi in Francia.
E in Francia capita che, nelle stazioni, ci siano controlli dei biglietti anche all'uscita, non per caso e nemmeno per destino.

Comprare il biglietto alla stazione: 27,50 € con Mastercard.
Andare a chiedere indietro il biglietto alla bionda per non prendersi la multa: impagabile.

venerdì 24 aprile 2009

Che tti ridi, merda?

L'altro giorno stavo camminando in via Sacchi, sotto i portici, nè felice nè triste, con l'inclinazione della bocca a forma di sorriso ingiustificato di circostanza che solitamente rivolgo ai miei interlocutori, anche se sono imbufalita.
Mentre procedevo con quella specie di paralisi facciale rivolta al mio interlocutore, è passata una qualche presenza alla nostra destra, e ho sentito un vocione gridare: "Che tti ridi, merda?".

Poi, la presenza è passata oltre, mentre percepivo qualcosa di nero e grosso ai margini del mio campo visivo.

Io e il mio interlocutore ci siamo girati insieme, e, a venti metri, anche la presenza si è girata.

Io avevo gli occhiali da vista ed era sera: un cocktail perfetto per non vedere una mazza.

Infatti non ho visto, ma me l'ha raccontato l'interlocutore (del resto, se interlocutore era, questo appellativo doveva pur ben avere un senso), che:


  • la faccia del personaggio era grossomodo questa:

  • Il personaggio mi stava facendo più o meno questo gesto:
Chissà perchè, poi.

sabato 27 settembre 2008

Follìa in blu

Oggi, per la prima volta su questi schermi, procederò all'intervista scritta della mia amica Giusy, che è qui vicino a me, tutta sconvolta dalle ultime esperienze torinesi.

Allora, Giusy, dicci, dicci, cosa te ne pare di Torino?

E' una città bellissima, grande, ti dà un sacco di possibilita' e si incontrano una marea di tipi strani che poi si scoprono invece o cuneesi , o siculi, oppure magrebini...

Qual è stata la persona più strana che hai incontrato, a parte me?

Mi ha sconvolto, ma in modo piacevole, il cuneese che abbiamo incontrato al Baloon, un omino piccolo e colorato, dagli occhi buoni, con la pretesa/volontà di regalare ai passanti un "pezzo di universo". Quello nella foto è il mio pezzo di universo!

Qual è stato il miglior gelato del uic end?

E' una dura lotta perchè penso che i gelati alla frutta non possano essere confrontati con le creme. Per risponderti dovrei tornare in entrambre le gelaterie torinesi e provare gusti fruttosi dove ho mangiato creme e viceversa!

La cosa che ti piace di più della città?

Sicuramente la Mole che io ho sempre visto come un "monumento grigio che emerge da un cielo un po' meno grigio". Invece ho scoperto un'insolita vita al suo interno: uno spendido museo del cinema di cui ignoravo l'esistenza.

E la cosa che ti piace di meno?

I tipi loschi che abbiamo incontrato ieri sera ai Murazzi, proseguendo oltre i locali aperti...Che paura!

martedì 13 marzo 2007

Il carabiniere

Cammino lungo un viale che dà sul mare di pianura case ponti stesi sotto il cuneo sopraelevato di Cuneo. Mi godo gli ultimi minuti di sole prima di rinchiudermi nel bunker.
In senso inverso passa un curioso energumeno, avvolto in un paio di pantaloncini stretch azzurro fosforescente, che corre come se avesse sacchetti di mercurio al posto dei piedi. Penso: "Che curioso energumeno", e procedo nell'assorbire tutto il calore possibile dal sole delle due e mezza.
Mi sento come braccata, ho un qualche fiato, fiatone sul collo.
- Signorina, scusi, mi permette?
Mi sorge il dubbio di essere piombata in una frattura spazio temporale che mi ha trascinata nel Medioevo. Mi giro di scatto e mi ritrovo il nasone dell'energumeno correvole a mezzo metro dalla faccia.
- Sì?
- Signorina, permetta che mi presenti. Sono un carabiniere. Mi chiamo Chiseloricorda. Lei mi ha ammaliato.
Lo guardo in faccia cercando di non scoppiare a ridere.
Mi tende una manona pelosa rossa, tenendo sollevato a mezz'aria un fazzoletto di carta. Gliela stringo, arretrando un po' per allontanare il nasone. La mia mano sguscia in un guazzetto viscido.
- Signorina, mi dò la Nivea per mantenere intatta la pelle delle mani. Tenga questo fazzoletto.
Mi pulisco, quindi mi avvicino alla pattumiera per buttare il residuo cremoso ed informe.
Chiseloricorda mi si avventa addosso con fare disperato e mi grida:
- Nooooo! Mi serve per soffiarmi!
Poi, intascato il fazzoletto, riprende la sua compostezza medievale azzurra fosforescente e mi chiede se mi va di uscire a cena con lui.