LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.
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mercoledì 13 marzo 2024

Della negligenza

A volte un battito d'ali di un negligente (per non usare altri appellativi) in cortile causa un tornado nello stesso cortile e dintorni. Senza stare ad andare dall'altra parte del mondo.
In città, si sa, si parcheggio difficilmente. Proprio per questo, esistono i garage, cari come alloggi interi in altre località. Uno si compra un garage in città, aprendo il mutuo che a Bombonina un altro apre per una casa di 100 mq.  
Fortunatamente, però, elimina i tempi di parcheggio.

Si dà il caso che la persona ecologica eviti di usare troppo l'automobile, lasciandola come un pupazzo di pezza di quando era piccola a giacere in quel carissimo garage, e spostandosi sempre in bici o a piedi.

Arriva però il giorno in cui ha la bronchite, deve andare a 15 km da casa, ha un appuntamento importante e improrogabile, si è slogato anche una caviglia. Tutto insieme. Si tratta di ipotesi irreali, esempi tratti da un mondo inventato, un mondo tipo Alice nel Paese delle merdaviglie. 

Ecco, in quel giorno, uno scende in garage con l'anticipo doveroso per gli appuntamenti importanti (un'ora per un tragitto da mezz'ora, quindi un'ora e mezza prima) e trova a un metro e mezzo dalla porta un furgone gigantesco. Parcheggiato. Forse c'era già da tempo, ma piedi e bici non necessitano di attenzione per particolari remoti e insignificanti. 
Ovviamente, sul furgone, nessun segno di minima civiltà, nemmeno un bigliettino con un numero di telefono.
Il malcapitato, zoppicando e scatarrando, cerca con mille manovre di estrarre il mezzo, ma, come dice il nome stesso, esce solo per metà dal garage prima di incappare nella fiancata del furgone. Capito che non c'è possibilità, si mette suonare il clacson, poi a girare, sempre zoppicando, per tutti i 145 appartamenti del supercondominio a cui afferisce il cortile. 
Dopo 50 minuti, trova l'operaio in questione in un alloggio dell'ottavo piano dell'ultimo immobile. Perso leggermente l'aplomb, l'ecologista è sempre meno dedito all'equilibrio dell'Universo perché si sta squilibrando qualcosa in lui, soprattutto mentre l'operaio, serafico, ribatte: "Beh, se non c'è parcheggio per strada, io metto il furgone in cortile. Siete voi che avete un cortile mal fatto, senza parcheggi per gli operai, e pieno di box. Tutti mi sgridano, quindi non lascio certo il mio numero di telefono perché se no la gente non mi lascia lavorare e mi fa spostare il furgone di continuo". La logica dell'operaio non fa una grinza nella sua testa: è difficile che 2 neuroni possano aggrumarsi. 
Estratta l'automobile dal garage dopo un'ora e quindici, uno si accorge che mancano ormai 15 minuti all'appuntamento a 15 km di attraversamento di tutta la città di distanza. 
Parte dimentico dei limiti di velocità, comunque dettati dal traffico cittadino delle 10 del mattino. Cosa ci farà, poi, tutta sta gente in macchina alle 10 del mattino, non è dato sapere. 
Dopo 20 minuti, il traffico si dirada e il guidatore, diventato seminevrotico, ancora ben lungi dalla meta ma già in ritardo, decide di fare una performance da need for speed in un sottopasso. Ecco, all'uscita del sottopasso proprio non ci riesce, a sorridere all'obiettivo della macchina fotografica impugnata dal vigile con tanto di giubbottino giallo. 
Controlla il tachimetro: intorno ai100 all'ora. Il limite è di 50.
Arriva ovviamente in ritardo all'appuntamento. 

Passano i giorni, e l'operaio continua a parcheggiare. 
La persona civica gli propone uno scambio di numeri di telefono, per potersi conciliare in modo da usare entrambi il cortile. "No, poi mi rompe le balle come gli altri". I due neuroni continuano a elaborare delicate strategie di convivenza civile.  

Arriva la notifica giudiziaria, in 4 esemplari, da ritirare in 4 luoghi remoti della città. Quando il proprietario del garage scopre di aver preso 2.700 € di multa e di non avere più la patente per i prossimi tre mesi, si apposta in cortile aspettando l'avvento dell'operaio. Il serafico omino, ascoltato il racconto, ribatte: "E va beh, è successo anche a me: paga 1.000 € in più e la patente non gliela tolgono". 

Ecco, ora vi confesso che questa è una storia poco verosimile, ma vera.

Perchè il Paese delle merdaviglie esiste davvero: si chiama Italia. 

venerdì 10 novembre 2023

Assurdità legalizzate


Le piste ciclabili sono una bella cosa, in città. Uno pedala tranquillo in un percorso protetto dalle automobili, si sente sicuro, eccetera.
Il problema è che tutti i verbi all'indicativo dovrebbero essere trasformati in condizionali, in ragione di una serie molto lunga di variabili distorte che rendono i percorsi ciclistici urbani una gimcana infernale. 
Affrontiamone uno solo: la convivenza con i pedoni.
Ho scritto post che parlano di quei pedoni che, in presenza di marciapiedi immensi, camminano nella sottile striscia rossa destinata ai ciclisti, forse perché allegri amanti del colore, che tra l'altro coincide con quello del sangue, che verseranno separatamente o congiuntamente al ciclista con cui cozzeranno prima o poi.
Mentre, nel suddetto caso, è chiaro che si tratti di un comportamento ai margini dell'umana ragionevolezza, spesso la convivenza è resa ancora più complessa dalla lungimiranza degli urbanisti che decidono dove e come mettere marciapiedi e piste ciclabili. 

A Torino ci sono alcuni capolavori che fanno pensare che i disegni siano stati tracciati dai bambini del Regina Margherita in età prescolare, dopo un'operazione, in preda ai postumi dell'anestesia. Infatti la meraviglia si trova non distante dal suddetto ospedale. 
Cavalcavia di corso Bramante: un marciapiedi, a caso, è stato adibito a pista ciclabile a doppio senso, l'altro è rimasto un marciapiedi. Il problema è che per transitare da una parte all'altra del corso, bisogna attraversare non 3 strade con semaforo, ma ben 5 perché c'è anche un simpatico controviale. Chi arriva dal lato sfavorevole, quindi, per sistemarsi sul lato giusto, pedone o ciclista che sia, deve attraversare all'inizio del cavalcavia e tornare al lato precedente alla fine del cavalcavia: 10 attraversamenti semaforici, di mezzo minuto l'uno. Attesa totale: 5 minuti. Se si fa avanti e indietro più volte, i 5 minuti si accumulano. 
E' pressoché naturale, ovvio e non contestabile se non si è autistici ad alto funzionamento, che sia i pedoni, sia i ciclisti, si distribuiscano in modo uniforme su entrambi i lati. 
Personalmente, colta da attacco di precisione, ho anche segnalato via mail la criticità al Comune. Come immaginabile, ho ricevuto rapida risposta. In sogno. 
Ora, appurato che i cittadini dovrebbero seguire una diligenza minima, personalmente ho deciso di non rispettare la viabilità di corso Bramante. Ho concluso, in modo autonomo e  incredibilmente sovversivo, che se vado a piedi dal lato ciclabile e vedo un ciclista in arrivo mi faccio da parte, se sono in bici sul lato pedonale rallento e mi fermo quando necessario, in modo da non ostacolare in nessuno modo i pedoni. 
Ecco, questo mio comportamento causa nervosismo supremo in una serie di individui che ritengono gravissima la mia condotta, e vogliono allietarmi la giornata sottolineando che sto contravvenendo alle regole e dovrei passare dal lato che mi è stato destinato. Essendo io sempre in bici, mi ritrovo vecchiette che, di fronte a me, ferma, allargano le borse a braccia aperte, manco giocassero a sparviero, gridando: "la ciclabile è dall'altra!" Ora, spesso lascio perdere, immaginando che siano state falciate in passato da qualche monopattino lanciato ai 30 all'ora sulla zona pedonale e siano in preda a sindrome post traumatica da stress, ma a volte, se ho tempo, mi fermo ad argomentare i perché e i percome della mia scelta, facendo notare loro che nella zona destinata alle biciclette, giustamente, c'è una bolgia di pedoni, che spesso, ingiustamente, insulta i ciclisti che passano troppo veloce. Concludo anche con un invito alla convivenza tollerante. 
Non ci crederete, ma in questi casi, nonostante la notevole prova di PNL, vengo mandata a quel paese e il personaggio in questione rimane fermamente sulle proprie posizioni, asserendo che io sia una serie di sostantivi che qui non cito per buona creanza.
E' chiaro che questo farsi giustizia da soli e inventare regole intermedie da rispettare ognuno per i fatti propri sia una peculiarità squisitamente italiana. Qualunque cosa faccia di diverso dalla regola, uno si sente sempre un po' strano, fuori posto. Ma se segue la regola si sente un completo idiota, e fare manovre del tutto assurde per adeguarsi beceramente al dictat fa sentire strani e fuori posto lo stesso. 
Il succo finale è questo:

sabato 23 settembre 2023

Pigrizia rimordente digitale

Uno sta guardando un bel film sdraiazzato sul divano ed ecco che gli viene voglia di implementare l'esperienza goduriosa con un bel gelato, ma il bel gelato non c'è e lui non ha nessuna intenzione di sollevare il deretano dai morbidi cuscini su cui giace. 
Nasce subito l'idea di attaccarsi a qualche app di gig economy del food delivery, ad esempio Glovo. Ma poi uno pensa agli amici che dicono che loro, un glover, non lo chiamerebbero mai, per rispetto dell'umana persona, per etica, perché è pericolosi girare in bici in città, perché a Madrid, una volta, uno di loro è stato beccato a mangiare una fetta di pizza e a ricostituire il cerchio in un modo che fa un baffo a Giotto, perché quelle borse sono piene di cibi mischiati, perché, perché, perché.
Il film continua, il cervello che c'è nella pancia brontola, uno inizia a a pensare che comunque non tutti i glover si mangiano le pizze, che il gelato non è una pizza, che se arrivasse scavato, magari con le mani o con la lingua, forse pieno di pericolosissimo covid, e poi riappianato, un po' se ne accorgerebbe, e in ogni caso occhio non vede cuore non duole, che se uno vuole lavorare in modo elastico ha un'opportunità in più di farlo grazie a Glovo & co, che in fondo anche andare a prendere un gelato in bici interrompendo il film potrebbe essere un'attività ad altissimo rischio come quella del glover, ma non pagata (di merda).
Alla fine uno apre l'app (che nonostante gli amici ha installato insieme a 12 altre sempre di food delivery), cerca un gelato vicino, buono, godurioso come il film, seleziona i gusti con cupidigia e fa per ordinare. Vede la faccia del fattorino in un pallino sul monitor: una faccia che è pur sempre solo una faccia presa in foto, dalle foto non si capisce l'anima, e vicino ci sono le caselle da sbaffare per la mancia. Mancia zero sarebbe proprio da sfruttatore. Poi c'è 7%, 10%, 20% ecc ecc.  Ad essere etici, bisognerebbe dare una manciona, un indennizzo per il pericolo, la frustrazione, la maleducazione altrui, ma il tizio ha una faccia antipatica, poi magari è un mangiatore di gelato seriale. Insomma, uno decide di guardarlo in 3D e poi di dare la mancia in base all'impatto live. 
Dopo una manciata di minuti uno sente suonare. Interrompe di malavoglia il bel film, si alza, il glover chiede in inglese maccheronico se può scendere i 5 piani che lo separano dal gelato. Ok, uno scende in pigiama sperando di non incontrare nessuno, arriva alla portina e il glover è lì, con la vaschetta in mano apparentemente incartata con cura, una faccia completamente diversa da quella della foto, un sorriso che sembra davvero sincero, e così uno sale le scale attanagliato dal dubbio. Arriva in casa e apre l'app per dare una mancia a questo individuo che alle dieci di sera sorride radioso davanti a una portina grigia porgendo un gelato superfluo e forse anche dannoso. Niente, non c'è modo di dare la mancia al glover. Tutti i tasti digitabili portano a lamentele. Non ce n'è uno che dice: "voglio dare la mancia, voglio pagare di più, il glover è stato così carino e gentile". No, solo lamentele. Si decide prima quanto dare, a scatolino chiuso. Dopo, è tardi. Uno passa due ore a cercare il modo di dare qualcosa al fattorino, spulcia tutte le faq, va nell'assistenza clienti. Niente. Gli viene il dubbio che comunque, dando la mancia tramite l'app, i soldi finiscano a quello antipatico della foto, quello che ha magari subappaltato l'account al poveraccio sorridente a cui toccherà una cifra irrisoria.
Inutile pensare di girovagare nella notte alla ricerca di chi ha fatto la consegna: sarà già dall'altra parte della città, mimetizzato in mezzo a un popolo di pedalatori notturni scatoluti, a portare qualche cibo a qualcuno che magari non gli darà nessuna mancia, uno stronzetto che non ha voglia di smuovere il deretano dal divano mentre guarda un film. 
Intanto si fa l'ora di andare a dormire, 
il film è ancora interrotto a metà, 
il gelato fuso, l
a fame sfamata. 

martedì 27 giugno 2023

Cambio secolo, cambio visuale

 

Negli anni '70 del 1900 le affissioni pubblicitarie erano tutte in alto. Certo, lo sguardo di alcuni "pareva scorrere sulle sabbie del deserto", ma la maggior parte delle persone procedeva guardando in su e lontano. I pubblicitari lo sapevano, e quindi munivano le città di cartelloni grandi, leggibili da da metri di distanza.
 
Adesso, negli anni '20 del 2000, le affissioni sono per terra. E nemmeno su un "per terra" da gente che focalizza dove sta andando. Perfino in mountain bike, appena impari, ti dicono: "guarda sempre 5 metri avanti, che se guardi poco oltre le ruote ti schianti". Se uno guarda la pubblicità nell'immagine qui sopra da 5 metri non legge nulla. I pubblicitari lo sanno, che la visuale delle persone si è rimpicciolita fino a un campo d'azione che anche un maestro di MTB considererebbe 
propedeutico allo schianto. 
E così, le affissioni le sprayano per terra, in piccolo, per quelli che, ingobbiti dalla piccolezza dei loro orizzonti, guardano poco oltre i loro piedi, notando una macchia di colore oltre lo schermo del cellulare

mercoledì 14 giugno 2023

Essere pro

L'altro giorno è successa una cosa che mi ha fatto pensare: "Sono diventata una ciclista da città pro".

Poi ho capito che era una cazzata. 
Non si è mai ciclisti da città pro. 

Dato che non state più nella pelle, ve la racconto. Pedalavo su questa pista ciclabile, di notte, protetta dalla fila di automobili parcheggiate da cui difficilmente sarebbero scese persone all'improvviso, vista l'ora. In strada una Opel grigia procedeva più o meno alla mia velocità, a volte un po' più avanti, a volte un po' più indietro. C'erano anche altre macchine in strada, ma quella ha attirato tutta la mia attenzione. Avevo un brutto presentimento. Dopo due km, in un punto in cui non c'era il filare di auto parcheggiate, ha messo la freccia a sinistra. Io ero a destra, ma l'ho controllata scrupolosamente, non so nemmeno perché. Non avevo visto bene chi ci fosse dentro, ma erano due individui. Di colpo, l'auto ha allargato a destra e mi è venuta addosso. Sono saltata sul marciapiede solo perché era da circa dieci minuti che  osservavo le mosse di quello che si è rivelato essere un uomo anziano con la consorte seduta vicina. Ho fatto qualche gesto nella loro direzione, hanno continuato a non vedermi. Tremante, mi sono allontanata con un mix di adrenalina e senso di essere, appunto, una pro dall'intuito fenomenale. 
Certo, dopo anni che giro in bici in mezzo al traffico, il mio corpo e la mia mente hanno imparato a reagire a stimoli apparentemente insignificanti in modo istintivo, ma, appunto, sono serviti anni e anni, ed è stato necessario anche buttarmi nel traffico quando non avevo questa esperienza, correndo rischi maggiori rispetto a oggi. 

Senza correre il rischio, si rimane al punto di partenza, paralizzati dalla paura. 
Al tempo stesso, con l'esperienza, gli anni e tutta l'acqua che per forza deve passare sotto i ponti, non si è mai davvero al riparo dai rischi, non si è mai davvero pro. 
C'è sempre qualcosa che sfugge al nostro controllo, nonostante si possano avere ottimi istinto e reattività. 
Essere decentemente in grado di pedalare nel traffico cittadino è un mix di autotutela massima e accoglimento del rischio ineliminabile: sapere che la vita è appesa ad un filo, accettare questa condizione umana e fare tutto lo stesso con un ossimorico cocktail di coscienza e incoscienza.
 

domenica 21 maggio 2023

La libertà è un asintoto


Ma anche l'asintoto non esiste. Eppure si studia. 
Senza asintoti, peraltro inesistenti, la funzione non tende a nulla. 
E' bello tendere all'inesistente, avvicinarvisi sempre di più, senza mai toccarlo, senza mai intersecarlo, senza mai diventarne paralleli. 

Cosa dite?
Non sapete cosa siano?
Non è grave, non esistono.
Però, tendetevi lo stesso.
Vi auguro di avere vite piene di asintoti.

mercoledì 26 aprile 2023

Il concorso

È uscito.
Ti precipiti a comprare i libri.
Ti tuffi tra le pagine.
Studi come un pazzo,
ché, poi, studiare come un pazzo
raramente è garanzia di successo.
Arriva il giorno della prova.
Sgomiti tra le gente.
Senti i discorsi degli altri.
deduci di essere preparato
in modo assai poco sillogistico.
Ti siedi.
Arriva la prova.
La sostieni.
Ti senti preparato.
Fai il sostenuto.
Vai a casa.
Attendi.
Pensi di avercela fatta.
Studi per l'orale.
Mesi di studio
forsennato e speranzoso.
L'attesa finisce,
perché tutto finisce,
prima o poi.
Con il cuore sospeso
controlli.
Non compare il tuo nome
tra i vincitori.
Esci e vaghi
senza sapere
senza sapere come
senza sapere dove,
il cervello bombardato.
Di quello che credevi di sapere
non è rimasto
che qualche
brandello di concetto.
Della tua preparazione
non è rimasto
neppure tanto.
Vaghi tra le macerie
del tuo presente straziato.

(Riavvolgere e ripetere per ogni concorso non vinto)

venerdì 17 marzo 2023

Homo pinnatus

L'homo pinnatus è un  individuo che si materializza nelle piscine seminando il terrore negli altri nuotatori. Solitamente, ma non sempre, di età post pensionistica, infila quelle taglienti e contundenti estremità artificiali e si infila in una corsia, che all'improvviso si svuota, pena il piastrellamento di tutte le altre con uno strato di pelle tale da impedire la visione del fondale a sua volta piastrellato. 
Se un malcapitato, a causa della saturazione totale delle altre corsie, si ritrova a dover condividere la nuotata con lui, ad ogni incrocio o sorpasso temerà per la propria sopravvivenza. Se il suddetto è anche educato, si stupirà di come, dopo 5 o 6 vasche, non sarà ancora costellato di lividi oblunghi. 
C'è però da insistere sul punto che se qualcuno si reca in piscina con le pinne, è probabile che di base non sia dotato di particolare empatia. E' altresì probabile anche che non abbia grandissime abilità natatorie, e che si diletti in attività tipo la rana pinnata. Spesso la pinna è corredata anche da maschera con tanto di tubo e dei famigerati guantini palmati, che, non si sa perché, spesso sono fatti di un materiale simile al tessuto uncinato su cui si attacca il velcro. Il compagno di corsia può contare su un servizio di massaggio thai plasticizzato di quelli super-mega-troppo energici alternato a scrub profondo (fino alla carne). 
Magari gli verrà in mente di interagire con il super accessoriato ponendogli quesiti tipo:
  • ma lo sa che la rana fa già male alle ginocchia di per sé? Intende distruggersele completamente mettendo pure le pinne? (evitando di aggiungere: come fa a permettersi ancora di fare simili stupidaggini alla sua età? Non ha già le ginocchia corrose dagli anni?)
  • ma chi glielo fa fare di lavare in doccia (manifestando un'altra volta scarsa empatia con gli altri) questo arsenale di attrezzature ogni volta? E poi come lo asciuga? Con i pochi phon messi a disposizione degli avventori?
Ma in realtà, l'homo pinnatus, questi quesiti non se li pone nemmeno. 
E non sa nemmeno di avere un compagno di corsia che vorrebbe porglieli, ha la maschera troppo appannata. 

martedì 24 gennaio 2023

Essere in un racconto di Dino Buzzati

Come voi, miei numerosissimi affezionatissimi lettori saprete, sono una corritrice: corro da una vita e vi ho rallegrati con post correnti vari ed eventuali

In seguito a una caterva di distorsioni, si sono rarefatti sia i post sia la relativa corsa. 

Ormai convinta di essere destinata alla sedia a rotelle, mi reco dal luminare di chirurgia del piede della clinica privata famigeratissima, pensando che non sono mai andata al Combal.zero per non spendere la quantità di soldi che dispenserò oggi in mezz'ora scarsa. 
Armata fino ai denti di ecografie, risonanze e commenti apocalittici di tecnici vari sullo stato delle mie scheletriche e incurvate estremità, inclusa una bella artrosi, mi siedo davanti al luminare. Ha un aspetto da luminare, appunto: capelli bianchi, occhiali, camice rassicurante, scarpe eccentricamente colorate che sbucano dalla tenuta chirurgica. 
Mi chiede di raccontargli tutto, un po' come in "Dal medico" di Buzzati. Mi aspetto chiaramente che il suo verdetto sia: "Lei, signorina, è morta". 
Mentre mi fa tutti i controlli del caso, mi racconta ogni sua rilevazione, e parla un linguaggio a me totalmente sconosciuto, ma, per un effetto Babele, lo capisco. Un po' come ne "Il disco si posò" di Buzzati. 

Alla fine della visita non mi dice che sono morta. Mi dice che sono viva. Che ho le caviglie. Che ok, Uto Ughi suona uno Stradivari, il violino più figo che esista al mondo, ma anche lui, il violinista più figo che esista al mondo, si mettesse a suonare un violino da quattro soldi trovato al Balon o nella monnezza, ecco, suonerebbe di merda facendo stecche. Merda e figo non li dice, ma, nella traduzione istantanea dal suo linguaggio al mio, emergono con prepotenza questi due vocaboli poco acconci a contanta luminaria. 
Ecco, io sono nata con due violini da quattro soldi del Balon al posto dei piedi.

Non è decisamente una bella notizia. 
Però, diciamocelo, risale a 43 anni fa. Mica è un'ultim'ora. 
E poi ci sono persone che, qualunque cosa ti dicano, in qualunque linguaggio, ti ben dispongono. Sono sempre più rare, in questa società che credevamo post-apocalittica ma potrebbe anche essere, a ben vedere, semplicemente pre-apocalittica. Il luminare è una di quelle rare persone: è degno di un racconto di Buzzati; anzi, quando sei con lui, sei IN un racconto di Buzzati.

E in questo racconto, quando giunge il momento del congedo, il luminare non scrive al PC come qualsiasi medico. Il luminare chiama la segretaria, che si avvicina con pachiermica andatura, per affossarsi davanti alla tastiera. Il luminare, girovagando in tondo per lo studio, detta nel suo linguaggio, e la segretaria, mentre lo sforzo del digitare svela parzialmente un enorme tatuaggio sul tricipite pendulo e depilato, traduce per iscritto. La voce si dipana ipnotica nell'aria. Mi lascio affabulare dalle lettere che compaiono sul monitor. La specificità di ciò che si materializza con stenografica velocità non maschera ai miei occhi alcuni errori di battitura e meravigliose contorsioni lessicali, esse stesse fonte di quella magica e semplice ilarità che il luminare sprigiona inconsapevolmente. 
Alla fine della battitura, si passa al rito della rilettura critica. Cullata dalla fiaba del momento, non riesco a non far notare che "mancanza di assenza di stabilità della caviglia" mi fa abbastanza ridere. Lui, riconoscendo che non suona bene, ridetta: "mancanza di deficit nella stabilità della caviglia". Rido sotto la mascherina: il termine "presenza" è evidentemente "La parola proibita" della Città dei Luminari. 
E io l'ho beccata.

Pago la segretaria.
Pago tanto.

Esco, inconsapevolmente felice.
Pedalo per la città con il sorriso che allevia la gravità delle mie caviglie: del resto, per la fantasia e i pedali, non servono caviglie stradivari. 

martedì 25 ottobre 2022

Prodotti

Quando uno va a correre, capita che ascolti musica, audiolibri, podcast o altri audio con il cellulare, attaccandolo agli auricolari. 
Se è avanti si usa quelli Bluetooth, se è antiquato quelli con il filo. 
Capita anche che, durante l'ascolto, qualcuno gli telefoni: se non è proprio a corto di fiato, si tratta di una benedizione, perché la conversazione diminuisce la sensazione di fatica, più o meno al pari dell'ascolto di qualcosa di interessante. Ovviamente, il beneficio si riduce con la riduzione dell'interesse.

A me è capitato che mi telefonassero e mi ponessero, di prima mattina, il tipico problema che viene in mente a chi ha appena spento la sveglia: ma l'essere umano può essere visto, soprattutto nel campo dell'accoppiamento sentimentale, come un prodotto, al pari di quelli che si trovano sugli scaffali di un supermercato? Dalla conversazione è emerso con chiarezza che la risposta è sì, e nemmeno per pochi. Si è giunti alla conclusione che sia capitato anche a noi, nel tempo, come soggetti attivi e/o passivi. Alla fin fine, ci siamo detti, è un po' inevitabile che si valutino tanti aspetti di una persona che, anche se non direttamente, in qualche modo sono collegati al suo io: la sua ricchezza (costruita con il sudore della fronte o ereditata), la sua o, meglio ancora, le sue abitazioni, il suo reddito, il suo involucro esterno, la presunta data di scadenza, insomma, un sacco di cose per nulla romantiche, soprattutto se non ci si riflette molto.
 
Di colpo, però, mentre ero presa benissimo a filosofeggiare senza accorgermi che una nebbia spessissima mi lavava letteralmente i capelli e stavo correndo in una foresta che sembrava uscita da "The blair witch project", taccc, non ho sentito più nulla. 
Ho guardato il filo delle mie nuove cuffiette cinesi, tipiche della persona antiquata: era uscito tutto il rame dalla guarnizione. Insomma, erano da buttare.

Ho chiuso la conversazione, finito la corsa, buttato le cuffiette, e, prima di andare a lavorare, sono passata da Max Factory a comprarne un paio identico. 

Mentre compivo questa serie di operazioni, mi sono detta che quello che si fa con un prodotto è questo: se si rompe, si butta. 
E si ricompra. 
Uguale, simile o anche meglio se se ne ha la possibilità economica. 

Poi ho pensato che forse l'universo volesse comunicarmi qualcosa: 
e quel qualcosa,
 senza ombra di dubbio,
 è 
che 
le cuffiette cinesi sono di pessima qualità.

giovedì 29 settembre 2022

La vita è un Tetris

Il tempo non è uniforme. 
E' evidente come acceleri man mano che si invecchia.

Da giovani si aveva un sacco di tempo di nullafacenza, e si riuscivano comunque a imparare un sacco di cose, vedere persone, scoprire novità. Si correva solo quando si era al campo di atletica.

Invecchiando, pur essendo invariata la durata delle giornate, non si riesce più a fare nulla. Ogni anno il tempo passa più in fretta. Ogni anno si smette qualche attività per stare più tranquilli, e ci si agita di più. Non serve più il campo di atletica: si corre per strada, a casa, nei corridoi dove si lavora. Ma non serve: per quanto ci alleniamo, il tempo è sempre più veloce di noi.

Deve esserci un timer interno che rende la percezione dello scorrere delle ore sempre più intonata alle nostre possibilità di fare cose: meno se ne riescono a fare, più il tempo corre veloce. 
Deve essere un sistema di tutela per quando, da vecchi, in un giorno, si riesce ad alzarsi dal letto, dedicarsi a 2-3 attività di base, e tornare tra le coperte. Per non annoiarci, il nostro timer accelera così tanto il tempo che ci sembra di esserci appena alzati e dover già andare a dormire. 
Inutile sperare nelle gioie della pensione: ci regaleranno quell'inutile orologio d'oro e, una volta usciti della porta dell'azienda in cui lavoravamo, saremo già nella bara, vent'anni dopo. Se va bene. 
E quindi? 
Quindi, se abbiamo il timer interno con accelerazione più che proporzionale verso il game over, tanto vale approfittare di tutto il tempo che c'è finché c'è, godersi il gioco, ché la vita è come il Tetris: più si va avanti, più i pezzi scendono veloci.

venerdì 5 agosto 2022

Tutto finisce (o quasi)


Uno psicologo una volta mi ha detto che era inutile che credessi che la mia mente funzionasse in un modo sofisticato chissà come: la verità è che ragioniamo tutti allo stesso modo, seguendo quattro meccanismi semplicissimi in croce. Ovviamente l'idea mi aveva contrariata parecchio, come tutte le cose vere e poco piacevoli. Ma, appunto, era cosa vera.
Inoltrandosi nel mare delle contrarietà (si vede che aveva già troppi pazienti), aveva poi continuato a dire che l'amore è una cosa momentanea. Insomma, alla fine ha avuto un paziente in meno. Che probabilmente era il suo scopo. O forse no. 
Un po' di tempo dopo uno mi ha detto: "tutto finisce". Per ribadirlo, me lo aveva anche scritto sulla prima pagina interna di un libro che mi aveva regalato: "tutto finisce". Che cosa brutta. Roba da rovinare il libro. Però, in effetti, molto finisce, tipo l'ispirazione per scrivere e tante altre cose che quando finiscono fa un male tremendo. 
In realtà, però, c'è una cosa falsa in quello che mi hanno detto e scritto, o perlomeno, relativamente falsa se escludiamo la morte, che in effetti pone fine a tutto. C'è una cosa che raramente finisce prima della morte: la stupidità del possesso. Altro che comunismo e comunione dei mezzi di produzione, noi non riusciamo a non voler possedere nemmeno (e soprattutto) ciò che è impossibile da possedere: le persone. 
Vi siete mai chiesti perché gente tremenda, con caratteri assurdi, stronzissima e magari anche brutta ha qualcuno che la ama e che farebbe qualsiasi cosa per lei, mentre altri gentili, simpatici, divertenti e magari anche di bello o bellissimo aspetto vengono continuamente calpestati e cornificati nella loro vita di coppia? Io sì. I primi sono amati e i secondi no? Figurarsi: dopo un periodo di tempo variabile ma ineluttabile, nessuno è più amato. Ma quasi tutti sono posseduti. Solo che alcuni si lasciano possedere in modo canino, altri no. Altri si fanno i fatti loro. Ecco: quelli lì sono quelli apparentemente amati. Perché? Perché il loro partner o aspirante partner, nel desiderio di possesso, perde letteralmente la testa (non per amore ma per brama di possesso) e fa di tutto per conquistarli. E quando ce la fa? O si zerbinifica, perpetuando l'asimmetria di sottomissione, o, non avendo più la brama di conquista, si distrae, scatenando una reazione di ricerca di possesso nel partner, che di colpo si professa innamoratissimo, fino a nuovo rovesciamento delle situazione. 
Semplice, no?
Non vi piace? Non leggete più questo blog, tanto cambia poco. 
Tutto finisce lo stesso, anzi quasi tutto. 

lunedì 13 giugno 2022

Gli Arseni Bravuomini

(quest'immagine l'ho presa da qui, non essendo un'amica 
né una conoscente ma solo una riconoscente)

Un giorno ero in un posto nel profondo sud di Torino, davanti a un cancello di un immobile, quando ho visto una macchinina appropinquarsi al cancello dell'immobile vicino, e dentro la macchinina c'era lui, ne ero sicura, era proprio lui, Arsenio Bravuomo. L'ho anche detto alla persona con cui ero, un'abitante dell'immobile davanti a cui mi trovavo: "Quello lì è il poeta Arsenio Bravuomo, è proprio lui". Non che a lei interessasse o sapesse chi è Arsenio Bravuomo, ma fa lo stesso. Ora, non è che io sia una sua amica, e nemmeno quello che si potrebbe dire una conoscente, perché non lo conosco per nulla, ma si può dire che mi ritenga una sua riconoscente, non tanto nel senso di gratitudine per quello che produce (tra le sue produzioni ci sono cose che mi divertono o interessano o tutti e due), quanto nel senso di riconoscerlo dalla sua fisionomia peraltro abbastanza originale. L'ho salutato, in qualità di riconoscitrice, non conoscente e nemmeno amica, e lui mi ha risposto, immagino nella stessa qualità, un po' come una volta che ero in un posto in Crocetta a vedere uno strano saggio di pianoforte in cui mia cugina liceale, di notevole stazza in confronto ai bambini delle elementari che si esibivano, suonava il pianoforte e faceva un balletto agitando nastri colorati. Anche in quel frangente il riconosciuto e riconoscitore Arsenio Bravuomo mi aveva salutata.
L'altra sera, poi, sono andata a un poetry slam, in un parco della profonda Mirafiori, e nel parco c'era un bar, e nel bar c'era un bancone, e appoggiato al bancone c'era Arsenio Bravuomo, e c'ero pure io.  Mi sono girata e gli ho detto "Ciao". Lui mi ha detto: "Ciao". Io gli ho chiesto se abitasse in un cancelletto di una via precisa del profondo sud di Torino, e guidasse una piccola macchinina di una nota fabbrica italiana di automobili di Torino, e lui mi ha detto no, poi ha aggiunto: "non vado mai in quel posto e non entro mai in cancelli in quella via rinchiuso in una piccola macchinina". 
Ci sono rimasta un po' male, perchè ho capito che di Arseni Bravuomini in Torino ce ne sono due o forse più, e poi non ho osato nemmeno chiedergli se era quello che credevo o uno che non credevo, e poi non sapevo nemmeno più se l'Arsenio del saggio di pianoforte fosse il primo o il secondo Arsenio o ancora un terzo. 
E niente, non sono poi così brava a riconoscere gli Arseni Bravuomini, ma nemmeno loro sono così bravi a riconoscere me, oppure uno o due di loro sono molto educati e salutano sempre tutti, anche i non riconosciuti. 

giovedì 26 maggio 2022

Il semaforo bianco

Quando scatta il bianco, è un bel problema. 
Perché il bianco non te lo aspetti. 
Ti aspetti il verde, il rosso, anche il giallo. 
Il bianco, no. 
Non è previsto. 

Inizi a chiederti se sia un bianco che era un rosso o un verde.
Sul giallo non hai dubbi: sarebbe in centro. 
E' un bel dilemma, perché con un rosso estinto stai, con un verde estinto vai. 

Anche gli altri, poi, hanno lo stesso problema. 
Chi se lo ricorda se il rosso sta giù o su. 
Nessuno.
Siamo troppo abituati a basarci su un punto di riferimento solo, il colore, appunto, per preoccuparci anche della posizione, che ci aiuterebbe quando il primo venga meno. Ma no, noi non ci preoccupiamo, andiamo avanti solo con il colore finché abbiamo occhi per vedere colori e finché colori si palesano ai nostri occhi vedenti.

E così, un bel giorno, con il semaforo bianco, se non sbagli tu, magari sbaglia l'altro.




Un po' di preventiva attenzione ai particolari vi avrebbe salvati. 

venerdì 20 maggio 2022

Sparcheggiatori

Le automobili che si sparcheggiano sono una benedizione quando uno è in automobile in cerca di parcheggio.
Quando invece uno passa in bici, volto verso una destinazione remota, in una via non troppo larga, l'automobile sparcheggiante è una vera rottura di scatole. Intanto si forma una colonna di auto piene di esseri umani bestemmianti all'interno, meno uno, quello che vuole occupare il parcheggio che si sta liberando. Quando gli speranzosi sono più di uno, inizia la competizione per chi si accaparrerà il posto. Parte una comunicazione a gesti tra chi aspetta, rimbalzante tra specchietti retrovisori. Se i contenuti delle scatolette si accorgono di correre il rischio di non accaparrarsi l'ambito pertugio, diventano iracondi e attaccabrighe. L'ignaro ciclista corre il rischio di beccarsi una portiera addosso, aperta da uno dei litigiosi che all'improvviso, accecato dalla rabbia, scende dal mezzo senza preavviso per andare a prendere a botte e neutralizzare i concorrenti. Se supera questa prova, si trova davanti l'auto che sta facendo retromarcia. Ora, il pedalatore non ha nessuna intenzione di fermarsi, ma c'è il rischio che lo sparcheggiatore non lo veda e gli si sparcheggi addosso, se il ciclista passa dietro di lui. Può decidere di correre il rischio, calcolare la probabile traiettoria, fare una valutazione delle combinazioni di velocità sua e dell'uscente, e non fermarsi, magari accelerare pure e superare il conglomerato di automobili, attirandosi probabilmente una serie di maledizioni che gli cagionerà un cambiamento di karma. L'alternativa è fermarsi, con il rischio concreto di rimanere inglobato in una rissa per l'accaparramento del posto auto, o anche di essere schiacciato miserabilmente dagli automobilisti in attesa, che sgommeranno come disperati non appena il passaggio sarà libero, dimentichi di ogni decenza e legge stradale. 
 
La legge di Murhpy vuole che:
  • se si è in bici, si trovi un elevatissimo numero di sparcheggiatori sul proprio percorso;
  • se si è in macchina diretti verso destinazione remota, si trovi un elevatissimo numero di sparcheggiatori sul proprio percorso, fino a un km dalla destinazione, con estinzione quasi totale del loro numero all'avvicinarsi della meta. Se ce ne fosse mai uno nel posto giusto, ci sarebbero altri dieci interessati, tutti davanti, con conseguente rissa;
  • se si è in macchina nei pressi della meta, ci si riconduca alla casistica du cui sopra, a partire da "estinzione".

martedì 17 maggio 2022

Sto pensando di nuotare qui

Ieri sera ho visto, per la seconda volta, il film "Sto pensando di finirla qui". 
Ora, non voglio spoilerare nulla, non vi voglio rovinare la comprensione del film, che comunque non vi rovinereste nemmeno vedendolo, ma ad un certo punto c'è gente che invecchia, ringiovanisce, sparisce.
 
Stamattina vado in piscina, mi immergo e scopro che l'idea di mettere il dentifricio negli occhialini per non farli appannare non funziona proprio. Certo, l'ho tolto, il dentifricio, prima di immergermi. Probabilmente ne ho usato uno un po' troppo abrasivo e tenace, fatto sta ed è che oltre all'appannamento ho anche uno strato untuoso bianco ineliminabile. Mi sembra di fare rana nel lago di Loch Ness a Novembre, con la differenza che, invece di un solo mostro, qui sono immerse numerose anzianotte con la cuffia che vagano per la corsia senza criterio. Procedo con lo stile libero in un ambiente da film horror-thriller. Arrivo a fondo vasca, tolgo gli occhialini, sfrego invano con il dito per eliminare la patina.

 Mi osserva una donna sulla quarantina con un viso molto particolare, avvolta in un costume a righe blu e azzurre. Mi fa un accenno di sorriso, come se volesse parlare, ma io mi rituffo nell'oblio Mentadent microgranuli senza parlare. Dopo una vasca, torno a sfregare gli occhialini con il dito, e mi trovo davanti una donna, con costume a righe blu e azzurre, viso molto particolare, rugosa, che mi dice: "Ho 90 anni, nuotare per me è una sfida. Ormai anche camminare è difficile, alla mia età". Mi rimetto gli occhialini, faccio tre bracciate, e non c'è più nessuna donna con il costume a righe blu e azzurre. 

Le opzioni sono due:
  1. sono nel film
  2. devo cambiare occhialini
Vado al Decathlon. 

venerdì 29 aprile 2022

Ceci n'est pas un vélo

La gente ha strane convinzioni sulla ciclabilità urbana.

Il casco, ad esempio, non è un copricapo da appoggiare con la massima delicatezza su una capigliatura messinpiegata di fresco, allacciato mollemente sotto il mento, o anche slacciato. Quella roba lì, oltre a schiacciare comunque i capelli, non serve veramente a nulla, se non proprio a ripararsi da un vaso che cada sul cranio in modo perfettamente centrale e perpendicolare al suolo. Ogni altro incidente lo scalza e produce l'effetto che era deputato a sortire. 

Se si è senza capelli, non vuol dire che la propria testa abbia già le sembianze di un casco, e quindi ce ne si possa esimere, valutando il livello di ipovisione dei vigili delle zone in cui si passa, in vista di un eventuale futuro obbligo di casco in bici. Ma dei ciclisti pelati senza casco ho già parlato

Un altro fenomeno curioso è l'utilizzo della pista ciclabile. A parte il banalissimo  impiego come parcheggio per automobili e camion che scaricano merci, e lo scontato utilizzo della pista come marciapiedi, lasciando il marciapiedi libero, caso mai qualche ciclista volesse usarlo, c'è una serie di convinzioni da smontare:
  • il cane non è una bicicletta: sembra scontato, ma non lo è. Molti padroni di quattrozampe, camminando sul marciapiedi, li pascolano proprio sulla pista, tendendo un simpatico guinzaglio tra loro e l'animale da compagnia. Proporrei, se si fosse persone arrabbiate con il mondo, di usare, al posto del guinzaglio, un filo da pesca, per affettare malcapitati ciclisti tipo fetta di polenta taragna;
  • il trolley non è una bicicletta: si assiste a scene simili a quelle canine, ma al posto del cane c'è un trolley. E' vero, il trolley ha le ruote, si avvicina di più a una bici rispetto al quadrupede, ma rimane comunque un altro tipo di oggetto, peraltro nemmeno deputato a mezzo di trasporto;
  • la sedia a rotelle non è una bicicletta: sia che la persona ivi seduta guidi da sola il mezzo, sia che si faccia spingere da un altro essere umano, anche la sedia ha le ruote ma non è una bici;
  • avere il bastone e più di ottantacinque anni non trasforma in biciclette: la cataratta, però, può essere una scusa plausibile;
  • scooter e motorini non sono biciclette, ma su quello sono d'accordo anche i vigili, quelli ipovedenti di cui sopra;
  • l'utilizzo di uno smartphone non fa diventare persone in bicicletta. E può nuocere gravemente alla sopravvivenza e integrità in ambiente urbano;
  • la pista ciclabile non è un salotto dove chiacchierare amabilmente per non ingombrare il marciapiedi, però può essere un buon posto per parlare con qualcuno che sta molto antipatico, pronti a saltare via all'arrivo di un ciclista ai 30 all'ora. 
Corollario: la casa avanzata non è né un appartamento avariato né un luogo dove mettersi per fare la gara a chi parte prima al verde del semaforo in macchina, ma un'area dove i ciclisti dovrebbero potersi piazzare per evitare di aspettare al semaforo respirando le emissioni dei tubi di scappamento delle auto e partire prima di loro allo scattare del verde. 

domenica 10 aprile 2022

Vivi il sogno

Un sacco di pubblicità di cose varie, ma tutte presunte fighe, tipo viaggi TV abbonamenti auto, propongono lo slogan "vivi il sogno".

Ma siamo sicuri di voler vivere i sogni? 

Io, francamente, i miei sogni, anche no. 

Manco per sogno.

mercoledì 23 febbraio 2022

Piacevolezza olistica aghipungente

C'è un tipo di cura che fa bene al corpo e all'anima.

Si presume che quando si esce dalla seduta si stia bene, in pace con sé stessi e con il mondo.

Che nome avrà una simile manna?

AGO-PUNTURA
da spazioconnesioni.it

Insomma, un collage di due parole sommamente rinfrancanti, rilassanti e confortanti. 

Del resto, la belonefobia è assai poco diffusa, il 90% delle persone delle persone adora farsi affondare aghi nel corpo. 
Di solito, quando si ha un po' di tempo libero, ci si fa infilzare.
 
[Tra l'altro, trattandosi anche di fobia per le cose appuntite e per gli spigoli, arguisco anche che pochi belonefobici stiano leggendo questo post o abbiano mai letto il mio blog. Ma questa è un'altra storia.]

Qualche persona dallo sviluppato senso matematico potrebbe controbattere che in realtà la belonefobia riguardi il 10% delle persone, ma la belonepatia interessi una percentuale ben maggiore, pressoché tutti i non-masochisti (che in effetti non sono poi tanti). Di conseguenza, la piacevolezza dell'agopuntura risiederebbe nel raddoppiamento della parola, come due meno che moltiplicati tra loro danno un più. 

Sgradevolezza della parola AGO *  
Sgradevolezza della parola PUNTURA = 
piacevolezza

La grande bellezza del sottoporsi alla cura, al di là di sottigliezze medico-psico-etimologiche, consiste in una serie di corollari:
  1. Oltre a farsi infilzare aghi in luoghi impensabili (tipo tra la parte palmata dei piedi tra le dita, nelle orecchie, in fronte, nei polsi in mezzo a vene e arterie, nella zona degli occhi in cui rimane il moscerino quando vi si infila), li si trattiene in sé per un'oretta. Il che fa sì che la sensazione di piacevolezza si espanda e si insinui in modo olistico;
  2.  Dato che ci si denuda quasi interamente, l'agopunturista scrupoloso provvederà ad adagiare con cura e attenzione su di voi zeppi di aghi uno di quei pacchi regalo argentati e dorati per scaldarvi, donandovi un momento di gradevolezza da paralisi muscolare;
  3. Quando l'agopunturista se ne va, ci si deve abbandonare al relax, possibilmente addormentandosi, confidando in quegli scatti da addormentamento che scuoterebbero la stagnolona e vi farebbero fluire impulsi di benessere da un capo all'altro del corpo;
  4. Anche il camion che passerà sotto lo studio medico, in un'armonia completa con l'universo, si unirà alla vostra seduta, inviando telepaticamente vibrazioni di rara piacevolezza a ogni ago conficcato nelle vostre carni. 
Insomma, il benessere è a un ago di distanza da voi.
Provare per credere. 
Non sarete rimborsati.

venerdì 21 gennaio 2022

Viaggiare pesanti

Uno è lì, fermo a un semaforo, che guarda le macchine che girano, i pedoni che attraversano, i semafori che verdeggiano rosseggiano e gialleggiano. 

Ad un certo punto la sua attenzione viene convogliata da un camion gigante, con su scritto CRAI, sicuramente craichissimo di merci da supermercato belle pesanti. Sta cercando di girare a destra in una strada dove esseri umani con il naso immerso nel cellulare continuano ad attraversare a piccole frotte intervallate da spazi in cui un camion del genere non può inserirsi. 
Non può, ma ci prova lo stesso.
E quindi uno lo vede accelerare, che ci vuole un attimo a smuovere tutto il pachidermico carico, e, dopo 30 cm, inchiodare, da una ridicolissima velocità raggiunta in quell'inintellegibile spazio. La cosa che stupisce è quanto il bestione reagisca alla frenata. Traballa pericolosamente, come un mammouth di gelatina alimentare, e sembra che debba franare addosso ai pedoni che tanto se ne fregano perché  non vedono null'altro che il loro schermo, e, anche se tirassero su gli occhi, le loro pupille coglierebbero a malapena una sagoma offuscata dalla lentezza di messa a fuoco e il loro cervello carburerebbe, nei casi fortunati, all'isolato successivo. 

Uno, in quel frangente apparentemente insignificante, deduce concetti rilevanti:
  • se viaggi pesante, è difficile sia partire sia fermarsi;
  • se viaggi pesante, ogni cambiamento di rotta o di velocità di crociera causa uno scombussolamento non da poco, anche se viaggi a lumachevole velocità;
  • se viaggi pesante, sei pericoloso per gli altri. 
E sì, del resto, ha sempre avuto ragione lui

O io