Leggo sempre volentieri quasi tutti gli articoli, in particolar modo quelli di Luca Angelini.
Davanti alla “tristezza e la frustrazione” di Miozzo per le
scuole chiuse, vorrei porre il punto di vista della sottoscritta, docente di
sostegno in un istituto professionale superiore di Torino.
E’ sicuramente vero che gli ammassamenti sui mezzi pubblici
e gli assembramenti tra studenti non solo davanti alle scuole, ma in ogni luogo, possibilmente senza mascherina e tutti abbracciati, siano dannose. Ma
non ritengo veritiero che una volta varcati i muri delle scuole cambi tutto. I
ragazzi che conosco da una decina d’anni di insegnamento nelle scuole professionali
sono fatti così, e sono spesso poco consapevoli delle conseguenze delle loro
azioni, e in generale per niente propensi al ragionamento logico-deduttivo.
Non mi riferisco qui a tutti gli alunni, perché sicuramente
ci sono delle eccezioni, ma all’andazzo generale, che è poi quello che interessa
quando si vanno a fare statistiche sui contagi.
Quando sento parlare politici e esperti vari o leggo quello
che scrivono sulla scuola, ho l’impressione che non abbiano mai messo piede
nelle classi, se non in qualche scuola d’élite poco rappresentativa. Per tutto
il periodo in presenza, i miei studenti stavano in classe perlopiù con la
mascherina sotto il naso se non sotto il mento, si alzavano di continuo, si sedevano
in due sulla stessa sedia, bevevano dalla stessa lattina e mangiavano dallo
stesso panino, e per parlare con noi prof venivano a poca distanza dalle nostre
facce e si abbassavano la mascherina eventualmente (per puro caso) alzata, perché
“così li sentivamo meglio”. Il tutto essendo redarguiti e illuminati sulla
necessità di un comportamento diverso all’incirca ogni dieci minuti, con
evidente impossibilità, o quasi, di svolgere le lezioni.
L’immagine di classi con gli alunni seduti in silenzio a
prendere appunti, ognuno nel suo banco, con la bocca a un metro dalle bocche di
tutti gli altri, sono per i nostalgici e coloro che la scuola non la conoscono.
Non ho mai insegnato in un Liceo e spero che la situazione sia un po’ diversa, ma sentir di continuo dire che la scuola non
è luogo di contagio mi pare superficiale e irreale.
Lo stesso Miozzo, tra l’altro, ha riferito che la Azzolina,
già a fine ottobre, fosse a conoscenza, dai dati trasmessi dai Presidi, di
65.000 casi nelle scuole. Ecco un articolo in proposito: https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/25451389/franco-bechis-lucia-azzolina-scuola-contagi-ecco-documento-dimostra-ministero-nascosto-verita-.html
Preciso – perché sembra dimenticato, in questo articolo - che
nelle scuole non ci sono solo gli studenti teenager, che se contraggono il
virus perlopiù manco se ne accorgono (e quindi continuano a circolare senza
sospettare nulla), ma ci sono molti docenti/dipendenti con un’età media
abbastanza alta, con famiglie da cui tornano quotidianamente, a loro volta spesso
con figli che frequentano le scuole.
Aggiungo che mi rendo sicuramente conto del danno che viene
apportato agli studenti, ma non sono d’accordo sul bilancio tra benefici e
svantaggi che viene espresso in termini generali nell’articolo. Sicuramente ci
sono un sacco di alunni che vanno a scuola per imparare, si impegnano e per
cui non andare a scuola in presenza può essere un danno. Questi stessi
studenti, in ogni caso, si daranno da fare anche in DDI, imparando a
gestire l’apprendimento in modo diverso, che non fa mai male. Lavorando nei
professionali rilevo che, grazie all’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16
anni, e anche alla cattiva comprensione della possibilità di andare comunque a
lavorare a 14 anni con specifichi percorsi alternativi alla scuola, le classi
sono piene di persone che vanno a scuola solo perché obbligate, in attesa di
compiere i famigerati 16 anni, intente solo a disturbare e a arrecare il
massimo intralcio allo svolgimento delle lezioni. Del resto, in una serie di
lungimiranti riforme scolastiche, anche le ore di laboratorio sono stata
ridotte se non quasi del tutto eliminate, aumentando il disinteresse di ragazzi
più work-oriented. Questi individui, che di solito abbandonano il percorso
scolastico verso i 16 anni o rimangono nelle scuole per interessi del tutto
alieni dall’apprendimento (tipo il fatto che abbiano un ampio mercato di
smercio di droghe leggere a portata di mano), non solo non traggono giovamento
alcuno dall’essere a scuola, ma in questo periodo di pandemia sono veramente
dannosi e, non sentendosi sottomessi a nessuna regola, favoriscono la
diffusione del virus. I processi che portano all’espulsione di simili elementi
sono lunghissimi e farraginosi, vista anche l’aziendalizzazione della scuola e
la trasformazione degli studenti in clienti e di docenti/dirigenti in tappetini
al servizio delle famiglie, che possono cambiare “prodotto-scuola” se quello
attualmente in uso non soddisfa le esigenze dei loro figli-clienti, facendo
perdere redditività all’Istituto-azienda. Inoltre, se davvero si riuscissero ad
espellere tutti gli individui di questo tipo, si dimezzerebbe la popolazione
scolastica di queste scuole.
In questo contesto degenerativo, iniziato fin dalla riforma
Berlinguer vent’anni fa, mi pare che una pandemia e un po’ di DDI non siano che
la ciliegina sulla torta del disservizio nei confronti degli studenti, mentre
ostinarsi ad aprire a gennaio questo tipo di scuole sia un efficacissimo
strumento per dare una notevole spinta alla terza ondata pandemica. Tenere le
finestre spalancate e stare nella corrente a settembre-ottobre è ben diverso da
farlo a gennaio, con l’inizio dell’influenza stagionale oltre al covid.
Considerare i docenti carne da macello pur di fare bella figura a livello politico è tipico dell’andazzo italico-scolastico di un periodo ben più lungo rispetto al 2020-21.
Nessun commento:
Posta un commento