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mercoledì 9 dicembre 2020

Sulle scuole aperte o chiuse, il COVID e la catena di riforme del sistema scolastico

 Mentre faccio colazione mi leggo la rassegna stampa web sull'app del Corriere della sera, per intenderci una delle poche cose non a pagamento e non per questo priva di interesse. 
Leggo sempre volentieri quasi tutti gli articoli, in particolar modo quelli di Luca Angelini.  
Oggi, poi, il tema mi riguarda: la scuola!

Leggo con interesse. Già il titolo è suggestivo: "La "tristezza e frustrazione" di Miozzo (Cts) per le scuole ancora chiuse". 


Vi si parla dell'immenso danno arrecato agli studenti costretti in casa alla DAD, della loro perdita notevole, del disastro che si sta consumando nelle giovani generazioni. Si insiste ancora sul fatto che a scuola i contagi non siano rilevanti, nonostante le evidenze. Vi si dice che il rischio per gli studenti di ammalarsi è molto basso. Non vi si ricorda che da asintomatici si è contagiosi ugualmente, e manco lo si sa. 

Ho per questo predisposto una risposta da "addetta ai lavori":

Buongiorno, 
mi sento in dovere di scriverle a proposito del suo articolo sulla Rassegna Stampa del Corriere pubblicata oggi.

Davanti alla “tristezza e la frustrazione” di Miozzo per le scuole chiuse, vorrei porre il punto di vista della sottoscritta, docente di sostegno in un istituto professionale superiore di Torino.

E’ sicuramente vero che gli ammassamenti sui mezzi pubblici e gli assembramenti tra studenti non solo davanti alle scuole, ma in ogni luogo, possibilmente senza mascherina e tutti abbracciati, siano dannose. Ma non ritengo veritiero che una volta varcati i muri delle scuole cambi tutto. I ragazzi che conosco da una decina d’anni di insegnamento nelle scuole professionali sono fatti così, e sono spesso poco consapevoli delle conseguenze delle loro azioni, e in generale per niente propensi al ragionamento logico-deduttivo.

Non mi riferisco qui a tutti gli alunni, perché sicuramente ci sono delle eccezioni, ma all’andazzo generale, che è poi quello che interessa quando si vanno a fare statistiche sui contagi.

Quando sento parlare politici e esperti vari o leggo quello che scrivono sulla scuola, ho l’impressione che non abbiano mai messo piede nelle classi, se non in qualche scuola d’élite poco rappresentativa. Per tutto il periodo in presenza, i miei studenti stavano in classe perlopiù con la mascherina sotto il naso se non sotto il mento, si alzavano di continuo, si sedevano in due sulla stessa sedia, bevevano dalla stessa lattina e mangiavano dallo stesso panino, e per parlare con noi prof venivano a poca distanza dalle nostre facce e si abbassavano la mascherina eventualmente (per puro caso) alzata, perché “così li sentivamo meglio”. Il tutto essendo redarguiti e illuminati sulla necessità di un comportamento diverso all’incirca ogni dieci minuti, con evidente impossibilità, o quasi, di svolgere le lezioni.

L’immagine di classi con gli alunni seduti in silenzio a prendere appunti, ognuno nel suo banco, con la bocca a un metro dalle bocche di tutti gli altri, sono per i nostalgici e coloro che la scuola non la conoscono. Non ho mai insegnato in un Liceo e spero che la situazione sia un po’ diversa,  ma sentir di continuo dire che la scuola non è luogo di contagio mi pare superficiale e irreale.

Lo stesso Miozzo, tra l’altro, ha riferito che la Azzolina, già a fine ottobre, fosse a conoscenza, dai dati trasmessi dai Presidi, di 65.000 casi nelle scuole. Ecco un articolo in proposito: https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/25451389/franco-bechis-lucia-azzolina-scuola-contagi-ecco-documento-dimostra-ministero-nascosto-verita-.html

Preciso – perché sembra dimenticato, in questo articolo - che nelle scuole non ci sono solo gli studenti teenager, che se contraggono il virus perlopiù manco se ne accorgono (e quindi continuano a circolare senza sospettare nulla), ma ci sono molti docenti/dipendenti con un’età media abbastanza alta, con famiglie da cui tornano quotidianamente, a loro volta spesso con figli che frequentano le scuole.

Aggiungo che mi rendo sicuramente conto del danno che viene apportato agli studenti, ma non sono d’accordo sul bilancio tra benefici e svantaggi che viene espresso in termini generali nell’articolo. Sicuramente ci sono un sacco di alunni che vanno a scuola per imparare, si impegnano e per cui non andare a scuola in presenza può essere un danno. Questi stessi studenti, in ogni caso, si daranno da fare anche in DDI, imparando a gestire l’apprendimento in modo diverso, che non fa mai male. Lavorando nei professionali rilevo che, grazie all’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, e anche alla cattiva comprensione della possibilità di andare comunque a lavorare a 14 anni con specifichi percorsi alternativi alla scuola, le classi sono piene di persone che vanno a scuola solo perché obbligate, in attesa di compiere i famigerati 16 anni, intente solo a disturbare e a arrecare il massimo intralcio allo svolgimento delle lezioni. Del resto, in una serie di lungimiranti riforme scolastiche, anche le ore di laboratorio sono stata ridotte se non quasi del tutto eliminate, aumentando il disinteresse di ragazzi più work-oriented. Questi individui, che di solito abbandonano il percorso scolastico verso i 16 anni o rimangono nelle scuole per interessi del tutto alieni dall’apprendimento (tipo il fatto che abbiano un ampio mercato di smercio di droghe leggere a portata di mano), non solo non traggono giovamento alcuno dall’essere a scuola, ma in questo periodo di pandemia sono veramente dannosi e, non sentendosi sottomessi a nessuna regola, favoriscono la diffusione del virus. I processi che portano all’espulsione di simili elementi sono lunghissimi e farraginosi, vista anche l’aziendalizzazione della scuola e la trasformazione degli studenti in clienti e di docenti/dirigenti in tappetini al servizio delle famiglie, che possono cambiare “prodotto-scuola” se quello attualmente in uso non soddisfa le esigenze dei loro figli-clienti, facendo perdere redditività all’Istituto-azienda. Inoltre, se davvero si riuscissero ad espellere tutti gli individui di questo tipo, si dimezzerebbe la popolazione scolastica di queste scuole.  

In questo contesto degenerativo, iniziato fin dalla riforma Berlinguer vent’anni fa, mi pare che una pandemia e un po’ di DDI non siano che la ciliegina sulla torta del disservizio nei confronti degli studenti, mentre ostinarsi ad aprire a gennaio questo tipo di scuole sia un efficacissimo strumento per dare una notevole spinta alla terza ondata pandemica. Tenere le finestre spalancate e stare nella corrente a settembre-ottobre è ben diverso da farlo a gennaio, con l’inizio dell’influenza stagionale oltre al covid.

Considerare i docenti carne da macello pur di fare bella figura a livello politico è tipico dell’andazzo italico-scolastico di un periodo ben più lungo rispetto al 2020-21.

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