LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
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venerdì 7 settembre 2018

Lentissima caducità, ma caducità

Ho già parlato della vecchiaia dentro.

Oggi vorrei soffermarmi su quella fuori.

Per prima cosa, si tratta di un fenomeno slittante: quando hai quindici anni, il vecchio fuori è il venticinquenne, quando ne hai venticinque è il trentacinquenne, e avanti così, fino a fenomeni che appariranno grotteschi a coloro che si trovano nella campana statistica dell'età: sentire i nonni ultraottuagenari dire "Ho visto quella ragazza che era in classe con me". E' un bel problema, perché se un quarantenne parla con un ottantenne, il primo pensa che la "ragazza" abbia quarant'anni, il secondo ottanta. In realtà entrambi usano il termine impropriamente, perché, da vocabolario, il ragazzo è un adolescente, e l'adolescenza si ferma, pur adattandola agli ultimi sviluppi, a 25 anni, massimo trenta.
In ogni caso, a livello psicologico, molta gente rimane adolescente, anno più anno meno, fin verso la morte o l'insorgere della demenza senile, di per sé simile in certi caratteri all'infanzia, anche se regressiva e non evolutiva: ti caghi addosso, devono darti da mangiare, non capisci il linguaggio, fatichi a coordinare i movimenti. Insomma, certe persone transitano nel range di età mentale 0-25 per sempre.

Il fisico, però, no.
Il fisico, mente o no, si evolve.
Ma quando uno è giovane, appunto, crede che si evolva di più.
L'estetista diciannovenne che ti fa un massaggio e scopre che tu hai trentanove anni ti dice: "Tutti questi anni? Allucinante! Ma non si direbbe". Ora, le opzioni sono due:
1) è falsa come l'anima di Giuda perché ha bisogno di soldi (altissima probabilità);
2) è convinta che una a trentanove anni sia una specie di rudere rugoso, con la pelle cadente che a massaggiarla si devono mettere le pinzette come fa la parrucchiera quando deve stirare i capelli ciocca per ciocca.
Soprassediamo sulla banale casistica 1, e affrontiamo la 2. In realtà a trentanove anni uno tiene ancora abbastanza insieme, gli resta una manciata di anni da vivere prima che la pelle abbia compiuto una discesa di parecchi centimetri e si ammucchi in luoghi prima inesplorati.
Ma nella mente di quello che ha vent'anni in meno ciò non è possibile. 
Nella sua mente, i trentanove anni sono qualcosa di remoto come Kepler-62f.
Nella sua mente, un trentanovenne deve essere diversissimo da come è lui adesso.
Vedere che tra vent'anni sarà più o meno uguale ad ora, oltre che come stipendio e maturità interiore, anche come aspetto esteriore, è qualcosa che spiazza.
Dà l'idea che la vita sia più noiosa che caduca.
Più ripetitiva che caduca.
E poi, pensa che noia: ogni anno chiedersi se l'anno dopo si decadrà o meno.
Pensare alla caducità in un periodo di noiosità che si allunga vieppiù è logorante.
Considerato che ci riempiamo di conservanti, andrà a finire che questi ci terranno incollati i tessuti alla bell'e meglio fino al punto di rottura, in cui la forza di gravità avrà la meglio sui conservanti, e di colpo ci sarà uno schianto collettivo di ogni parte del proprio corpo: tette che precipiteranno ad altezza ginocchia tipo bungee jumping, con creazione di graziose smagliature a centrino; sopracciglia che di colpo copriranno gli occhi, magari mentre si sta guidando, procurando incidenti improvvisi; gomiti in cui si ammucchierà tutta la pelle del braccio, tatuaggi inclusi, che diventeranno scarabocchi incomprensibili, e avanti così.
A quel punto ci sarà solo da sperare di essere già nella demenza senile, caratterizzata dal definire "ragazzi" i propri simili decaduti.  E sé stessi.

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