LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 24 febbraio 2017

Quelli che non sanno andare in bici...e ci vanno


Sono loro quando...
  • sembra che da quando sono saliti sulla bici si sia creata una scocca unica monoblocco composta da loro e dal mezzo, senza alcuna possibilità di rotazione del collo, nemmeno di mezzo grado. Si buttano nelle strade senza girarsi, concentrati solo sul vano tentativo di assumere un'andatura rettilinea;
  • hanno paura di andare in strada, quindi, quando ci si ritrovano, traballano tutti nel tentativo di stare in equilibrio tra automobili e rotaie del tram, finendo irrimediabilmente contro una delle prime o dentro una delle seconde o entrambe prima di guadagnare qualche porto sicuro;
  • ritengono che il porto sicuro da guadagnare sia il marciapiedi, dove si avventurano incuranti della sua popolazione. Sta scendendo ad una fermata un tetris tridimensionale di persone prima perfettamente incastonate a riempire ogni interstizio di un autobus di quelli snodabili serpentei? Loro vi si infilano dal marciapiedi proprio quando c'è da infilarsi lì in mezzo. Dato che sono piuttosto instabili, si prodigheranno in numeri da circo, tipo quello di strappare tasche infilandoci i manubri;
  • indossano il casco, spesso appoggiato con leggerezza estrema sui capelli, soprattutto se sono donne che non devono rovinarsi la piega, quasi sempre con il laccetto slacciato, e se è allacciato basterà colpirli sulla fronte col palmo aperto della mano, anche debolmente, per farlo scivolare all'indietro senza nessuno sforzo;
  • hanno la rara abilità di riuscire sempre e comunque a imboccare ogni strada in senso contrario. Se lo farete notare loro, esploderanno in attacchi d'ira, che si manifesteranno con atti quali spaccarvi lo specchietto della macchina con un pugno o chiamare la polizia (evitando lo sforzo a voi), il tutto con una colonna sonora di impronunciabili vezzeggiativi.
  • ondeggiano pericolosamente ovunque vadano, incavolandosi con chiunque si pari sulla loro strada, che abbia la precedenza o meno, e appellandolo i soliti vezzeggiativi. Lo fanno anche quando vi tagliano impunemente la strada provocandovi cadute da qualsiasi mezzo più piccolo del loro voi stiate guidando, o omicidi colposi se state conducendo veicoli più grandi. 
Quando li vedete, chiudeteli se siete in macchina, spintonateli se siete a piedi, speronateli se siete in bici con lo scassone, spingeteli abilmente nella direzione opposta alla vostra se siete con la bici figa, ma fatelo tempestivamente, prima che possano nuocere gravemente alla vostra salute, perché se non lo fate voi, lo faranno loro. 

Anche se succedesse qualcosa di apparentemente brutto, in tribunale sarete scagionati per legittima difesa: non temete nemmeno il famigerato eccesso colposo di legittima difesa.  

Non è cattiveria.

lunedì 20 febbraio 2017

Hot or die


C'è una questione legata ai ristoranti che sembra ininfluente, ma secondo me è influente, oltre che fluente.
Si tratta della temperatura dell'acqua del rubinetto nei bagni.

L'80% dei luoghi di ristorazione in cui sono stata io ha solo l'acqua fredda.
Uno può dire ma sì, tanto è solo per lavarsi le mani, a che serve l'acqua calda?
A parte discorsi sul potere lavante di acqua a diverse temperature, al di là dei discorsi ecologisti e di quelli sul calcare, la domanda è: ma tu a casa tua, che nel lavandino perlopiù ti lavi le mani e la faccia, hai deciso di mettere solo l'acqua fredda?
Un ristoratore che considera la spesa che comporterebbe mettere un miscelatore nel lavandino del bagno per i clienti (cosa che sicuramente avrà fatto a casa sua), quali altri calcoli avrà fatto?

Eppure si dice al proprietario di attività ricettiva di trattare bene il cliente, se non perché gli "vuole bene" in quanto appartenente alla stessa umanità a cui appartiene lui, almeno perché ritorni, perché perlomeno creda che gli si "voglia bene".

Il ristoratore risponderà che anche fare la cernita degli ingredienti meno cari, per poi mischiarli con maestria, è un'arte, come saper risparmiare sul calore dell'acqua con cui (si spera) verranno lavate le mani degli avventori, massa di umanità che non è in grado di riconoscere il meglio, ma desidera immondizia accuratamente selezionata.

venerdì 17 febbraio 2017

Animale

(foto di Lenette Newell)

Oggi ero lì che correvo, e mentre correvo pensavo:
  • che era da tanto che non correvo, 
  • che mi stavo distruggendo tutte le articolazioni con tutti i kg in più che mi cagionavano ballonzolamenti mai sperimentati prima in zone del corpo che manco sapevo di avere e che probabilmente proprio non avevo prima, 
  • al mio passato in tutte le sue articolazioni (diverse dalle altre articolazioni),
  • al mio presente disarticolato,
  • al mio futuro in tutte le sue presunte disarticolazioni,
quando ecco che ad un certo punto, ad un angolo di una casa, mi sono ritrovata davanti un uomo che arrivava veloce, e io pure arrivavo veloce, e ci siamo visti proprio lì, allo spigolo, e non lo sapevamo una frazione di secondo prima, e all'improvviso tutte le paranoie, pensieri sul passato, supposizioni sul futuro, disagi per il presente sono spariti di colpo.
L'animale che c'è in me ha preso il sopravvento: il mio corpo, come il corpo del tizio, si è atteggiato automaticamente per affrontare l'improvvisa minaccia, i muscoli si sono tesi, le posture si sono predisposte in modo da renderci più stabili sulle gambe e pronti all'impatto o scontro o evitamento, i visi si sono contratti in smorfie miste di aggressività e allerta,
il tutto per un secondo,
senza predeterminazione,
senza budget previsionale,
senza manco saperlo coscientemente. 

In quel secondo l'animale ha preso il controllo,
ha cancellato tutto il superfluo,
si è concentrato sul contingente per la sopravvivenza. 

Tutto il resto è sbrodolamento. 

mercoledì 15 febbraio 2017

Felici i felici (f)


Ho già parlato molto della felicità, perché si sa, in questa società si tende a parlare tantissimo di ciò che non si conosce.
Quindi ho parlato tantissimo della felicità: qui, qui, qui, e ne riparlerò pure qui.

Prima cosa, la felicità è una cosa diversa per ognuno, ed è ciò che lo fa stare bene.
E' soggettiva perché, come ben insegnano la matematica e l'economia, non si può parlare di un sistema senza riferimenti.
E la funzione felicità dipende dagli assi in cui è incardinata.
Il sistema di riferimento di ognuno è diverso, e costellato da un numero e una complessità di variabili variabile.

Se uno è lì che bada a tenere insieme i pezzi della sua vita, stipendio che deve arrivare a fine mese, sopravvivenza e amenità del genere, per lui la felicità sarà arrivare ad esempio a fine mese. Cosa, a conti fatti, abbastanza fattibile. Ma non abbondantemente. Faticherà a farlo, ma ci arriverà abbastanza spesso. E sarà felice, perché il suo sistema di riferimento sarà quello. Poco spazio per le paranoie.

Il bambino piccolo, che non conosce un tubo di niente, è felice ogni volta che conosce qualcosa di nuovo. E spesso conosce qualcosa di nuovo. Quindi spesso è felice. Finché la felicità per il nuovo è in crescita, sarà felice. Ma arriverà il momento in cui ci sarà una decrescita. Arriverà il momento in cui quello che conoscerà non sarà più raggiunto, oppure sarà raggiunto ad un certo punto e poi non più. Quando arriverà quel poi il bambino che non sarà più un bambino non sarà più felice. Perché per lui la felicità sarà sempre in cima alla montagna, mentre lui si troverà su un crinale. Magari pure esposto alle intemperie.

Uno dovrebbe avere una curiosità limitata, evitare di conoscere troppo. Ché conoscere troppo fa mancare troppo.
E soprattutto, cosa ancora più dannosa, dovrebbe evitare di vivere troppo. Ché vivere troppo, e provare gioie grandi, porta a sapere cosa non si prova quando non le si prova.
Mancanza di felicità.
A volte identificata come infelicità.

E' meglio starsene in un sistema di riferimento limitato, dove tutto ciò che si conosce è raggiungibile, e godersi quello, senza sapere che ci può essere altro.
Non si può soffrire dell'assenza di ciò che non si conosce, non si può sentire il vuoto lasciato da qualcosa che non si è mai vissuto, che non è mai venuto meno.

Meglio godersi una concatenazione di piccole felicità soggettive fai-da-te che facciano stare bene, invece che vivere in una farneticante ricerca della Felicità, quella che cercano - senza trovarla - i filosofi.

Meglio stare alla larga da ciò che alla Felicità tende.

Perché felice è chi non conosce la Felicità, e non l'ha mai vissuta.


venerdì 10 febbraio 2017

Jogging dubbiosi

Quando fai un percorso di jogging che va in una direzione fino a un certo punto e poi gira indietro, ti possono succedere cose che non accadrebbero se facessi, per esempio, un anello.

Se vedi in lontananza davanti a te una persona che corre e ti pare di conoscerla, può capitare che tu voglia andare a salutarla, evitando di gridare il suo nome ad altissimo volume, con rischio di errore e di figura da cioccolataio podista.

Questo fa sì che acceleri l'andatura per cercare di raggiungere l'individuo in questione. Mentre sei lì che stai per morire di accelerazione esagerata per le tue possibilità, rifletti sul fatto che magari pure l'ipotetica persona potrebbe fare un'andata e ritorno, e che quindi prima o poi potrebbe girare indietro anche lei. Il che fa sì che, invece di correre a perdifiato per un'impossibile raggiungimento, tu possa tranquillamente rallentare aspettando che sia lei a venirti incontro, cosa che renderebbe molto più semplice il riconoscimento, faccia a faccia. Anche perché se vai tanto veloce ma non abbastanza da raggiungerla e lei gira dopo di te, c'è il rischio che ti doppi dopo il tuo dietro-front, con conseguente difficoltà a vederla in faccia, per non parlare della sensazione che stia arrivando ogni volta che senti i passi di un corridore che ti supera e della tendenza a girarti indietro ogni dieci secondi come selvaggina braccata. E se invece che avere come punto di partenza il tuo o uno dal tuo lato avesse un luogo dall'altro capo della strada? Significherebbe che sta già tornando, che ha già fatto dietro-front e che non ne rifarà un altro. Al che ricomincerai a correre più che ne hai per raggiungerla.
E se poi arrivi al tuo punto di dietro-front che fai? Segui il tuo normale itinerario, asserendo di non farti condizionare da fattori esterni, peraltro magari anche erroneamente identificati, o prosegui nell'inseguimento, dicendoti che è segno di elasticità mentale? E l'attanagliante dubbio legato all'origine di un non verificato percorso andata e ritorno o addirittura a un percorso circolare di cui nulla si sa, per non parlare del fatto che quell'essere vivente puntiniforme in lontananza magari nulla ha a che fare con chi credi che sia e tu abbia solo una fissazione basata su elementi del tutto irrazionali?
Niente da fare, sono situazioni irrisolvibili, si può solo provare ad agire secondo ipotesi campate per aria.
E sperare di imbroccarci.
Come nella vita.

martedì 7 febbraio 2017

Start-up

Quando uno è emozionalmente coinvolto in quello che fa, foss'anche fare cose assurde, tipo aggirarsi per uno dei quartieri più brutti di una città a piedi a ore insensate, sedere su panchine al freddo gelido per ore, costeggiare fogne maleodoranti che si riversano in fiumi maleodoranti, campeggiare in mezzo ad arbusti allergenici con il catarro alle orecchie e l'asma alle stelle, si ricorda di tutto.
Si ricorda le ore, le date, i colori, i sapori, i suoni, le sagome, le parole dette, quelle ascoltate, il loro incastro, le tempistiche, i silenzi, le attese, le assenze, le pause, le riflessioni, il pensato, il non-pensato, l'immaginato, il vissuto, i luoghi, i numeri civici, le cartacce per strada, la modalità di fare le cose, foss'anche legare una bici a un palo abbracciandola. Abbracciare la bici, che abitudine insulsa, peggio degli abbracci gratis.
Si ricorda di tutto questo, e anche di più, e se lo ricorda per sempre.

Quando uno non è emozionalmente coinvolto, invece, gli sembra di essere lì, gli sembra di vedere le cose, gli sembra di sentirle, gli sembra di notarle, ma non se le ricorderà mai. Non se le ricorderà mezz'ora dopo, non se le ricorderà il giorno dopo, e soprattutto non se le ricorderà per sempre.

Non è nemmeno il caso di saperlo, se si è emozionalmente coinvolti, mentre si fanno le cose.
Lo dice il futuro.
Lo dice il ricordo.

Ma in un mondo così al controllo di tutto è mai possibile non avere il controllo sui propri ricordi?
E' mai possibile avere in sé una potenzialità pressoché autistica ad alto funzionamento, di quell'autismo da film, e non saperla governare e dirigere?
E' mai possibile non poter vendere e acquistare la capacità di ricordare le cose legandole a emozioni?
E' mai possibile non poter avere qui e subito emozioni pronte da legare a ricordi necessari?

Non è possibile.

Urge una start up di emozioni artificiali.

lunedì 6 febbraio 2017

Retroincespicare



Mi raccontavano di un filosofo non identificato che sostiene che la vita sia come una camminata all'indietro.

Il passato lo vedi davanti a te, che diventa più lontano man mano che procedi nella tua retrocamminata finché non diventa un quadro puntinista dove l'insieme dei puntini non ha senso o ne ha uno che rimpiazza la miopia con la fantasia; il presente ce l'hai intorno e a lato del tuo campo visivo, che scorre velocemente, o perlomeno alla velocità con cui avanzi in retromarcia; il futuro lo hai dietro, quindi non vedi un tubo e potresti cadere giù per una voragine, sbattere contro un ostacolo, farti malissimo, o anche non farti nulla, ma chi lo sa. Non puoi nemmeno girarti indietro perché il filosofo presuppone che tu abbia una possibilità di rotazione del collo pari a zero.

Se cadi giù da una voragine potresti precipitare vorticosamente verso un fondo senza fondo, e potresti trovare gente che cerca di tenderti le mani per salvarti, ma invano, perché o la fai precipitare giù con te, oppure manco riesci ad afferrarla, e lei non riesce ad afferrare te precipitante così vorticosamente verso il non-fondo.

E precipiti
finché
non c'è più passato davanti a te,
non c'è più futuro dietro di te,
o, se c'è,
è un futuro estinto
nell'istante il cui anche il presente
si spegne.

venerdì 3 febbraio 2017

La dieta perfetta


Quando uno ingrassa, la prima cosa a cui pensa è la dieta.

Se non ha disfunzioni, e per lungo tempo è stato in forma senza grandi sforzi, è ingrassato proprio perché ha mangiato più del normale, e se ha mangiato più del normale è perché ha dei problemi psicologici o sociali  o insiti nella sua natura, tipo che è triste, depresso o per lavoro deve ammazzarsi di pranzi e cene al ristorante o è invecchiato e gli è rallentato il metabolismo. E queste cose si cambiano con altro, a parte l'ultima, che è l'unica a giustificare non una dieta, ma un cambiamento del proprio regime alimentare, cosa che tra l'altro, se non ci fossimo coperti l'istinto con una pluristratificazione di sovrastrutture sociali, accadrebbe naturalmente.

Certo, se si insiste perché la dieta diventi il primo dei pensieri, curando i sintomi e non le cause del nostro essere diventati sferici, o qualcosa che di molto si avvicina alla sfera, con aggiunta di bitorzoli vari dovuto all'irregolarità dei depositi di adipe, si inizia a pensare a come fare.

Se si ha cibo in casa e si è diventati grassi per  tristezza, la prima cosa che si deve fare è buttarlo tutto in un cassonetto o, meglio, su un barbone, che si incavolerà tantissimo. Si potranno escludere tutti i non-comfort-food. Finocchi, carote, sedano possono rimanere.

Poi, ci si dovrà ammalare rovinosamente, di una malattia fastidiosissima, possibilmente allargata anche all'ambito intestinale, che costringerà a letto e farà venire una sensazione di disperazione acuta al sol pensiero di appoggiare piede a terra o allontanarsi dal piumone.
La malattia dovrà avere una convalescenza lunghissima, sempre caratterizzata dal terrore di uscire di casa, se non di scendere dal giaciglio notturno, e, per quel periodo, anche diurno.
Dovrà avere, altresì, carattere amnesico.

In questo modo, quando si guarirà dalla suddetta, una volta recuperato il disagio delle piaghe da decubito e riacquisito il controllo del proprio corpo conseguentemente a fisioterapia intensiva, si potrà inventare una nuova vita, avendo debellato, oltre alla grassezza (sintomi), pure le cause (tristezza, noia, stress, troppi pasti di lavoro, ...vecchiaia no, quella non rientra, tocca tenersela).

mercoledì 1 febbraio 2017

Previsioni rasenti


Quando uno è lì che sta attraversando la strada e all'improvviso arriva una bicicletta sfrecciante, qual è il primo istinto che gli viene?
Fermarsi.
O peggio, fare un passo indietro.

Niente di più irrazionale.

Quello che va fatto è continuare a muoversi con moto rettilineo uniforme.

Perché?
Perché, se il pedalatore non è ritardato, o distratto dalla vita o dal cellulare o da entrambi, (quindi, effettivamente, una buona fetta di pedalatori viene eliminata dalla casistica), e arriva sfrecciando, non ha intenzione di scontrarsi con il pedone, anche perché non è come avere un mezzo pesante, che lo schiacci e non ti accorgi nemmeno, pensi "Toh, ho schiacciato un piccione", e senti quel fastidioso scricchiolio di ossa rotte per un po', ma poi passa. Se sei in bici rischi di farti male pure tu, e poi è più difficile scappare, e in più saresti sicuro che non si tratti di un piccione, insomma, non conviene.
Il pedalatore che sfreccia, quindi, prevede che il pedone attraversi, e, con maestria, decide di passare immediatamente dietro o immediatamente davanti al pedone. Se è prudente passa dietro. Così non rischia di calcolare male la velocità di avanzamento. Un po' più indietro se è un principiante, raso raso se è uno che ne sa e pedala da anni anni e anni.
Questo significa che se il pedone si ferma o fa un passo indietro, il pedalatore lo investe di brutto.

E se il pedone sta per partire con il segnale di attraversamento verde?
Lì il rischio di essere investito è quasi pari a zero.
Se un pedalatore di livello avanzato passa con il rosso e a lui pare che stia per investirlo, è una sua illusione. E' un'impressione data dal fatto che è afflitto dal flagello dello spazio della paura della paura. Il ciclista inesperto di solito si ferma, quello esperto sa prevedere il moto rettilineo uniforme.
Il secondo fa incetta di una notevole quantità di insulti. Gratuiti. Tanto per dare sfogo allo stress da vita in città.
Poi c'è anche la vecchina incazzosa con l'ombrello che fa un balzo in avanti che mancGalina Čistjakova per picchiare il pedalatore, e in quel caso pazienza, sono cose che capitano, e poi le ossa delle vecchine si sbriciolano facilmente anche con le ruote della bici: si chiudono gli occhi e si pensa ai piccioni. 

(in foto: souvenir berlinese mai consegnato al destinatario)