giovedì 21 aprile 2016
Corsa psicosomatica
Quando uno fa jogging, si sottopone a una certa qual fatica, che perdura per tutto il percorso, con ammortamenti a rate costanti, crescenti o decrescenti.
Il punto focale è però che, con il passare del tempo e il progredire dell'allenamento, la fatica globale, corsa dopo corsa, diminuisce.
Se uno è talmente abituato a correre che è diventato un'abitudine, si metterà lì e farà il suo percorso pensando ai fatti suoi, come se nulla fosse. Come se si stesse lavando i denti o mettendo la cintura di sicurezza.
Poi arriva un giorno in cui succede qualcosa di bellissimo nella vita,
e la corsa diventa leggera,
è come se le suole non toccassero il terreno e si fluttuasse su un cuscinetto magnetico come l'ottovolante di Mirabilandia,
come se le gambe girassero da sole e si fosse proiettati da una forza sconosciuta eppure a noi appartenente verso una velocità mai pensata,
come se il proprio corpo non avesse criticità e fosse un sistema perfettamente funzionante,
come se si fosse in un posto dove la forza di gravità è molto più bassa, che so su Venere, sulla Luna no perché poi a ogni falcata si volteggerebbe in modo incontrollato nell'aria e addio velocità. Bellissima, l'euforia del podista derivante dall'euforia vitale. Una proiezione della vita nel ritmo della corsa, che diventa simbolica e misticamente psicosomatica.
Poi, un giorno,
succede una cosa bruttissima,
o quella bellissima cessa nel solito modo stronzo, d'un botto,
che è quasi come la cosa bruttissima,
con la differenza che si conosce il sapore di quella bellissima,
e quindi direi che è fin peggio.
Ci si dice che si può correre per sublimare il male,
e a volte funziona pure, e si va come se si avessero i talloni a razzo,
dolore in movimento a velocità direttamente proporzionale al male,
ma ci sono volte in cui la corsa invece diventa pesante,
il proprio corpo gravoso
come se si fosse su Giove,
come se si avesse qualcuno appollaiato sulle spalle,
- forse un prof di sostegno sadico e grasso,
ché si sa che i prof di sostegno si appollaiano,
e alla faccia del sostenere
a volte affossano -,
le gambe doloranti rendono ogni falcata un passo faticosamente sospeso verso l'inferno,
il fiato diventa denso liquame, non passa più attraverso i bronchi ripiegati sul proprio dolore,
non c'è spruzzino pro-doping che regga,
perché il dolore broncoimplodente vince sullo spruzzo broncodilatante,
perché il cervello telecomanda tutto il corpo,
anche con la programmazione a distanza
di un cuore sclerato.
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