LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

lunedì 29 febbraio 2016

Casino galattico per la vita annullata


Si sa, quando si parla o si scrive, capita spesso di commettere errori, che vengono poi definiti lapsus freudiani.

Fin qui, tutto noto.

Tutto noto finché non si passa all'attuale modalità di comunicazione: tramite smartphone.

Lo smartphone ha idrovorato talmente ogni conversazione che ci ritroviamo a scrivere ai colleghi d'ufficio tramite Whatsapp, i genitori mandano ai figli un messaggino Viber dalla cucina alla stanza per dire loro che è pronto in tavola, se si è con Qualcuno si parla con Qualcun Altro tramite Facebook messenger, per poi comunicare con Qualcuno via Hangouts mentre si è con Qualcun Altro.
La comunicazione in versione live si può definire assente, o, egualmente, un grandissimo lapsus freudiano (nel senso latino di caduta, morte dello scambio). Tutto quello che si potrebbe dire sfugge dalla punta della lingua, perché nel frattempo si è così impegnati nella comunicazione smartphonica via Telegram che, se si è a fare una merenda all'inglese da un'amica, si pucciano i biscotti nell'acqua del criceto anzichè nella propria tazza, che rimane in ogni caso vuota, dato che l'amica stessa ha versato il thè nel ficus benjamin, assorbita da una conversazione su Skype da cellulare.

Bisogna qui ricordare che gli smartphone sono dotati di tastiere a prova di polpastrello adulto. Bisognerebbe essere delle rane per poter centrare i tasti con sicurezza tale da digitare sulla tastiera qwerty touch screen e farne uscire frasi sensate. Invece siamo umani, e i nostri polpastrelli tondeggianti poco si adattano alle tastiere da noi inventate per noi stessi. E così ci siamo industriati e abbiamo inventato metodologie innovative per raggiungere una scrittura comprensibile eseguibile a velocità tollerabili.
Una di queste è il riconoscimento vocale, ché se uno sta guidando, detta e invia senza leggere quello che l'apparecchio scrive al posto suo, quando ferma l'auto e rilegge quello che ha inviato capisce che forse sarebbe stato meglio andare all'Ipercoop, comprare l'antico carabattolone Nokia in plastica da 25 €  e affidarsi agli sms una volta toccata terra con i piedi anzichè con le ruote, o anche tumularsi in un bunker segreto in cui non prenda nessuna compagnia telefonica e tantomeno il wi-fi.
Un'altra diavoleria contemporanea è lo Swype, che consiste nel trascinare il dito sulle lettere che più o meno compongono la parola che si vorrebbe partorire, più o meno nell'ordine giusto, per vederla comparire come per magia. Ma si sa, le magie vengono solo se si è bravi illusionisti, e la maggior parte di noi non lo è. E così, anche in questo caso, si rimanda a quello che sarebbe stato meglio nel caso del riconoscimento vocale.

Ché poi, quando uno sbaglia a digitare e invia compulsivamente il messaggio prima di controllarlo, tende a giustificarsi successivamente dicendo "E' stato il T9". ma che T9!?! Il T9 risale ai tempi del carabattolone Nokia in plastica dell'Ipercoop. Ormai dire T9 è come sostenere che si ha il contratto telefonico con la Omnitel, o quello del fisso con la Sip. Ma poi che fisso? Pure il fisso è out.

Chiediamo a un sedicenne cosa sia il T9. Ci guarderà con occhio vitreo da triglia andata a male sul banco del mercato del pesce. Ok, ci saranno buone chance che ci guardi così anche senza che glielo chiediamo, ma questo è dovuto alla paralisi oculare da eccesso di smartphone.

In ogni caso, e qui vengo al dunque (e, dato che sono vecchia, chiamerò T9 ogni metodo di inserimento di testo in finestre di messaggio, avvalendomi di licenza poformatica), a volte si mandano messaggi così sbagliati da sembrare visionari, o preveggenti, o postveggenti.
Ma si può parlare di lapsus freudiano?
Non siamo mica noi ad aver sbagliato a livello d'inconscio, è il nostro cellulare.
Ma il nostro cellulare non è forse colui con cui abbiamo passato più tempo?
E se già solo la pagina di ricerca Google ci sommerge di banner pubblicitari di materassi dalle mille molle insacchettate solo perché abbiamo cercato una nostra conoscenza che di cognome fa Materassi, figurarsi il nostro smartphone, dopo tutte quelle che ha visto.
Il nostro cellulare è ormai una parte di noi, un cervello sostitutivo del nostro ormai fumante per le onde elettromagnetiche, una specie di intelligenza centrale che quella di Solaris ci fa un baffo.
E allora, anche se è solo un errore di T9, quando invece di inviare
"Casino galattico x la gita annullata"
uno  invia
"Casino galattico x la vita annullata",
magari ci pensa un po' su.

29 febbraio

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domenica 28 febbraio 2016

Compiti difficili


Consiglio di classe.
Professore che si lamenta dei DSA.
Inizia ad alzare la voce, a dire che le ASL esagerano nelle loro diagnosi, che legano le mani ai docenti.
Si alza in piedi, gesticola con dei fogli in mano, grida: "E ora, manco i compiti a casa dobbiamo dare, a 'sti DSA!"
Braccio sinistro teso, indice della mano desta a puntare una parola, tiene la diagnosi del Neuropsichiatra di fronte a sé, in modo che tutti leggano.

"DIFFICOLTA' DI COMPITAZIONE"

sabato 27 febbraio 2016

9 anni!

Oggi il mio blog compie ben 9 anni!

Per festeggiare adeguatamente questo momento topico, anche se so che forse per cotanta grazia dovrei aspettare almeno il compimento del decennio, ho deciso di richiedere qualcosa di speciale.

Ho esitato a lungo, poi mi sono detta che non si sa mai, magari Spigoblog non ci arriverà mai, a 10 anni.
Magari non ci arriverò io, il che significa che non ci arriverà manco lui.
Con il blog è un casino, è un figlio che non può sopravvivere al proprio genitore.

Alla luce di queste profonde considerazioni sulla vita e sulla morte, ho preso questa decisione.

La ordino.

Ordino questa magnifica torta per lo Spigocompleanno.


Chris Cornell ha aspettato 50 anni prima di concedersela (e pubblicarla - farsela pubblicare - orgogliosamente su Fb), ma si sa, io non ho fermezza.

giovedì 25 febbraio 2016

Immaginazione


C'era questo alunno che se ne veniva a scuola con lo zaino zeppo di fogli senza quaderno, tutti ammucchiati, una pagina di appunti di italiano appallottolata in una di meccanica appallottolata in una di impianti a formare un gomitolo di materie in cui non aveva voglia di tuffarsi.

Un giorno la prof di italiano ha dato un tema: "Immagina il tuo futuro".
Lui aveva spallottolato un foglio bianco da un lato - solo da un lato -, l'aveva in qualche modo stirato sul banco con le mani di piatto, aveva preso una biro e aveva iniziato a contemplarne lo stropicciato candore.

Io giravo tra i banchi.
Mi ero accorta che non aveva scritto niente.
Mi ero avvicinata e gli avevo chiesto di darsi da fare.

Avevo ripreso a girare.
Ero tornata.
Sempre il nulla.

Allora mi ero appollaiata lì vicino.
L'avevo esortato a lanciarsi nell'immaginazione.
Proprio perché ero appollaiatamente insistente, insistentemente appollaiata, aveva messo la punta della biro sul foglio e aveva scritto quattro frasi.
Anzi tre.
Che avrebbe finito la scuola.
Che avrebbe sposato la sua ragazza.
Che avrebbe trovato lavoro in un'officina.

Alla fine è venuto fuori un quinto di paginetta.

Certo, la sua immaginazione non era andata molto in là.

Io avevo pensato che perlomeno
uno
a diciotto anni
immaginasse
che so
di diventare un meccanico della Ferrari
di diventare un famoso calciatore
magari di serie A
perlomeno B
al massimo C.

Lui, invece, no.
Non immaginava di diventare un meccanico
e nemmeno
un calciatore
e
- forse -
nemmeno di finire la scuola
di sposare la sua ragazza
di trovare lavoro in un'officina
e nemmeno
- forse -
che
in una scatoletta di lamiera
a 20 anni
con suo fratello
sarebbe morto.

martedì 23 febbraio 2016

Ansia da postscenico


Questo titolo, oltre ad essere uno scioglilingua prossimamente consigliato da molti logopedisti, la dice lunga sulla qualità presunta del presente post.

Quando uno ha l'ansia da palcoscenico solitamente si paralizza, diventa balbuziente, muto (purtroppo non sordomuto), paonazzo, si scioglie sul palco come improvvisamente disossato finché di lui non resta che un fagotto di stracci. In conclusione, la sua performance di attore o relatore o declamatore subisce qualche leggerissimo contraccolpo, con conseguente gragnuola di pomodori uova marce fischi ad umiliare il suo corpo già autoumiliato.

Se si è blogger, si ha una serie di fantastici vantaggi quando colti da ansia da postscenico.
Prima cosa, per il momento pomodori e uova marci non possono raggiungere fisicamente la vittima.
Secondariamente, si deve essere così fessi da postare un post di merda. Insomma, non è che l'ansia ci colga nel momento in cui siamo costretti alla performance, con uno stuolo di gente, magari pagante, che ci fissa con moltitudini di occhi interlocutori. Possiamo sempre non postare. Non premere quel tastino con su scritto "pubblica".
Ma non postare crea una precedente, che può unirsi a un susseguente e ad un ulteriore post-susseguente. E' il modo ideale per passare da venti post al mese a due. Brutti.

L'ansia da postscenico coglie sia dopo un periodo in cui si è stati troppo bravi per se stessi, sia quando si ammucchiano le assenze di post.

Se si è stati troppo bravi per se stessi, forse posseduti da qualche demone poco dedito al suo lavoro perché molto distratto dall'hobby della letteratura, potrebbe capitare che se ne arrivi Padre Karras a rovinare tutto. All'improvviso ci si ritrova sposseduti davanti alla videata bianca.
Se l'ansioso conoscesse mai dal vivo qualche lettore, o se qualcuno di quelli sconosciuti avesse la sua mail e gli scrivesse chiedendogli come mai non arrivino più gli ottocento post al giorno del periodo di possessione, sarebbe la fine. Ansia da postscenico acutissima. Il panico di non sentirsi all'altezza di se stessi davanti a qualcuno che trepida per leggere i post e che controlla periodicamente se ne vengono pubblicati. Ma questa è fantascienza, e non mi dilungo su ciò per non andare fuori tema, non essendo questo un blog di tematica fantascientifica.

Se invece si è stati troppo assenteisti, si è perso quello sguardo da blogger sul mondo. C'è un periodo in cui lo si ha talmente prepotente che non si può fare a meno di correre a casa a postare in ogni momento possibile. Poi, di colpo, il periodo finisce. E ci si ritrova là, davanti allo schermo bianco. Anzi, non ci si trova nemmeno là davanti, perché si diventa come studenti che hanno tagliato talmente tante volte che tornarci diventa pericolosissimo, già solo per lo spauracchio del libretto su cui ci dovrà pur ben essere una giustificazione.
E così si fa slittare ulteriormente il momento del post.
Fino a dimenticare che il blog esiste.
Perché, con il passare del tempo vuoto, ci si dice che la capacità di scrivere post sia come la vita. Degenerativa.
Ad un certo punto, però, l'ispirazione torna, così, di botto.
Una botta di vita.
A volte, a sorpresa, rigenerativa.

domenica 21 febbraio 2016

Il venditore di libri che non voleva vendere


C'era una bancarella al mercato.
Era coperta di libri, con le copertine in su, uno a fianco dell'altro.
Ce ne stavano meno che nelle altre, dove erano accatastati di profilo, porgevano tutti il dorso, e per vedere la copertina uno doveva sbattersi. Già doveva essere incuriosito dal titolo letto a testa inclinata, e poi investire energie per farlo scivolare tra gli altri, tirarlo su, finalmente vedere la copertina, aprirlo, leggere l'abstract, la prima pagina, una in mezzo, decidere se potesse meritare.
Invece, lì, in quella bancarella, già c'erano le copertine in vista. Tutti quegli Adelphi uno vicino all'altro, nelle tonalità dell'azzurro e verde. Una meraviglia per gli occhi.
E infatti, il negoziante se ne stava in piedi dietro alla bancarella, a contemplarli tutti, spostando uno sguardo amorevole da uno all'altro.
Ho provato a prenderne uno.
Lui mi ha bloccata, con la mano di piatto sulla piatta copertina.
"NO! E' mio!"
"Ma scusi, non sono in vendita?"
"Questo no, è troppo bello".
"E questo quanto costa?"
"Mah, direi 25 €".
"Un po' caro rispetto agli standard del Balon, non crede?"
"Eh, non lo vede che qui c'è una S?"
"Che è, la S di Superlibro?"
"E' la S di Simona, è il nome di quella a cui è appartenuto. Insomma, questo libro ha tutta una sua storia, mica pizza e fichi" e continuava a tirare a sé anche il secondo volume.
"Cioè, mi dice che per averlo devo comprarmi anche quel pezzo di valore sentimentale che lei attribuisce alla S?".
"Esattamente".
Poi lo ha rimesso a posto, dopo aver lisciato ben bene la copertina.
"Veramente vorrei prenderlo".
"No, guardi, troppo caro, vada alla bancarella vicina, magari lo trova anche lì. A 1 €".

mercoledì 17 febbraio 2016

Banalità


Quando ci si ritrova in un capannello di personaggi che si conoscono poco, o, peggio, che si conoscono da tempo, capita a volte di sentire discorsi di raro interesse vertenti tempo meteorologico, confronto del tempo meteorologico di quest'anno con quello dell'anno precedente, e, volendo, anche dei decenni passati. Da ciò derivano stimolantissime discussioni sul cambio dell'abbigliamento, sul tipo di piumino indossato tre giorni fa e oggi, analisi degli scostamenti, eccetera.

Con i colleghi, molto spesso rientranti nella categoria dei misconosciuti, si finisce per parlare anche delle circolari, delle mail, insomma di lavoro. Ma io di lavoro parlo a una riunione di lavoro, non nel capannello durante la pausa. La pausa, per definizione, è un'interruzione. Se faccio una pausa dal lavoro per parlare di lavoro diventa una continuità. Dovrebbero chiamarle continuità-caffè.

Quando ci si ritrova invece in gruppi di presunti amici con cui ci si accorge di parlare di banalità ogni volta che si esce, banalità seduti ad ogni tavolo con sopra birre e cocktail, banalità intorno ad ogni film banale al cinema, è peggio. E' peggio perché vuol dire che la banalità ha invaso anche il tempo libero per davvero, non solo quello risicato incastonato nel lavoro. E' peggio, perché ci si ritrova a provare desiderio per attività che si potrebbero svolgere in alternativa, fino a raggiungere l'imbarazzante voglia di essere, piuttosto, a casa a riclassificare bilanci a caso.

E quando la banalità dilaga, ci si sente improvvisamente davanti al Nulla che avanza, circondati dagli uomini grigi.

Come reagire?

Una soluzione è rifugiarsi nella propria mente, sperando che non sia totalmente ingrigita dal nulla pure lei. Per fortuna, anche se a volte non sembra, è davvero come nella Storia infinita. Basta che ci sia un peduncolo di neurone non intaccato per poter iniziare da lì a sgrigirsi. La controindicazione è che, visti da fuori, si sembra, al contrario di ciò che in realtà sta accadendo, totalmente istupiditi e mummificati. Quando ci viene chiesto qualcosa, nella migliore delle ipotesi (quella cioè in cui nella nostra mente ci sia roba interessantissima) manco ce ne accorgiamo, risultando così autistici. Se ci accade in tenera età, ci ritroveremo un insegnante di sostegno alle calcagna, dalle cui banalità sfuggiremo autisticizzandoci sempre di più. Se accade da maggiorenni, si viene etichettati come tipi strani, isolati dal mondo. Si sarà comunque prima o poi costretti a ritornarci, per non perdere quella misantropia possibile solo standoci, tra gli uomini.

Un'altra soluzione è il silenzio consapevole. La gente espone le sue banalità e noi le ascoltiamo senza commentare. A parte l'evidente svantaggio di devastare il proprio tempo, il vantaggio può essere quello di rimanere connessi alla realtà, essere in grado di rispondere se interpellati, non avere il cancro dell'insegnante di sostegno se minorenni, potersi prendere gioco di coloro che elencano le loro banalità e comunque arricchirsi con la consapevolezza dell'impoverimento dei contenuti delle comunicazioni interumane. Gli interlocutori ci riterranno persone asociali e poco comunicative, ma potremmo avere la chance di non venire esclusi totalmente dai rapporti con loro. Si tratta di un buon compromesso tra farsi il vuoto attorno e lasciarsi travolgere dalla banalità totale.

Si può anche fare un'overdose di banalità, sparando banalità elevate a banalità, tanto che i banali semplici intorno a noi ci riterranno banali e attueranno una delle strategie su o giù descritte. Di già che si deve indugiare su un'attività, tanto vale farlo bene.

Agganciarsi a qualche brandello di banalità per introdurre un argomento che banale non è potrebbe avere due effetti:

  1. nel 99,9% dei casi si può stare tranquilli, perché quello che si dirà cadrà nel nulla, come un sasso lanciato in una piscina piena di sabbia (chi l'abbia poi riempita di sabbia anziché d'acqua è un mistero). Un tonfo sordo senza conseguenze. Rassicurante, la mancanza di conseguenze. Se qualcuno mai ascoltasse, si allontanerebbe e ci riterrebbe, come negli altri casi, tipi strani e/o autistici.
  2. lo spostamento del discorso su qualcosa di non banale, con stupore e conseguenze forse devastanti, in positivo o in negativo, e comunque con conseguenze, insidiose e pericolose conseguenze, inevitabili conseguenze, che precipitano giù da una china prendendo velocità esponenzialmente in crescita, velocità difficili da controllare, un po' come quando si accelera troppo in NFS e per riuscire a tenere la strada bisogna essere davvero bravi - e forse lo si è, e perché non lo si dovrebbe essere -, se no ci si schianta come un tuono. Ma almeno in modo non banale. 

lunedì 15 febbraio 2016

Semafori


I semafori sono entità di difficile gestione.
Sarà perché sono collegati con il tempo.

Quando sono lontani sono sempre verdi.
Qualsiasi velocità tu faccia, comunque tu la moduli, che tu sia a piedi, in bici, in moto, in macchina o in carrozza trainata da forze motrici animali, quando ci arriverai sotto sarà sempre rosso. A meno che tu non abbia esigenza di fermarti, perché ti sono entrati due lepidotteri in due occhi (in questo caso il colore del semaforo sarà verde, seppur colto in modo screziato), o perché ti stanno chiamando al cellulare per dirti che hai vinto un importantissimo premio letterario, che decadrà scivolando al secondo il classifica se non risponderai immediatamente, o cose del genere. Cose che capitano quando il semaforo è verde.

Più il tempo che hai a disposizione è limitato, più durerà il rosso.
Più il tempo che hai a disposizione è limitato, più quello che avrai davanti rimarrà fermo anche con il verde, magari perché si sarà beccato due lepidotteri in due occhi, o perché starà vincendo il favoloso premio letterario, dove il secondo in classifica sei tu (ma non lo sai e non lo saprai mai, perché lui ha risposto alla chiamata).
Più il tempo che hai a disposizione è limitato, più ti verrà voglia di fare la gimcana tra le auto davanti a te e di grigliare il rosso. Ovviamente, più si verificherà questo evento, più ci sarà un poliziotto, o meglio ancora un carabiniere, appostato immediatamente dietro il cespuglio dove volteggiano i lepidotteri.

Non parliamo di quando c'è un incastro di automobili, che in prossimità degli incroci si va a definire secondo uno schema simile a due tetris incastrati perpendicolarmente. I semafori hanno un bell'alternare rosso verde e arancione; ormai sotto di loro si è formato un tessuto che manco nei tappetifici persiani. Si creano situazioni propizie a inseguimenti al rallentatore, corse sui tettini delle macchine, attacchi di ordinaria follia.

L'onda verde è sicuramente un'utopia assimilabile al Comunismo.
Se mai accadesse di trovarne una, sarebbe sicuramente in un momento di totale assenza di voglia o possibilità (lepidotteri, telefonata del premio letterario) di andare dove la strada conduce.

Forse per i pedoni è un po' più semplice gestire i semafori.
Se si vede un verde e si ha fretta, si può correre finché gambe e polmoni riescono senza incorrere in multe dal poliziotto o carabiniere appostato dietro il cespuglio di lepidotteri. Bisogna però stare attenti ai suddetti insetti, non tanto per il rischio che si infilino nei propri occhi di corridore che fa girare il mondo sotto i piedi a umana velocità, quanto per quello legato all'automobilista, motociclista, cocchiere, ciclista lepidotterato proveniente dal tetris perpendicolare, che, vedendo il semaforo screziatamente, potrebbe confonderne i colori e incorrere in una multa e in una schiacciagione (di voi esultanti che state riuscendo ad attraversare la strada alleggeriti di un polmone o due).
Poi c'è un'altra categoria di pedoni, quella che ha ben altro a cui pensare che ai semafori.
Quella che di verdi e rossi e anche arancioni ne fa passare anche sette o otto alternati senza accorgersene.
Ché nella vita oltre ai semafori c'è di più.

sabato 13 febbraio 2016

Arriva


https://www.youtube.com/watch?v=R9xHkhK_Z4U

Muso del treno che si ingrandisce arrivando in stazione.
In fondo al binario, stuolo di gente che lo osserva.

A) Una ragazza se ne sta appoggiata a un pilastro. Strsicia rapidamente sul cellulare entrambi i pollici. Ogni tanto alza la testa. Quando la fiumana di passeggeri erutta dalle porte riversandosi lavica sul binario, per poi avanzare verso l'uscita, lancia un distratto sguardo rimbalzante di cranio in cranio.

B) Un uomo, appeso alla ventiquattrore, attaccato l'orecchio allo smartphone, un giornale sotto l'ascella tipo baguette, lancia nervosi sguardi dritti in mezzo alla folla. La linea retta tra due punti è la più breve. A sapere qual è il secondo punto.

C) Una giovane donna sta tutta protesa in avanti, con gli occhi spalancati di gioia liquida, e scruta di testa in testa finchè non vede qualcosa che la illumina e arrossa. Si tuffa a salmone nel flusso contrario e vi scompare inghiottita.

D) Un bambino fa la gimcana in mezzo alle gambe di chi aspetta. Nessuno si accorge di lui che passa come un gatto in rapidi sfioramenti.

E) Un uomo sulla cinquantina, appoggiato al bastone che porta appresso, riposa trapassando con sguardo immobile la folla che si avvicina compatta e per lui bidimensionale.

F) Una signora, una mano allungata su un fianco e una a tenere la maniglia di un trolley, il peso tutto su una gamba, "Internazionale" sotto il braccio, sta, senza uno ieri e senza un domani, a lato binario,mentre la folla fluisce.

Chi saranno queste persone?
Cosa staranno facendo?
Che penseranno?

giovedì 11 febbraio 2016

Tempo stronzo


















La libertà
è movimento.
Movimento volontario
nella direzione che si sente.
Ma la libertà
è la principale causa
di inesistenza della libertà.
Appena uno si muove
volontariamente
con direzione
con intenzione,
ecco che
si intrappola un pochettino.
Ogni volta che uno decide
quello che sente
quello che vuole
quello che deve
si intrappola un po' di più,
perché il tempo,
così come lo conosciamo noi,
è causa anch'esso di
inesistenza di libertà.
Il tempo, come lo conosciamo noi,
è un'entità
con una dimensione
con una direzione.
E questa direzione del tempo
ci incastra
in paralisi successive,
finché non ci ritroviamo
definitivamente paralizzati
invischiati
dall'esercizio
in ordine temporale
della nostra stessa libertà.
E così,
per essere almeno un po' liberi,
o perlomeno per godere
della nostra
limitatissima
libertà
in ordine sparso
in ordine causale
secondo il nostro sentire
e non secondo l'ordine
che,
appunto,
è così legato a questo tempo ordinato
da essere definito cronologico,
ma che di logico non ha nulla,
ha solo di crono,
dovremmo
essere lanciati
nello spazio siderale
a folle velocità
in un buco nero,
vorticare
vorticosamente
in concentrici
giri impazziti
andare indietro
tornare avanti
o forse
semplicemente
stare
in un altro tempo
in un altro spazio
in un tempo che non è più tempo
che non è più ordine
che non è.
Più.

mercoledì 10 febbraio 2016

Cosa pesca?


Mentre corro nel bosco vedo questa bambina con gli occhiali che vaga da sola, il naso in su e un retino da pesca in mano, di quelli con la rete verde che si comprano al mare ai bambini d'estate. 
Ma qui siamo nel parco, e il fiume è in basso. Troppo in basso per una bambina.
C'è un muretto alto e lei se ne sta lì sopra, appoggiata alla ringhiera, con un piede giù, sospeso in aria, nell'impossibilità evidente di raggiungere l'acqua. Guarda verso il Po. Sta ferma con il manico del retino stretto nella mano sinistra. 

Vado oltre, per il solito principio per cui ogni incontro di corsa è fuggevole. 

Al ritorno lei è sempre lì. 
Sempre senza genitori. 
Ma dove saranno? 
Li avrà? 
Tutti li hanno. 
Prima di sicuro.
Poi, non si sa.

La bambina cammina per il bosco insacchettata  nel giacchino e ha sempre il naso verso l'alto. 
Compie ampi gesti con il braccio e il suo retino pesca nell'aria. 
Cosa pesca?
Lei lo sa.

martedì 9 febbraio 2016

Vecchietti e sport

Quando si corre si incontrano individui, di cui si vede un pezzo di vita alla svelta.
Poi si immagina.

Quando corro, incontro sempre un signore anziano su una bici da corsa d'epoca gialla, con pantaloni che sarebbero stati da ciclista serio settant'anni anni fa, caschetto in testa, tutto proiettato in avanti.

Ci incrociavamo sempre nello stesso punto. Pedalava in senso contrario al mio. Avevo potuto studiarne il look, combinando il puzzle delle osservazioni successive.
Sembrava uscito dall'Eroica, dopo aver perso un bel po' la strada.
Mi ero fatta film dei suoi percorsi, delle sue avventure.
Ne era uscito un ciclistico Forrest Gump d'antan, pedalante con ogni situazione meteorologica verso mete fantastiche.

Un giorno, però, ho incontrato un altro individuo. Questo non cavalcava una bici: correva. Ogni tanto arrivava ad un certo incrocio proprio nel punto in cui ci arrivavo io, immersa nei miei pensieri bozze di post osservazioni deliri. Io volevo essere immersa nei miei pensieri bozze di post osservazioni deliri.
E invece no.
Il tizio mi si affiancava e adeguava il ritmo al mio. Mi parlava. Sempre della sua gloriosa vita da corridore ormai tramontante.
Che la prima volta può essere interessante, uno pensa anche che potrebbe farci un post e ciò rientra perfettamente nei piani.
La seconda volta uno pensa che magari il post su questo individuo non s'abbia da fare.
La terza pensa che possa bastare.
La quarta, quando si individua tra i cespugli il tizio che scende i gradini per raggiungere l'incrocio, si cambia proprio strada, aumentando il ritmo della corsa allo scopo di non farsi vedere e di sfuggire al quarto racconto dell'epica vita da corridore.
Si inverte il giro pur di sfuggire alla terribile minaccia che la corsa diventi uno stress invece che un momento di raccoglimento.

Cos'accade?

Che si incontra il ciclista. In direzione concorde. A volte è lui che supera, a volte è superato. Sarà stanco, poverino, dall'Eroica è lunga fin qui.

Ormai si va a correre alcune volte per dritto e altre per rovescio e le condizioni di incontro si fanno più intricate.

Intricando ulteriormente il tutto, si va anche a orari diversi dai soliti, per non incappare nel logorroico lungofondista, che a questo punto entra prepotentemente nel post, come artefice della mappatura puntinata degli incontri con l'eroico ciclista.

Trovata la strategia di evitamento, si riconquista una certa serenità, e si ricomincia ad immaginare il signore che si inerpica su due ruote per stradine collinari tutti i giorni.
Poi, si crea una mappa mentale di tutti i punti e orari di incontro.
Si collegano i puntini. Tipo Settimana enigmistica.
Si scopre che il vecchietto fa lo stesso giro che si fa di corsa.
In bici.
Sempre uguale.
Per più giri.
Tutti i giorni.
Un criceto in gabbia.
L'unica differenza è che ha due ruote anziché una e ci sta sopra anziché dentro.

lunedì 8 febbraio 2016

Botte da fantascienziati



Gli statunitensi hanno lanciato 2001 odissea nello spazio nel 1968.
I russi hanno risposto con Solaris nel 1972. (Versione per non udenti - o quasi - ).

Nel 1991 è finita la Guerra Fredda.

Gli statunitensi hanno proposto il loro Solaris nel 2002. (Versione per non vedenti - o quasi -).

sabato 6 febbraio 2016

Incontri


Un appuntamento può essere di varia natura, ma ha comunque una caratteristica: che viene fissato in un dato orario e in un dato posto (reale o virtuale che sia).

In presenza di luogo ed orario fissati, si vengono a delineare una serie di casistiche, poi incrociate con la natura dell'appuntamento, in un matriciale fiorire di alternative 3D. 

Si vanno ad analizzare infatti piacevolezza o meno dell'incontro (semplificando, se no questo post diventa un trattato), esattezza o meno del luogo, esattezza o meno dell'orario, che va a triforcarsi nelle casistiche di anticipo, puntualità e ritardo, senza contare poi il totale rinnegamento di luogo e orario, concretizzato nella soluzione nichilista dell'assenza completa.

Ipotizziamo causalmente che tu ti debba trovare in una piazza sotto un alto monumento come ce ne sono tante.

Incontro non piacevole con tuo anticipo: già il fatto che tu sia in anticipo per un simile appuntamento denota che hai un rapporto con la vita imbastito sul sacrificio e sull'autolesionismo o su un senso del dovere che ti porta a strafare. Inizi a girare intorno alla statua. La tua mente macina. Si crea tutto un mulinello di corpo e pensiero, che se non arriva al più presto l'interlocutore si rischia di creare un solco circolare intorno al monumento che manco i cerchi nel grano.

Incontro non piacevole con tutti puntuali: si viene subito al dunque. Non si ha il tempo dell'immaginazione di tutto quello che può andare male durante l'appuntamento. E ciò è un bene. Difficilmente potrà realizzarsi una congiunzione astrale così sfigata da permettere la realizzazione di tutto quello che la mente di qualcuno in attesa del peggio può disegnare.

Incontro non piacevole con tuo ritardo: il fatto che tu sia in ritardo denota che forse non voglia essere lì, o che (soprattutto in caso di lavoro) alcune delle tue aree di miglioramento siano la puntualità, l'attendibilità, la serietà. Tutti ottimi presupposti per un colloquio a sfondo professionale, ma anche di altra natura. Ciò renderà l'incontro ancora meno piacevole, con intensità direttamente proporzionale alla quantità di minuti di ritardo.

Incontro non piacevole con errore di orario/luogo: se uno solo dei due sbaglia, si corre il rischio di pensare entrambi che l'altro sia un ritardatario, con conseguente stato d'animo riconducibile a quello della casistica di cui sopra. Idem se l'errore è perpetrato da entrambi, salvo il caso limite in cui tutti e due si ritrovino nello stesso posto sbagliato, il che farà sì che si ricreino tutte le casistiche suddette, ma in una dimensione onirica di presunta comunicazione telepatica da Papua della Nuova Guinea.

Incontro non piacevole con assenza completa (dell'uno, dell'altro o, ancor più nichilista, di entrambi): l'incontro è talmente poco piacevole che uno dei due non va, colto da struzzite acuta. Per chi è presente la piacevolezza potrebbe diminuire o aumentare, in modo imprevisto. Nel caso in cui sia passibile di incremento, è anche molto alta la probabilità che si arrivi all'estremo dell'assenza di tutti e due. Un non-incontro che sfocia in una non-non-piacevolezza (quasi sempre momentanea, per ottenere il procrastinarsi della non-piacevolezza con interessi usurai).

Incontro piacevole con tuo ritardo: la possibilità dell'evento è inversamente proporzionale alla piacevolezza dell'appuntamento. A meno che il ritardo non sia una tattica. Ma in questo caso non è ritardo. E' essere pronti da ore giorni mesi anni e cincischiare. Apposta. E' arrivare due ore prima, poi iniziare a girare in tondo, ma non intorno al monumento. Intorno a qualunque altra cosa sufficientemente lontana. Altro cerchio, nel cemento. Troppo bella l'attesa, troppo pericolosa per quello che si può immaginare, specialmente se poi tutto si realizza, anche quello che non avevi pensato.

Incontro piacevole con tuo anticipo: si può andare apposta all'appuntamento prima. Ci si siede lì. Si immagina. Si fa un giro intorno al monumento. Ci si risiede. Si pensa alla posizione in cui si vuole essere trovati. Incantato? Riflessivo? Menefreghista? Concentrato su altro (utopia)? Se ne provano un po'. Qualcuno che porta il cane a spasso, oltre a farti prendere un colpo perché credi che sia la persona che aspetti tu, ti studia come se fossi un caso liberato da Basaglia. Ogni fruscio ti coglie in una pantomima diversa e ti fa sobbalzare. Ogni sagoma che si profila all'orizzonte potrebbe essere l'altra persona. Ti giri a trecentosessanta gradi in modo smarrito perché non sai da dove potrebbe arrivare.
Il problema cruciale è che, se l'incontro è piacevole per entrambi, anche l'altro finirà per volersi godere l'anticipo.
Se è così piacevole, però, sarete tutti e due talmente nel pallone che rientrerete facilmente nella casistica "Incontro piacevole con errore di orario/luogo". Ciò potrà accadere sia volontariamente (per prolungare l'attesa e parcellizzarne ogni secondo), sia involontariamente per overdose di piacevolezza presunta e conseguente rincitrullimento.
In tal caso, studierete comunque un modo per ritrovarvi. E vi potrete godere più a lungo l'attesa.
Senza il rischio di ritrovarvi entrambi sul luogo del ritrovo in sincrono con un'ora di anticipo.

Incontro piacevole con tutti puntuali: in questo caso inizia subito la piacevolezza senza l'attesa della stessa. Si perde un pezzo di assenza, si guadagna una porzione di presenza.
Un modo per vivere tutto e subito.

Incontro piacevole con assenza completa definitiva: un modo per eternizzare la piacevolezza nella negazione della sua corporeità.
Un modo per non vivere niente e mai. 

martedì 2 febbraio 2016

Dimenticare lo spazio della paura della paura



C'è gente che si diverte a lanciare insulti gratuiti.

Un po' come quelli che girano per le città con il cartello "abbracci gratis". Che quando uno li vede arrivare, pagherebbe anche per non averlo, l'abbraccio plastificato, da uno sconosciuto sudato e animato da non si sa che missione salvifica.

Forse è meglio un insulto gratis.
Meno invasivo.

Anche più frequente.

Ad esempio, sei lì che passi in bici, evitando tutti i pedoni con un ampio margine, quando ecco che un vecchio che attraversa a metri e metri da te si gira a guardarti e ti dice: "Vaffanculo vaffanculo vaffanculo" ripetutamente e strisciantemente.

Tu rimani perplesso, anche se nel frattempo sei già ben oltre e lui è rimasto indietro, a dire "Vaffanculo" all'aria.

Preso dalla tua folle pedalata in cui tutto intorno è sfocato e scorre via, non consideri che in ogni persona c'è lo spazio della paura, quello in cui veramente c'è un pericolo incombente, e quello della paura della paura, concentrico ed esterno, di dimensioni variabilissime. Mentre il primo è quasi oggettivo, il secondo è di rara soggettività. E così, se in bici eviti accuratamente lo spazio della paura, non saprai mai se potrai stare lontano anche da quello della paura della paura, così infido e paralizzante.

Il pedone non ti lancia insulti gratuiti, ma barattati con l'invasione del suo spazio della paura della paura.
E non si diverte.