LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 24 aprile 2015

Portar via


Si suol sentire di persone che dicono ad altre persone "Portami via". E quest'idea dell'essere portate via pare una figata pazzesca. Si pensi però ad altre accezioni del termine, tipo "c'è un vento che porta via", oppure "pizza da portare via". Sono entrambe piuttosto negative, la prima per il fastidio, la seconda per la gommosità. E' anche vero che c'è una differenza tra l'essere portati via come oggetti e il portare via come soggetti. Rimane però il fatto che, se si tratta di un rapporto tra due persone, ce n'è sempre una che agisce e l'altra che subisce. E subire passivamente non è che sia il massimo della vita.
Allora ha torto Vasco quando dice "Ti prendo e ti porto via", anche se sembra una cosa bella, e ha ragione Conte quando canta "Vieni via con me".
Bisogna però ricordare che in italiano si può venire arrivando o stando.
Ne sa qualcosa Jack Savoretti, che al suo concerto a Torino di ieri sera se n'è uscito con un "Vengo un po' troppo, qui in Italia". Poi un po' di silenzio, per essere sicuri che tutti avessero capito la gaffe, per finire con un "Ecco cosa succede a essere inglesi e cercare di parlare italiano".

giovedì 23 aprile 2015

Lei ha detto negri!


Sabato pomeriggio sul tardi.
Portici di Torino in zona centrale.
Struscio micidiale, del tipo che se non assumi in qualche creativo modo la forma dei mattoncini di Tetris non riesci a procedere e ti becchi il game over.
Ad un certo punto, si vede un accumulo aggiuntivo, cosa che sembrava impossibile.
Il primo pensiero è: regalano qualcosa, ma qualcosa di proprio interessante.
E invece no.
Non regalano proprio niente.
Si è solo creata una situazione tipo curiosi in autostrada.
Nel gorgo di esseri umani, si staglia una ultrasessantenne che urla con male parole qualcosa contro un vigile canuto sulla soglia della pensione o di quello che ne resta. Lei avanza, lui indietreggia, finché non arriva ad appoggiarsi di schiena contro un pilastro dei portici, rimanendo bloccato.
Lei urla: "Erano solo due ragazzi diciottenni, e suonavano pure bene. Lei è un @#*".
Cerca di difendersi, bofonchia che la legge è la legge, ma non riesce nel suo intento.
Nel frattempo un ottuagenario si insinua dietro la colonna, nei pressi dell'ascella ormai pezzata del pubblico ufficiale messo al muro, e ribadisce: "Invece che fare multe così, dovrebbe andare là dietro, che ci sono sempre i negri che fanno brutte cose".
Al che il vigile, colto da un fremito di amor proprio, mettendo una mano per aria ad allontanare (invano) la signora urlante, dice al vecchio: "Lei ha detto negri!"
E il vecchio, roteando un indice: "Sì, ho detto negri! E dovrebbe andare a vederli!".
Il vigile continua: "Lei ha detto negri!"
E il vecchio: "Sì, e posso dire "negri" finché voglio, non sono mica in una seduta comunale dove non si può dire!".
Indovinate un po' come ha ribattuto il vigile?
"Lei ha detto negri!"
Il vecchio se ne va.
La vecchia continua a urlare.
Il vigile rimane schiacciato contro il pilastro, con tutta la folla di curiosi intorno e la signora che lo prende a ombrellate.
Periodicamente si difende con le poche parole che riesce a emettere dopo il trauma psicologico: "Lei ha detto negri!".
Va perfino a ritmo.
Tanto che quando la folla si distacca passa un altro vigile e gli fa una multa: "Non si fa rap in luogo pubblico senza autorizzazione. E non ci sono concessioni per i colleghi".

giovedì 16 aprile 2015

Uomini e bici


Quando sei una donna e vai in bici ti diverti perché gli uomini, così moderni, nel ventesimo secolo inoltrato, non sopportano che li superi o di andare più piano di te.
Se sei bardata con tutto il necessario e hai una bici bella, si ingarellano e piuttosto muoiono ma ti devono superare. Se non ce la fanno, stramazzano al suolo non soltanto per la fatica ma anche e soprattutto per la frustrazione dell'essere bypassati da un individuo del sesso "debole".
Il divertente è vederli arrabattarsi mentre tu procedi tranquillamente alla tua velocità di crociera.
Quelli che vanno più veloci di te ti superano ostentando tutto il loro splendore (se ce l'hanno, ma anche se non ce l'hanno) e dicendoti cose tipo "Alè alè". E tu ti chiedi: "Alè alè cosa? Io sto benissimo alla mia velocità di crociera".
Quelli che vanno clamorosamente più lenti di te stramazzano al suolo concretamente o figuratamente, ma non te ne accorgi perché sono dietro.
Quelli che hanno la possibilità di raggiungerti, anche per un breve tratto, lo fanno, a costo di sputare un polmone insieme ai numerosi scaracchi per scaricare peso inutile. Poi stramazzano al suolo con un polmone e molti scaracchi in meno e rientrano nella casistica di cui sopra (quella di chi va clamorosamente più lento di te).

Il divertente è quando tu donna non sei per nulla bardata, ma stai andando magari al lavoro sulla graziella comprata al Balon.
La casistica si ripropone, ma a un livello più basso, il che rende divertentissimo il tutto.
I bardati ti superano quasi tutti.
Se ne superi uno tu, lancia una corda tipo lazo al primo lampione e si impicca con la bici e tutto.
Il bizzarro è affrontare tutta quella fascia di curiosi personaggi caratterizzati da accozzaglie inspiegabili di abiti del Decathlon da bici, corsa, equitazione, che cavalcano biciclette improbabili.
La meglio categoria sono i vecchietti con la panza prominentissima tonda da birra fermentata appoggiata alla canna del velocipede, che quando si alzano rimane loro per almeno otto ore un solco passante per l'ombelico.
Tu donna sulla graziella che vai al lavoro sei costretta a superarli perché vanno ai due all'ora. Non vorresti perché ti fanno pena. Ma devi, se no arrivi tardi al lavoro. Speri sempre che non accada quello che spesso invece accade, cioè che uno di loro, o anche tutti nel peggiore dei casi, decidano che devono superarti. Tu hai fretta, devi arrivare al lavoro, ma loro, impietosamente in modo antispeculare a te, lo fanno. Senti un ansimare con tanto di fischio asmatico dietro di te, un cigolare di pedali, un incrinarsi di telaio, uno scricchiolare di ossa, e poi lo/i vedi al tuo fianco. Ti supera/no. Poi si accartocciano pochi metri più avanti. E tu non puoi far altro che chiamare un'ambulanza dando le coordinate gps, ché se no te ne staresti in permesso quasi tutti i giorni in cui decidi di andare al lavoro in bici.

giovedì 9 aprile 2015

Ristorante "Clinica leggera"



"Che strano nome questo ristorante" ho pensato quando ci sono passata davanti.
Ma a chi può essere venuto in mente di chiamare così un ristorante?
Ho iniziato a rimuginare sulla scaturigine del nome e sulla sua attrattività.
Ok, ci sono le locande leggere, quelle allegate ai negozi leggeri, che vanno tanto di moda. Sicuramente hanno voluto seguire l'onda. Ormai le persone di una certa classe, i radical chic, sono tutti perennemente parcheggiati in posti "leggeri". Prendono 3 grammi di quinoa dei campi coltivati da contadini italiani arando con le unghie in Guinea Bissau, 5 microgranuli di dentrifricio bio fatto a mano con la macina ligure di Triora, 9 millilitri di latte di asina biologica delle alture papuasiche nuove guineane.
Poi vanno al ristorante a mangiare cibo vegan-vegetarian-bio-just in time-ayurvedico.
Sì, effettivamente la parola "leggera" dentro il nome del ristorante ci sta.
Il che poi si attacca anche all'altro termine utilizzato: clinica. Il termine è un po' delicato, perché potrebbe far pensare a qualcosa di medico e far storcere il naso ai radical chic ipocondriaci, ma in seconda analisi può far pensare all'altra accezione di leggerezza: non senza peso da trasportare esternamente al proprio corpo, ma senza peso-ciccia interno allo stesso. Chi mangia alla clinica leggera diventa leggero pure lui, cioè magro e in forma, il che è perfettamente il linea con il cliente radical-chic-vegan-vegetarian-bio e chi più ne ha più ne metta. Non si può non pensare a idilliache situazioni di italica memoria che faranno sicuramente affluire al ristorante "Clinica leggera" a frotte.

Tutta soddisfatta, faccio una sosta per leggere che menù propone.
Affisso vicino alla porta leggo: "Menù del ristorante Cinciallegra".