Quando non ti capisco prenderei una sega circolare di quelle piccole, metterei gli occhialetti antispruzzi, e la conficcherei nella tua calotta cranica. Taglierei quella semisfera superficiale, e mi butterei ad osservare attentamente quello che c'è dentro. Ci troverei una pappetta fluida irrorata di sangue, e continuerei a non capire.
E saresti anche morto.
Quando non ti capisco prenderei un martello, e, con ampi gesti delle braccia, tanto per fare anche un po' di ginnastica, imprimerei colpi alla tua testa finchè non otterrei un uniforme puntaspilli di bozze doloranti. Poi sbatterei il tuo cranio contro tutti gli spigoli rintracciabili in questa tonda terra. E continuerei a non capirti.
E saresti anche più incomprensibile di prima.
Quando non ti capisco, allora, mi metto nei tuoi panni. Per capirti.
Ma tutto quello che succede è che i tuoi panni mi vanno larghi.
E così, invece di continuare a cercare di capirti, tengo su le braghe, ché se no mi calano.
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Credo che nessuno sia mai riuscito a capire un'altra persona.
RispondiEliminaSono energie sprecate che non portano ad alcun risultato concreto.
Ed anche se un giorno si arrivasse a capire il prossimo, quale vantaggio ne deriverebbe?
Certamente più interessante sarebbe capire se stessi.
Secondo me capire gli altri e capire sè stessi fa parte di uno stesso processo necessario e vantaggioso.
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