LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

lunedì 30 gennaio 2017

Acqua senza parole


(foto di Rafal Makiela)

Quando uno sta sott'acqua e guarda la gente sott'acqua, vede che sono tutti perfetti, compatti, sfidanti la forza di gravità.

Poi, quando questi tutti escono dall'acqua, all'improvviso subiscono metamorfosi kafkiane.

La sirenetta che nuotava nella corsia vicino alla tua è in verità una grande obesa che cammina a fatica con gli interni coscia scartavetrati dall'attrito, le gambe bucherellate da una mitragliata di cellulite, le braccia allargate per l'adipe che le sborda dal giro ascella del costume intero, teso come la pelle di un tamburo sulle sue rotondità smagliate. Il seno che pareva innaturalmente pushuppato, sulla terraferma indulge sotto l'ombelico, incerto se fermarsi o continuare la sua discesa verso gli inferi.

L'atletico nuotatore che sfrecciava alla tua sinistra è in realtà il perfetto stereotipo di camionista, solo che le sue tette coppa 5, schiacciate dalla pressione dell'acqua, sembravano poderosi pettorali; la sua pancia, appiattita subacqueamente, ora che cammina mollemente sciabattando sul bordo vasca, è precipitata mollemente giù, oltre l'orlo del costumino da piscina che poco spazio lascia all'immaginazione e molto allo sconforto.

L'acqua crea un mondo diverso, dove i giudizi che normalmente si affibiano alla gente, volenti o meno, vengono meno: cambiano in base al cambiamento degli assi di riferimento.

 Sarebbe bello poter comunicare senza quelle barriere psicologiche che solo il mondo emerso crea.

Purtroppo, solo il mondo emerso permette di comunicare con parole, e quando si emerge per farlo, riemergono anche tutti i pre-, concomito- e post-giudizi legati a dove siamo abituati a giudicare.

E' sempre così, chi ha acqua non ha parole, e chi ha parole non ha acqua.

lunedì 23 gennaio 2017

Il peso della felicità


Ieri ero lì che guardavo il film "Denti" e c'erano delle frasi talmente interessanti che mi sono messa a avvolgere e ascoltare, riavvolgere e riascoltare, e pure a prendere appunti.

Una diceva questo:

"Forse c'è una quantità di di felicità per ognuno di noi.
 Forse la mia me l'hanno già data. 
Dovevo stare più attento a quei momenti felici. 
Ma la vita quando è felice corre via distratta". 

Ero così galvanizzata che ho fatto una roba che di solito non faccio; l'ho postata su FB. Una persona che non mi aveva mai commentata ha scritto che crede che ci sia una riserva di felicità da trovare con caccia al tesoro.

Ho pensato che, per prima cosa, bisognerebbe essere in grado di avere una chiara idea di cosa sia la felicità. Non in generale. Per noi. 

Ammesso e non concesso che uno abbia capito cos'è la felicità, e quando è felice, poi deve anche sapere quanto pesa questa felicità. 

Riconoscerla è un bel dilemma, ma si può ancora fare, del resto è una cosa istintiva. Si tratta più che altro di capire se, con tutte le sovrastrutture che ci abbiamo messo intorno, intravvediamo tra assi e pali che abbiamo incastrato in impalcature pressoché impenetrabili quel minimo di istinto necessario a sentirla. Forse alcuni non lo hanno più, a furia di calpestarlo con pensieri concentrici arrotolati su loro stessi. 

In ogni caso, una volta riconosciuta, questa benedetta felicità, bisogna pesarla. Quanto pesa la felicità? Un bel bordello capirlo. Serve la bilancia apposta. Poi si muove, non sta ferma, va e viene senza controllo. Quando porti la bilancia non c'è. Quando c'è, è in un posto dove non ti sei portato la bilancia. 

E poi, anche saputo quanta felicità hai avuto, cosa ne sai di qual è la tua quota? Bisognerebbe vivere con tutto segnato dalla nascita. Infatti Rubini dice FORSE. Forse non c'è nessuna quota. Si decide pian piano, anzi non si decide proprio. Succede o non succede. 

Quando non succede te ne accorgi. 

Quando succede pure. 

E invece di stare lì a cercare la bilancia, tanto vale godersela, finché c'è.

venerdì 20 gennaio 2017

Perfezione


Quando uno vuole fare una costruzione perfetta, scintillante, piena di guglie, rifrazioni di luce, effetti ottici, eleganza, slancio, bellezza, inizia a pensarci bene.
Pensarci bene fa sì che il tutto diventi molto impegnativo, molto gravido di autoaspettative, con molte autorichieste di perfezionismo supremo.
E il perfezionismo supremo molto spesso confina strettamente con l'immobilismo supremo.
Uno si mette lì e progetta, progetta, progetta.
Nel progetto c'è sempre qualcosa di imperfetto, perché lo stesso progettista lo è, ma non vuole esserlo, e quindi riprogetta. riprogetta, riprogetta.
Prima o poi il progetto dovrebbe diventare realtà, ma come si fa a fare qualcosa di concreto, quando già il progetto non è mai all'altezza?
Tanto vale progettare finché non si è sicuri che tutto sia perfetto, prima di mettersi all'opera.
Non essendo mai sicuri, non ci si mette mai all'opera.
Mentre contempliamo il progetto, o qualcuno ce lo frega (soprattutto se, dato che ci teniamo tantissimo, ne parliamo in giro), o moriamo mentre stiamo facendo l'n-esima correzione alla bozza.

E allora, tanto vale buttarsi, costruire subito in bella, che è sempre più bella una bella imperfetta di un perfetto nulla.

giovedì 19 gennaio 2017

Meraviglia indipendente


Stai attraversando la città in bici.

Il gelo ti attraversa le fibre del cappotto, del berretto, dei guanti di lana. Rende te più presente a te stesso, la tua mente più nitida, il tuo corpo più insaccato nelle spalle nel tentativo di racchiudere il calore.

Scorri sulle piastrelle lisce dell'isola pedonale in un'atmosfera di sospesa attesa, forse che la temperatura salga, perché la gente possa riversarsi di nuovo nella zona che molto prima era piena di auto ed ora è vuota, ma normalmente è rivestita di persone che camminano chiacchierano siedono sulle panche.

Alla tua sinistra, una galleria di un cinema, e un suono. E' una musica di un cantante famoso, suonata con un violino.

Ascolti, cerchi, vedi la violinista che si mimetizza con un pilastro grigio, non la vedi più, talmente è mimetizzata, ma pensi che quello sia un momento di beatitudine e meraviglia.

Meraviglia indipendente da chiunque e qualsiasi altra situazione, almeno per un attimo.

lunedì 16 gennaio 2017

Riemersioni


Il vento spazzolava la città portando via patine di tempo dalla sua superficie. Il cielo era una cupola spleenetica e plumbea. Gocce che sembravano sbattute a tazze giù dal cielo si schiantavano con tonfi grassi sull'asfalto della strada e sulle pietre dei marciapiedi.
Camminavano piegati in avanti, tenendosi ben chiuse le giacche con le mani, in mezzo a un turbinio di cartoline e fogli sollevato dalle bancarelle dei portici.
Si erano rifugiati nei sotterranei scuri e protettivi. Il sibilo del vento, a ogni gradino sceso, diventava più ovattato. Si erano immersi in pile e pile di libri impolverati, studiandone fronte, retro, quarti di copertina. Leggendo pezzi qua e là, ammonticchiando i libri prescelti per essere acquistati a vantaggioso prezzo fatto a occhio e definito da una sana contrattazione, avevano perso il senso del tempo e dello spazio, convergendo in un mondo inventato da altri e anche un po' da loro.
Si erano lavati le mani dai polpastrelli anneriti in un lavandino sbrecciato, per emergere controvoglia, scalino dopo scalino, dal loro mondo sommerso. 'Sarebbe bello se tutto sopra fosse stato raso al suolo, vero?' Si erano figurati di uscire e trovare terra brulla dove prima c'erano case e gente e portici e bancarelle e fogli volanti e gocce di pioggia che schiaffeggiavano l'asfalto. Una pianura vergine che si perdesse fin dove la vista potesse arrivare, da cui ogni forma di vita e sua costruzione fosse stata portata via da un vortice come quello che aveva ingurgitato Dorothy.
Il vento sibilava ancora, sempre di più mano a mano che tornavano in superficie con quell'irreale sentore di apocalisse.
Carichi di borse zeppe di libri, avevano spinto la porta d'uscita, pronti all'attesa delusione. Dallo spiraglio era entrata una folata di vento diverso da quello di prima, forte ma meno freddo e inaspettatamente carico di salsedine, che aveva spalancato l'anta.
Davanti a loro non c'era nessuna terra brulla, nessun orizzonte in fondo al nulla.
C'era un mare in tempesta, e loro erano su una banchina sbattuta dalle onde. Vascelli con vele gonfie e cavalli che si sporgevano dai lati combattevano contro le onde avanzando tra i flutti. Il vento sibilava nei loro capelli e seccava gli occhi increduli e indagatori. Lo sbigottimento era direttamente proporzionale all'irrealtà della loro illusione precedente. Era stato facile desiderare cose che erano sicuri di non poter avere. In quel momento si resero conto che, in un modo o nell'altro, si ritrovavano davvero in un mondo evocato, e che quello a cui erano abituati era sfaldato, forse confinato in una dimensione parallela. La disattesa delusione aveva avuto un impatto emotivo molto più alto dell'attesa delusione.

Un vascello si era avvicinato a loro schiumando nell'acqua salata, un cavallo aveva allungato una zampa fuori dal bordo, e li aveva in qualche modo caricati a bordo. Iniziava una nuova vita, in un mondo dove i libri sarebbero serviti solo come piccoli depositi di nostalgia, per ricordare un passato che scivolava via veloce. Si appollaiarono in punta all'imbarcazione, con il vento che mandava indietro capelli e pensieri stantii, e seguirono la rotta con lo sguardo, come se l'avessero fatto da sempre.  

venerdì 13 gennaio 2017

Selettività

 Sei lì che ti guardi un super spettacolo di luci e suoni, proiettato su una costruzione avveniristica tutta sfaccettature, e lo trovi bello, lo trovi armonioso, sei tutto beato nella contemplazione.
Ad un certo punto, però, vedi una porticina con una maniglia rossa che è su una minima superficie sfaccettata del mastodonte illuminato.
Piano piano, la tua attenzione si focalizza così tanto su quel particolare, insignificante se uno guarda l'insieme, ma così fastidioso se uno lo vede, che ti perdi completamente la goduria dello spettacolo.
Esiste solo la portina con la maniglia rossa, riesci a cogliere solo il fastidio per quella, un po' come quando riesci a uscire con una ragazza bellissima e ti rendi conto che ha un pelo nero e spesso nel collo, e guardi solo quello, e la ragazza diventa quel pelo, non senti più quello che dice, non vedi più la sua faccia, vedi solo il pelo nero che ti fa convergere nell'abisso del disgusto per la sua inopportuna presenza lì.

L'essere umano è studiato ben stupidamente.

Nel presente vede molto di più i particolari brutti,
del passato ricorda solo quelli belli.

Del futuro, lasciamo perdere.

mercoledì 11 gennaio 2017

(S)naturarsi


Uno esce di casa la mattina dopo un nevischio notturno e si ritrova, alle sette, sette e mezza, a percorrere una patina silenziosa che ha rivestito la città tipo domopack. Si chiede dove sia finita quella gente che normalmente c'è in giro, che sicuramente anche quel giorno ha orari di ingresso, scadenze, bimbi da portare a scuola. Invece niente, non c'è nessuno, al punto tale che uno controlla pure l'orologio, caso mai fosse così fuso da aver cannato il fuso.

Il fatto è che la natura fa quello che vuole di noi. Non c'è società che tenga.
E' bella ed affascinante almeno quanto riesce ad essere brutta e cattiva. Sembra gentile, ma a volte diventa parecchio stronza. E si sa, il termine stronza ben si sposa sia con bella sia con brutta, sta bene con tutto come il prezzemolo.

Uno che si aggira sulla pellicola ghiacciata in cui la natura nottetempo ha doviziosamente avvolto la città, potrebbe ad esempio scivolare, e, se ha un buon equilibrio, scorrere con le suole delle scarpe o le ruote del mezzo su cui è, fino a trovare un punto non ghiacciato. Ma se la natura vuole, ghiaccia tutto, al punto che il pedone scivolante può percorrere, una volta su un piede, una sull'altro, a tratti anche su due, lunghi tratti in precario equilibrio senza trovare un porto sicuro, e pure i muri possono essere pellicolati di ghiaccio, e pure le grondaie, ma in questo caso uno ci si ferma, perché la mano gli si incollerà al ferro, finché, tirandola via, non lascerà il tessuto epiteliale superficiale attaccato al metallo.
Certo, come il pedone che scivola, anche colui che viene sbattuto dalla corrente del mare contro uno scoglio potrà opporre un'insignificante resistenza, così come il timoniere di una nave battuta dai venti in mezzo all'oceano, o qualcuno il cui corpo viene fatto sbandierare in preda a venti di bora. Il fatto è che la natura è un mastodonte, molto più forte di qualsiasi uomo fortissimo, e quindi remare contro è inutile.

Si dice che nella vita, se uno va contro natura, si snaturi. E pare una cosa brutta.

Anche naturarsi, però, alla fine, non è una cosa necessariamente bella. Spesso è l'unica cosa da farsi. Riconoscere che la natura ci governa da fuori e anche da dentro, e dispone di noi con uno schiocco di dita, come vuole e quando vuole.

Non rimane che assecondarla, volenti o nolenti, ascoltare quello che ha da dirci, capire quello che se ne frega di dirci, seguire le sue correnti ammaccandosi un po', sperando che non ci facciano cozzare in qualche scoglio troppo pericoloso per sopravvivere.

sabato 7 gennaio 2017

Stagno


Nello stagno ghiacciato, si sa, c'è sempre una parte di ghiaccio più spesso e una più sottile. E' risaputo anche che se uno va a pattinare sulla parte sottile rischia di finire come Sam o peggio.

Rimane il fatto che c'è gente che pattina solo sul ghiaccio spesso, e mai andrebbe su quello sottile, e altra che invece si lancia su quello sottile, con quel friccico stupido che solo le cose pericolose procurano.

Non c'è nessun motivo per pattinare sul ghiaccio sottile, se non il friccico. Non si pattina meglio, anzi, se si è ancora leggermente prudenti, si pare impalati di fresco, si mettono le lame dei pattini come sulle uova. Ed è risaputo che le lame, sulle uova, tagliano. Non si possono fare salti, acrobazie e tutte quelle cose che potrebbero permettersi quelli che stanno sul ghiaccio spesso. In compenso, il suddetto friccico viene ripagato da periodiche, inevitabili fratture del ghiaccio sotto di loro, immersione nell'acqua gelidissima, intorpidimento e rabbuiamento dei muscoli, paralisi del corpo, totale o semiassideramento, affogamento e tante altre meraviglie che sul piatto della bilancia opposto hanno, appunto, la demente consapevolezza del friccico.

La gente che pattina sul ghiaccio spesso è prudente, per cui potrebbe fare acrobazie e salti in quasi totale sicurezza, ma è il quasi che la blocca. E se non avessero poi il controllo totale dei loro muscoli, dei loro movimenti? E se il ghiaccio spesso si crepasse lo stesso e poi loro crepassero a loro volta sotto un spessore impossibile da bucare da sotto?

E così si creano due eserciti di persone diverse, quelle del ghiaccio spesso e quelle del ghiaccio sottile, due caste pressoché impenetrabili.

Può capitare che alcuni particolarmente curiosi si avventurino sul confine tra le due zone, dove il ghiaccio si assottiglia o inspessisce, a seconda del punto di vista. Per entrambi può essere una temporanea esperienza interessante, divertente, emozionante. Momentanea, perché poi ognuno si rifugia nella zona a lui familiare.

Se uno di quelli del ghiaccio spesso si inoltrasse su quello sottile, si snaturerebbe.
Magari lo farebbe per esperimento, ma sarebbe giusto un mettere un piedino dall'altra, sentire quella scossa di adrenalina che lo agghiaccerebbe più che emozionarlo, per poi ritrovare il tepore tranquillo della sicurezza nell'area precedente.
Se ci credesse davvero, all'idea che il friccico sia cosa giusta, pesante sul piatto buono della bilancia quanto o più di fratture del ghiaccio sotto di lui, immersione nell'acqua gelidissima, intorpidimento e rabbuiamento dei muscoli, paralisi del corpo, totale o semiassideramento, affogamento e tante altre meraviglie, allora vorrebbe dire che la gente cambia.
E non necessariamente in meglio.

Se uno di quelli del ghiaccio sottile si inoltrasse su quello spesso, dovrebbe rinunciare al friccico.
Magari lo farebbe per esperimento, ma in questo caso prima o poi vorrebbe tornare su quello sottile.
Senza contare che quelli del ghiaccio spesso lo guarderebbero con sospetto, non gli crederebbero, penserebbero che sia una minaccia per loro, e tenderebbero a rispedirlo nella sua zona spingendocelo a manate sul petto.
Lo stesso, però, accadrebbe se lui avesse capito davvero che forse il peso di fratture del ghiaccio sotto di lui, immersione nell'acqua gelidissima, intorpidimento e rabbuiamento dei muscoli, paralisi del corpo, totale o semiassideramento, affogamento e tante altre meraviglie, non vale il friccico del rischio, e che è meglio poter provare quello del volteggiare e saltare nell'altra zona, magari facendo capire agli altri che non è così terribile farlo. Ma ricevendo manate respingenti addosso, non potrebbe fare altro che ritentare più e più volte o starsene sul suo ghiaccio sottile.

In ogni caso, ad un certo punto arriva il disgelo, scioglie il ghiaccio, e finiscono tutti a mollo, indistintamente.

domenica 1 gennaio 2017

Capodanno


La gioventù è quando è permesso di restare alzati fino a tardi la vigilia di Capodanno. 
La mezza età è quando si è costretti.

(Bill Vaughan)

Maledizione.

(io)