LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

giovedì 27 aprile 2017

Non pensare a nulla!


Una volta ho letto in un libro di sociologia che l'uomo ha inventato il lavoro per passare il tempo. La cosa mi aveva assai colpita, dato che io ho trascorso anni a cercare di ottenere un lavoro che mi lasciasse tempo libero, onde non venderlo tutto a qualcun altro. 
Forse, avevo pensato, l'uomo (e anche la donna, ma ci ha impiegato di più) si è lasciato prendere la mano, ha esagerato con il lavoro, è finito in uno squilibrio esistenziale, per cui ciò da cui era corso ai ripari inventando il lavoro è diventato merce preziosa e agognata ma al tempo stesso evitata con scuse tipo che si hanno da fare gli straordinari, si deve pulire casa, fare la spesa, eccetera eccetera eccetera, tutta roba che è entrata nel negotium corrente. 

Al di là del negotium, l'uomo ha inventato pure l'otium, che mica è l'ozio fancazzista immaginato com quello che si sdraia e sonnecchia con la bolla al naso e magari un sombrero in testa. No, l'otium è praticamente occuparsi di un sacco di incombenze, ma senza essere pagati, e spesso pagando addirittura. Fin dalla più tenera età l'essere umano suole essere seppellito di attività tipicamente otiumose, tipo corsi di nuoto di ginnastica ritmica artistica a corpo libero a corpo occupato lezioni di piano violino chitarra flauto traverso trombone karate judo full contact e chi più ne ha più ne metta, con un planning che solo a vederlo sembra di stare nella hall del Club Med. 

Ma perché tutto ciò?

Perché è praticamente impossibile non fare né pensare a nulla.
E se uno ci prova, mettendosi lì, seduto o coricato, anche con gli occhi chiusi per non avere stimoli visivi, magari con il naso tappato per non averne di olfattivi, i tappi nelle orecchie, le fettine di cetriolo tagliate spesse sugli occhi, rimane qualcosa di irrefrenabile: il pensiero. Che poi è l'otium per eccellenza, quello più riverito e al tempo stesso temuto.

Non pensare a niente adesso. 

Fatto?

Ma figuriamoci. 

Avrai almeno pensato che uno con tutti sti tappi addosso stia scomodissimo. O avrai pensato a cosa dovrai fare dopo (dicesi stress o budget)  o a cosa hai combinato prima (dicesi rimorso o rimpianto o bilancio consuntivo).

Tu pensi e se hai tanto tempo a disposizione pensi un sacco. Se sei un demente pensi cose semplici e elementari, se sei un tipo riflessivo ti arrotoli su ragionamenti sempre più astratti ed esistenziali. 
Nel primo caso, ti ammorbi rapidamente e ti tuffi in qualche attività otiumosa, tipo guardare partite di calcio, fare shopping, sparlare della gente.
Nel secondo caso, diventi perlomeno nevrotico, o comunque qualcosa di simile, qualcosa che sfiora la filosofia e che al tempo stesso si allontana sempre più dalla vita vissuta, perché è così complesso articolare tutto il pensiero che ti devi per forza astrarre dal concreto, da ciò che hai intorno. 

Ciò, perlomeno fin quando qualcuno o qualcosa ti ricorda che devi andare a lavorare. 
A correre.
Al corso di inglese.
A pilates.
Al cinema. 
A leggere un libro. 
A fare qualsiasi cosa che impedisca alla tua mente di pensare liberamente senza essere convogliata da qualcosa di costrittivo.

Ognuno si costruisce liberamente la sua prigione

martedì 4 aprile 2017

Ritardi


Parlai a suo tempo degli appuntamenti, e della piacevolezza o meno degli stessi.
Mi pareva di aver trattato tutte le casistiche.
In realtà ne ho scordata una frequentissima.
Gli incontri, piacevoli o no, con ritardo altrui.

In un'ottica soggettivo-ottimistica, ho rimosso la fallacità o la intenzionalità ritardataria dell'altro.

Forse ritenevo ingenuamente che "tuo anticipo" corrispondesse a "ritardo altrui".

Le due cose sono invece ben diverse.

Lo dice pure lui:
 Uno che arriva in anticipo vuole creare artificialmente l'attesa, e quindi è chiaro che, se non è proprio un masochista, ne trarrà motivi di giovamento (anche se lo è, in quanto il giovamento, in questo caso, è l'agognato danno).

Uno che invece arriva in tempo, a volte pure in anticipo, magari addirittura in ritardo, e aspetta, si ritrova in una situazione ben diversa, in cui lui non ha deciso niente ed è in balìa dell'altro.

Può godersela o meno, ma non è comunque artefice della situazione.

Se è uno di quelli che se la godono, sarà comunque vittima della legge dell'utilità marginale: più l'attesa si dilungherà, più il godimento calerà, a meno che non si sia nella casistica di incontro estremamente spiacevole, casistica in cui godimento e tempo trascorso saranno direttamente proporzionali, nella speranza che l'altro abbia avuto un grande contrattempo traducibile in assenza definitiva.
Se il godimento nasce dal volersi gustare ogni attimo di trepidante attesa dell'arrivo dell'altro, quando passerà un po' di tempo la goduria inizierà a trasformarsi in fastidio, il fastidio in incazzatura, l'incazzatura in sensazione che il ritardo si faccia pacco.

Lo stesso vale per chi dall'attesa non trae alcun godimento, con la differenza che il fastidio nascerà prima, così come anche l'incazzatura e conseguentemente l'urticante sensazione pacchistica.

Le risoluzioni della situazione in cui il ritardo è altrui sono varie:

  • se l'altro arriva nell'arco di un quarto d'ora accademico, a meno che non si sia puntigliosi, tutto andrà probabilmente liscio.
  • se l'altro arriva in un lasso di tempo incluso tra più del quarto d'ora e il limite personale di tolleranza al ritardo, si farà qualche battutina ma tutto rimarrà più o meno nei ranghi. Il puntiglioso o se ne sarà andato, o ricadrà direttamente nelle categorie successive.
  • se l'altro arriva in un lasso di tempo incluso tra il fastidio e l'incazzatura, anche proprio quando la prima scintilla d'ira sta per accendersi, stimolata dal bastoncino sfregato del fastidio,ma ancora non l'ha fatto, i primi momenti dell'incontro saranno compromessi, con una durata inversamente proporzionale alla tolleranza individuale al ritardo dell'attenditore. 
  • se il limite dell'incazzatura è superato, la serata inizierà arrabbiata. Il seguito è da vedersi, ma di certo non ci saranno ottimi presupposti.
  • c'è poi la casistica del non-arrivo completo del ritardatario, in questo caso trasformabile in pacchista. Serata gravemente compromessa, con umore variabile dal menefreghismo risentito all'incavolatura dilagante.
Se il non arrivo si prolunga, se l'attenditore continua ad attendere, si rientra nel campo aspettandogodotiano. 
Probabilmente, se uno è entusiasta quando arriva all'appuntamento, tanto più se è già l'n-esima volta che l'atteso non compare, aspetta un'idea che si è fatto, qualcosa di ben distante dal reale atteso, altrimenti saprebbe già che l'atteso non s'ha da attendere, soprattutto se lo attende invano per la 587598738ttesima volta. 

Poi ci sono le attese di qualcosa di indefinito, senza luogo né appuntamento. 
Sono le attese aspettandogodotiane per eccellenza.
Poi Godot non arriva mai.
E se arriva, non è certo quell'idea tutta nostra che aspettavamo.