LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

mercoledì 29 giugno 2016

Intelligenza commerciale: l'arte di vendere se stessi


C'è gente che basta che dica due parole e tutti credono che sia intelligente, altra che ne dice tre e passa  immediatamente per mononeurone.
Ora, non è possibile che da due o tre verbalizzazioni sia veramente capibile l'intelligenza di qualcuno.
Già si tratta di un'entità astratta difficilmente inquadrabile, figurarsi se la gente, che notoriamente è un ammasso di individui variamente intelligenti, può valutare in un batter d'occhio la quantità di un'astrazione nella testa di qualcuno, considerando che già nella sua ci potrebbero essere notevoli carenze della suddetta.

Eppure è quasi innegabile che, se uno è ritenuto intelligente, lo è dai più, e viceversa, uno scemo è scemo per quasi tutti.

Certo, considerando che ognuno conosce sottoinsiemi di popolazione generalmente affine, magari uno scemo si circonda di scemi che lo trovano intelligente, come uno veramente intelligente potrebbe attorniarsi di gente veramente intelligente che lo reputa intelligente. Ma se uno scemo sta in mezzo a intelligentoni o un intelligentone s'immerge negli scemi per qualche imperscrutabile motivo, il risultato non cambierà: il gruppo lo riterrà mononeurone, sia nel primo, sia nel secondo caso.
O forse no.

Forse l'intelligente veramente intelligente mobiliterà la sua intelligenza commerciale. Del resto, lui possiede tutte le multiple intelligenze individuate da Gardner, inclusa questa, che lo studioso chiama intelligenza sociale.
La verità è che è l'unica riconosciuta a primo acchito: se ce l'hai sembri subito intelligente tout court; se non ce l'hai, puoi anche essere pieno di ogni altro tipo di intelligenza, ma diventi un esiliato.
Sarai uno di quelli che risolvono sudoku giganteschi sul tram appoggiando il giornale sul cranio del vecchio borbottante seduto vicino a te, solleticando con i bordi cartacei la nonnina accanto a lui,
sarai uno di quelli che pensano ai massimi sistemi mentre risolvono sudoku in tram e perdono la fermata, per poi accorgersene tardi e mettersi a correre sgomitando in mezzo alla gente,
sarai uno di quelli che, persi nei loro elucubrazioni umanistiche, o logico-matematiche, quando interpellati risponderanno sempre "eh?",
sarai uno di quelli che alle feste diventano tappezzeria guardandosi spaventati intorno finché non si astraggono in uno di quei pensieri coinvolgenti fino al momento in cui lo donna delle pulizie, a fine festa, chiede di sollevare prima un piede e poi l'altro, ché deve scopare e poi lavare per terra.

Se hai l'intelligenza sociale, anche se sei un abisso di diserudizione, anche se hai letto tre libri in tutta la vita, anche se non guardi mai i telegiornali, carpirai nell'aria quel tanto che basta per dire sempre una frase accattivante che alluda a un substrato. Che questo esista o meno, non è un problema. L'importante è che sembri.
Anche perché poi, quando si diffonde il pettegolezzo che sei intelligente,
è fatta.
Anche se non fai più un tubo, anche se stai zitto,
anzi a maggior ragione se stai zitto, ché l'impressione è quella di uno che pensa,
tu sei "quello in gamba".
Ogni tanto lanci un'occhiata vispa,
ogni tanto spari qualcosa di sentito in autoradio, o dal droghiere,
e soprattutto non ti tappezzerifichi.
Annuisci sempre, fai perifrasi delle convinzioni altrui se ti chiedono un'opinione,
eviti di perderti davvero nei tuoi pensieri profondi alienandoti dal qui ed ora,
scorciatoia sicura per la nerditudine immediata che capovolgerebbe in breve la fama.
Sembra facile,
ma è un'arte.
Pochi ce l'hanno.
Quelli che ce l'hanno non la mettono da parte.
Si vendono bene.
Se hanno altre intelligenze oltre a quella,
capiscono di essere auto ed eterocompiacenti mercenari
di se stessi.

lunedì 27 giugno 2016

Finire gli inizi, ossia le vacanze rapide


Quando te ne parti in vacanza, magari in camper con i tuoi genitori, e  sei un bambino, per te è un evento pazzesco, un bombardamento primordiale di adrenalina, un po' come da grande
andare al concerto dei Foo Fighters
partire per una spedizione di mesi in bicicletta solo armato di quello che puoi caricare e della tua forza motrice
vincere un viaggio a cinque stelle per il mondo con tanto di concerti dei tuoi cantanti preferiti disseminati per i cinque continenti e open ticket per tutti i parchi di divertimento musei spiagge vietate ad anima viva.

Beh, sì, effettivamente anche da adulto partire può essere abbastanza un evento pazzesco, se mantieni un po' di fanciullità e non vai a Bordighera a leggere "La Stampa" sulla sdraio sotto l'ombrellone per dodici giorni tutti uguali l'uno all'altro. Certo, da adulto non è la vacanza con i tuoi genitori che ti fa venire l'adrenalina.

Invece da piccolo anche l'idea di seguirli come un minischiavo ovunque loro decidano di andare ti riempie di goduria. Del resto ogni bambino è un minischiavo sempre. Cambia poco rispetto alla quotidiana schiavitù, ma si fa qualcosa di diverso.

Poi, durante gli zingareschi giri che ti vengono imposti, conosci altri bambini.
E' un bel casino, conoscere altri bambini quando sei da solo con i tuoi genitori che, come una bomba ad orologeria, possono vanificare tutti i tuoi tentativi di socializzazione con un "sto posto non ci piace, partiamo!"
Sei lì che studi con che frase ad effetto introdurti, ce l'hai sulla punta della lingua, o, peggio, l'hai appena detta, l'altro ha appena risposto, sta per iniziare la conoscenza, quando arrivano i tuoi e dicono "partiamo!"
Pure quando riesci a giocarci per un po', sai che tutto è a tempo determinato, che il "partiamo!" arriverà come una spada di Damocle di quelle che si staccano ogni giorno se va bene, più spesso anche ogni mezza giornata.

E così i tuoi viaggi in camper da piccolo sono serie di altri bambini che passano rapide nella tua vita, magari quando devi partire piangono pure, ma passano e non ti rimane che una serie di foglietti con indirizzo e numero di telefono che non userai mai. Da minorenni non avete nemmeno la consolazione di un contatto Facebook, magari avete Whatsapp controllato da vostra mamma e comunque non potete decidere nulla senza autorizzazione, a meno di fuggire per poi essere rintracciati dalla polizia. Bella palla essere minorenni. Gente che adesso ha 30-40 anni ricorda che non esistevano manco i cellulari, solo i temuti telefoni fissi con genitori rispondenti e gli indirizzi di casa. A questi ultimi si potevano spedire lettere scritte presumibilmente a mano sull'immancabile carta da lettera sempre ricevuta in dono da una o più persone  ad ogni festa di compleanno organizzata. Poi raramente lo si faceva. Io sì, ma io sono una blogger.

A volte, nella vacanza, incontri qualcuno i cui genitori fanno casualmente il tuo stesso giro, e riuscite a stare insieme per un po' di tempo, e ciò è una rovina se questo qualcuno è antipatico, una meraviglia se è simpatico, una cosa fantastica se insieme vi mettete a vivere avventure di ogni tipo,
tipo
disperdervi in mare a nuoto per ore e ore con la corrente che vi trascina via e tornare indietro dopo l'approdo in tutt'altra baia a piedi in retromarcia con le pinne addosso
sgraffignarvi in mezzo alle spine in spedizioni pedestri alla ricerca di carcasse di capra
fare battaglie a racchettoni finché i genitori non vi obbligano ad andare a dormire
bombardare gli ignari campeggiatori di canederli d'acqua e carta igienica
ridurre punizioni per le dispersioni in mare lavando vetri dei camper per ore
ridurre punizioni per le dispersioni in mezzo ai rovi facendo i compiti delle vacanze d'inglese
ridisperdervi in mare e in mezzo ai rovi.

Dopo tutto questo, capite che forse questa non è una conoscenza destinata a passare,
che forse questa è l'inizio di un'amicizia,
ma i genitori diranno "partiamo!"
e voi partirete,
uno in una direzione,
l'altro nell'altra.

Andare in vacanza in camper con i genitori:
veder finire le cose prima che inizino
per non sapere mai più come sarebbero finite.

E pensarci ancora dopo venticinque anni,
a bigliettini degli indirizzi e dei nomi persi,
a indirizzi e cognomi dimenticati,
ché a ben riflettere,
se giocavate pure al Game boy 
adesso avete davvero tra i 30 e i 40 anni.
Più 40 che 30.

Per fortuna siete anche maggiorenni:
ora
potete scegliere
senza che altri scelgano per voi
cosa deve finire
cosa deve continuare.

sabato 25 giugno 2016

Dove riporre la fedeltà e quanto valore dare alla libertà


Ho già parlato ripetutamente di cani al guinzaglio (o meno) e nei parchi.

Di solito l'ho fatto dal mio punto di vista, cioè quello di una che non ha animali, non ne ha mai avuti e probabilmente non ne avrà. Il "non ne ha mai avuti" potrebbe essere morigerato dal fatto che ho alloggiato per qualche anno un essere vivente peloso pressapoco sferico con un diametro di qualche centimetro il cui ruolo in casa si limitava a rumori molesti di erosione notturna e olezzo stallifero, e le cui uniche interazioni con l'essere umano consistevano nell'immancabile obliterazione delle dita con denti di lunghezza del tutto irragionevole rispetto alle altre dimensioni.

Ora, vorrei fare uno sforzo di empatia e mettermi nei peli del cane.
Il suddetto, prendiamolo di media taglia, potrebbe avere padroni di vario tipo. Poniamo pure che siano amorevoli e rispettosi delle regole, ma vivano in un appartamento in città. Questa casistica copre buona parte dei cani che incontro durante le mie corse al parco. L'amorevolezza dei padroni per i loro animali è poi determinata da un sacco di cose che, pur molto interessanti, eluderebbero dall'intento caninocentrico del post.

Il cane cittadino con padroni amorevoli e civici si ritrova a transitare da un appartamento al parco, dove viene tenuto costantemente al guinzaglio, a parte nelle aree adibite ad una libertà recintata. E' così da sempre, quindi per lui la via è questa. Una vita circoscritta, con un collare che lo stringe e un laccio che lo dirige in cambio di vitto, alloggio, grattatine di pancia, carezzine sul muso, bacini sul naso e altri atti d'affetto di vario genere, a seconda della tipologia di padrone.
Può non sembrare male. Anche perché d'altro nulla si sa.

Poi, un giorno, vuoi perché i padroni si decivicizzano, vuoi perché si stacca il guinzaglio, vuoi perché si è in montagna in uno di quei pochi posti in cui la legge permette che i cani scorrazzino liberi tra marmotte e camosci, il nostro protagonista si ritrova libero.
Si mette a correre su e giù, senza quel lazo che gli stringe la carotide, senza quel padrone lento attaccato dietro a mo di sci d'acqua che ostacola il movimento, con tutto il cuore che batte accelerato, con il naso e le zampe sotto sudati marci, e si sente in un modo nuovo, e scopre che forse esiste tutt'un mondo fuori da esplorare.

E così, quando se ne torna nell'appartamento e a fare le passeggiatine al parco al guinzaglio, non è più tanto felice. Se ne sta mogio mogio, con il pelo ribassato, e si trascina dietro al padrone affettuoso. Non è nemmeno più tanto felice delle grattatine, carezzine, bacini.
Ma un cane non è che sia tanto pensante, è uno che più che pensare sente.
Se potesse pensare tantissimo e in modo geniale chissà che elucubrerebbe, invece così può solo fare cose caninamente intelligenti, tipo ululare tutte le notti svegliando l'intero isolato, oppure involontariamente psicosomatiche, come sviluppare un'allergenicità del pelo tale da far starnutire anche i vicini - quelli peraltro già svegliati dagli ululati notturni.

E così, dopo un po', i padroni starnutenti e asmatici, assediati dai vicini, caricano il cane, prendono l'autostrada e lo sbattono giù dall'auto con un calcione nel deretano, prima di andare a comprare un bel cucciolo di Golden Retriever docile addestrato e carissimo in qualche allevamento, onde non soffrire troppo per l'assenza di un convogliatore di facili affettuosità.

A parte che non ho mai capito perché i cani debbano essere abbandonati proprio in autostrada. Una strada normale non fa figo? Un parco è démodé? Ché poi già il cane più intelligente (per ragioni di sviluppo, non per offendere gli animalisti), non lo sarà come l'uomo più intelligente (è plausibile che il cane più intelligente, però, spezzando una lancia pro-animalisti, lo sia più dell'uomo meno intelligente). E già un uomo intelligente, messo in mezzo a un'autostrada a piedi, magari di notte, tra le corsie, non ha una sopravvivenza tanto lunga. Figurarsi il cane.

Il cane, mentre si rende conto di essere libero, e poter fare tutte quelle cose che gli erano sempre mancate, si accorge che gli stanno arrivando addosso dei fulmini lucenti e rombanti di tagliente ferraglia. Non è contento come quella volta in montagna tra marmotte e stelle alpine. Inizia a dirsi che forse tutta sta libertà non è così figa. Mentre se lo dice, probabilmente viene colpito da una macchina e lanciato a folle velocità contro un guard-rail o addosso a un'altra auto su cui fa sponda in uno sbriciolarsi di ossa, oppure ancora viene schiacciato ripetutamente da pneumatici veloci. Se per caso riuscisse a uscire da quella specie di video-game al massacro, si ritroverebbe randagio senza esperienza, a rovistare nel pattume per avere cibo. In breve vagherebbe per le strade magro e con i peli collosi e incrostati.

Per quello che può, penserebbe che forse vorrebbe tornare dal padrone che ormai ha il suo bel Golden Retriever al guinzaglio. O forse no. Perché comunque può correre libero dove vuole e non ha più lacci. Ma nemmeno vitto, alloggio, facile affetto.

Dopo un po' diventerebbe forte, imparerebbe il randagismo, e correrebbe libero e zeccato dove vuole.

Ogni tanto ripenserebbe a quando, pasciuto e pulito, se ne stava in una casa piena di crocchette e umani affettuosi.

In realtà, questo scenario è quello pensato da un umano traviato dalle letture di libri pensati da cani, ricordi sopiti ma pur presenti in stand-by come un sottofondo a ultrasuoni nella sua mente. Il problema è che gli ultrasuoni, solo il cane li può sentire, l'umano no. E quindi, anche lì, sti cani avevano intelligenze un po' troppo umane.

Un cane con un'intelligenza e un sentire canino è un essere di rari fedeltà e amore animale incondizionato,
è uno che non solo se ne sta pasciuto e presumibilmente felice con il padrone bravo e affettuoso,
ma che se ne starebbe anche con un padrone che lo picchi, denutra, faccia dormire in un letto di spine, insulti e sbeffeggi, senza mai portarlo a passeggio, in modo tale che il giaciglio spinoso diventi anche merdoso.
Se per caso il padrone lo abbandona sbattendolo in autostrada giù dalla macchina con un calcione, lui lo rincorre a perdifiato per stare con lui sempre, finché schiacciamento o flipper contro macchine a velocità impazzite non li separino, cosa che tra l'altro era già successa con il calcione, ma lui non se n'era mica accorto, di poter almeno ipotizzare un'altra vita prima di sacrificarsi per uno che si era appena disfatto di lui.

Un cane con un'intelligenza e un sentire canino
- ed è per questo che così tanta gente se ne prende uno -
è il più fedele amico dell'uomo
senza che l'uomo sia il più fedele amico del cane.

lunedì 20 giugno 2016

Frammenti di vita


Quando sei ad una finestra, assorto a contemplare il panorama che hai davanti, ecco che passa, su una stradina all'orizzonte, un ciclista. Lo vedi per il lasso di tempo e percorso permesso dallo spazio tra i due battenti, dagli ostacoli che ci sono tra te e lui. Poi, tra le finestre che punteggiano una casa, senti uno sbatacchiare di persiane, che vengono aperte, e dentro vedi due persone che parlano: chissà cosa si dicono. Poi, cambiano stanza, spariscono alla tua vista.

E tu stai lì, a chiederti cosa ci fosse, prima di quell'istante, cosa ci sarà dopo e, in fin dei conti, anche durante quell'attimo in cui hai visto la vita d'altri alla chetichella, di nascosto, come uno spione, come un pettegolo che vuole sapere i fatti degli altri.

Ma è pettegolezzo?
E' spionaggio?
O è l'indagine della fantarealtà di un pezzo di vita altrui, di qualche sconosciuto, tipica del cantastorie?
Se uno è stonato, può fare lo scrivistorie.
Se poi ha una dizione penosa, non può nemmeno leggerle agli altri, ma per fortuna gli altri possono leggersele da soli.
Se non sa scrivere, fa l'immaginastorie e se le tiene tutte dentro la testa.

Solitamente la gente è quella che passa; non sta tanto tempo alla finestra, a meno che non sia vecchia, con un arto rotto (e il letto ragionevolmente vicino all'apertura), riflessiva.
E dato che tutti passano e pochi si fermano, perché pochi sono vecchi o rotti, perché pochi riflettono, sarà poco probabile che, quando si è quello che passa, si sia osservati da qualche scrivistorie o immaginastorie.

C'era uno scrittore che aveva passato ore giorni mesi seduto al tavolino di un bar, e aveva scritto tutto quello che succedeva intorno a lui, tutte le persone che passavano, come passavano.
Bello, mi ero detta.
Lo farò.
Poi non l'ho fatto.
E' raro farlo.

sabato 18 giugno 2016

Indicazioni terapeutiche: lenitivo di pensieri distorti

 
Quando uno non è proprio obeso, o non vive trascinandosi dal letto alla sedia, dalla sedia al sedile dell'auto e così via,
e quando,
al contempo,
è disperato o in balìa di sentimenti poco piacevoli come rabbia gelosia invidia odio o altri o tutti quelli elencati e altri insieme,
capita che si metta a pensare.
E questi pensieri, soprattutto quando c'è balìa, sono raramente costruttivi e ordinati.
Generalmente invadono la mente come un'orda incontrollata onnidirezionale diserbante tipo Attila re degli Unni con tutto il suo esercito di Unni.

Vi state chiedendo cosa c'entrino con tutto ciò l'obesità e la sedentarietà?

Ve lo dico io.

Quando uno versa in queste condizioni, il miglior lenitivo dei pensieri barbarici sommergenti e disorientanti è praticare uno sport aerobico fin quasi allo sfinimento, e comunque per lungo tempo.
E' un po' strano a dirsi, soprattutto in quanto l'opinione comune vuole che il pensatore sia sedentario e lo sportivo non pensante.
Nei fatti, il fondo di verità nello sportivo non pensante è proprio il fatto che quando uno fa sport non è che non pensi, ma riodina i pensieri, se non riducendoli in quantità, almeno ridimensionandoli in peso. 
All'inizio, di già che uno è girato malissimo, sopraffatto dal delirio di pensieri, trova che correre per chilometri sotto il sole o inforcare una bicicletta e pedalare tutto il giorno, oppure ancora mettersi in acqua, magari fredda, e nuotare lungamente sia del tutto contrario a umana logica.
Se riesce a partire (cosa ammessa con sforzo e di rado concessa), nei primi momenti maledirà chiunque, vomitando il sangue che gli starà girando al contrario nelle vene.
Se sarà obeso e sedentario mi rintraccerà tramite web tacking e IP e verrà a spaccarmi la faccia, se le forze lo sosterranno.
Se non sarà obeso e sedentario mi rintraccerà comunque tramite web tacking e IP, si incamminerà comunque per spaccarmi la faccia, ma le forze lo sosterranno, e ad un certo punto, così preso dallo sforzo e dall'ira funesta di spaccamento della mia faccia, si accorgerà che quei pensieri pregressi si staranno sedimentando in fondo al cervello.
Non è che saranno andati via, saranno solo sedimentati.
E allora, invece di venire da me, uno continuerà a correre, pedalare, nuotare, e penserà sempre a quelle cose rabbiose, ingelosenti, invidizzanti, odiosanti, ma planandoci su, sorvolandole dall'alto.
Man mano che le endorfine cresceranno in corpo, tutto verrà relativizzato.
Quando alla fine si interromperà l'attività, sempre che sia stata di sufficiente durata, uno si sentirà bene per un intervallo di tempo variabile tra i 5 minuti e le 3-4 ore.

Poi tutto tornerà com'era.

Tutto sommato, però, è un lenitivo che fa meno male delle droghe.
Crea dipendenza pure lui.
Ha effetto limitato nel tempo pure lui.
Ma sicuramente lo sforzo di fare sport per ore sotto il sole cocente o nel gelo paralizzante sarà minore di quello necessario a tenere a bada l'orda di pensieri negativi autodistruttivi autolesionisti.

Poi probabilmente ci si lede lo stesso
tendini muscoli ossa,
ci si consuma lentamente,
ma più velocemente che a stare fermi immobili,
però si sa,
la vita è
per definizione
degenerazione.

giovedì 16 giugno 2016

Ma la noia no

C'è uno stato, un modo di sentirsi, una situazione che dovrebbe circolare nel mondo anticipata dal cartello segnaletico di pericolo.

LA NOIA.

La noia è un adipe che si attacca a ossa tendini muscoli e blocca progressivamente i movimenti fino alla paralisi totale.
E' quel grasso che invade le vene e fa rallentare il sangue di più, sempre di più, finché si ferma.
E' il bastone tra le ruote del metabolismo della vita.

Sembra innocua, perché non fa star male di colpo, come una disperazione, che ti prende e ti sbatacchia e ti fa roteare a gambe in su e testa in giù, e ti fa sbatacchiare negli spigoli del mondo, e ti travolge come quelle onde grosse sulla riva della spiaggia, che non sai più dov'è il cielo e dov'è il suolo e dove sei tu.

Ché poi, se ci pensi, è un po' lo stesso effetto di una felicità violenta che ti coglie di colpo. Solo che in quel caso non ti accorgi di nessuno spigolo e ti fai prendere dalla vertigine del vorticare fino a sentirti ubriaco di gioia.

La noia può diventare uno stato cronico;
tutte le altre sensazioni negative
o si risolvono in qualche modo,
in bene o in male,
o si trasformano loro stesse in noia.

Perfino la disperazione,
se non porta alla morte,
volontaria o meno che sia,
o si risolve positivamente, terminando,
oppure diventa noia.
Mi dispero oggi,
mi dispero domani,
mi dispero dopodomani,
alla fine mi assuefaccio alla disperazione
e mi annoio.

Anche la paura,
che può sembrare una roba brutta,
a parte che stimola il metabolismo,
il pensiero,
la reazione,
se dura tanto
o si affronta passivamente,
diventa pure lei paralisi
e la paralisi, si sa,
dopo un po' annoia.

E la felicità che fa?
Prolungata nel tempo diventa serenità.
La serenità che fa?
Prolungata nel tempo crea assuefazione.
Soluzioni?
O la correggi con la giusta dose di angoscia,
con un po' di iniezioni di adrenalina,
o ti arrendi all'assuefazione,
cosa che diventa noia.

Piuttosto che annoiarti
disperati in modo discontinuo,
abbi momenti di gioia intensa,
prova paure terribili
ma affrontale di petto.

Piuttosto che annoiarti,
fatti venire l'ulcera per la disperazione,
però poi fattela passare,
almeno la disperazione,
dato che forse l'ulcera tende a cronicizzarsi.
Anzi, rallegrati così tanto da farti passare pure l'ulcera,
e mantieni quella costruttiva angoscia di fondo
che ti dice che la contentezza finirà
e tornerà la disperazione,
almeno quel tanto che basta
per non dimenticarti che merita essere contenti.
Ma tu rallegrati lo stesso,
buttati nelle cose che ti rendono felice adesso,
perché l'alternativa al non rallegrarti
per non disperarti dopo
è la noia.

Ma la noia no.
Tutto, ma non lei.
La noia
decisamente
NO.

martedì 14 giugno 2016

Telefonate di rara piacevolezza


Quando devi dire a dei genitori che i loro figli, sangue del loro sangue, pelle della loro pelle, eccetera eccetera, sono stati segati a scuola, sono brutti momenti.

Quando devi dirlo al telefono, sono ancora più brutti, o un po' meno brutti, ma comunque brutti.
Dipende dal rapporto che hai con il telefono.

Per quanto mi riguarda, fin da piccola ho sempre avuto una patologia da cornetta. Ho passato pomeriggi interi a contemplare il telefono grigio con su quel dischetto rotante con tutti i numerini intorno. Se il numero da comporre aveva degli 1, 2, 3, facevano un giro così lungo che quasi sempre bloccavo tutto con una manata prima che dall'altra parte una voce senza volto potesse rivolgermi il famigerato "pronto". Non parliamo poi delle reazioni al suddetto, che variavano dal mutismo da maniaco alla chiusura della comunicazione, con tutta una variegata serie di situazioni intermedie. Dopo venticinque tentativi di composizione del numero e 47 chiamate da maniaco, riuscivo a dire con un flebile filo di voce che ero io e che volevo ringraziare la maestra per quello che aveva fatto per me nell'anno scolastico. Sì, perché le telefonate che dovevo fare da piccola erano sempre quelle alla maestra.

Se una volta uno era terrorizzato all'idea di chiamare la maestra per ringraziarla, figurarsi quando poi diventa lui il maestro, anzi il prof, ché se il maestro boccia qualcuno sono davvero cose dell'altro mondo, ai confini della realtà.
Se invece il prof è prof di un professionale, i confini della realtà sono rasentati da chi è promosso senza sospensione in nessuna materia. Lo sventurato coordinatore, forte della congrua retribuzione di circa un centone all'anno (sì, avete letto bene, ho scritto bene, siamo tutti bravi scrittori e lettori. All'anno, non al mese), prende l'elenco dei componenti della classe e chiama la metà circa dei genitori, quando va bene, per informarli che il sangue del loro sangue, la pelle della loro pelle eccetera eccetera non ce l'ha fatta.

Il tono da assumersi può prendere a prestito quello a macchinetta dei centralinisti che non portano pena perché ambasciatori. Ancor meglio, si può scrivere un testo freddissimo su Textaloud e lo si fa leggere dalla voce sintetizzata direttamente alla risposta del genitore. Si può iniziare con "Questo è un messaggio preregistrato: è pregato di ascoltare in silenzio, non obiettare in nessuno modo e chiudere la comunicazione al termine".
Se si opta per la versione funerario-sentita, si può chiamare di persona con tono plumbeo. Le parole vanno cercate nel profondo del proprio cuore. Frasi come "Suo figlio è un emerito deficiente", "Suo figlio non capisce una mazza, è meglio se va a raccogliere pesche", "Suo figlio dice percussioni per ripercussioni", se scaturissero mai dal profondo del cuore, sarebbe meglio che ci rimanessero. Meglio tutto sommato che scaturiscano dal profondo della raccolta delle banalità accettabili, soprattutto se - e non lo si sa - l'interlocutore ritiene che la propria prole sia la continuazione di se stesso, e in quanto tale possa riscattare i propri insuccessi.
Dire che il figlio è un idiota equivale a dirlo al genitore.
Dire che il figlio non ce la fa equivale a dirlo al genitore.

Insomma, l'annuncio è spiacevole.

Ma infatti, perché sbattersi tanto?

Meglio usare Textaloud e ignorare la seconda delle mie opzioni.

Il suggerimento è grandioso, ma ha un inconveniente: non funziona dal vivo.

sabato 11 giugno 2016

Racconto un sacco di balle, ma non ti ho mai mentito


"Dimmi la verità", "In verità vi dico...", "Voglio sapere tutta la verità!", "Se saprò la verità potrò decidere".
Verità, che bella parola.

  1. verità
    ve·ri·tà/
    sostantivo femminile
    1. 1.
      Rispondenza piena e assoluta con la realtà effettiva.
      "controllare la v. di un'asserzione"
    2. 2.
      Affermazione di un contenuto ideale, accettato come basilare dal punto di vista religioso, etico, storico 
      "Dio è fondamento d'ogni v."

    3. Origine
    Lat. veritatem, der. di verus ‘vero’ •fine sec. XIII.

Bene,  partiamo dalla prima definizione. 
La verità è la rispondenza piena ed assoluta con la realtà effettiva. 
Sembra facile. 
E' chiaro che uno vuole saperla, questa verità, così conosce perfettamente la realtà ed è a posto. Ovvio che possa decidere meglio se sa. 

Già la seconda definizione lascia un po' di più con l'amaro in bocca. Ideale, hum. Ma ideale vuol dire difficilmente ricongiungibile con il reale, che è sempre corrotto da una serie tale di impicci che tanti scrittori si sono messi lì a scrivere romanzi interi basati su un ideale che viene poi definito utopia, che, per definizione, è tutto il contrario di realtà:

utopìa s. f. [dal nome fittizio di un paese ideale, coniato da Tommaso Moro nel suo famoso libro Libellus ... de optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia (1516), con le voci greche οὐ «non» e τόπος «luogo»; quindi «luogo che non esiste»]. – 1. Formulazione di un assetto politico, sociale, religioso che non trova riscontro nella realtà ma che viene proposto come ideale e come modello; il termine è talvolta assunto con valore fortemente limitativo (modello non realizzabile, astratto), altre volte invece se ne sottolinea la forza critica verso situazioni esistenti e la positiva capacità di orientare forme di rinnovamento sociale (in questo senso utopia è stata contrapposta a ideologia). 2. estens. Ideale, speranza, progetto, aspirazione che non può avere attuazione: la perfetta uguaglianza fra gli uomini è un’u.la pace universale è sempre stata considerata un’u.queste sono utopie!

Già solo a leggere e incrociare le due definizioni, a uno viene un leggero mal di testa. 
Se la verità deve avere piena corrispondenza con la realtà, ma al tempo stesso è l'affermazione di un ideale che nella realtà non può esistere, ecco che iniziano i problemi che fanno sì che ci arrovelliamo su questa benedetta verità vita natural durante. 
E infatti anche gli scrittori che volevano scrivere romanzi utopici, alla fine ne hanno scritti molti di più distopici, dove questo ideale si deforma in un anti-ideale che si accartoccia su se stesso. Anzi, proprio l'utopia, che a qualcuno era sembrata ideale, finisce per diventare trappola da cui qualche personaggio, solitamente il più figo di tutti, fugge e crea un ideale suo personale. 
E in tutto ciò che succede? Che uno ha un ideale, un altro un altro. Ma se ideale vuol dire verità, come vuol dire anche contrario della verità, allora ognuno avrà una sua verità personale, che è al tempo stesso il contrario della verità. 
Ognuno dice la verità e al contempo mente a se stesso, dicendosi ogni cosa che si dice. 
E quando qualche assetato di verità gli pone una delle domande con cui inizia questo post, cosa può rispondergli? Quello che ha in testa, che pensa sia la verità, ma che è anche l'anti-verità, e che in più cambierà tra dieci secondi, o un giorno, o un anno, o mezza vita, o forse una vita intera, o magari sopravviverà alla morte?
Come si fa a essere sinceri?
Come si fa a essere bugiardi? 
Non si riesce manco volendo né a fare una cosa né a fare l'altra, forse perché la verità non esiste se non per un istante tremolante e confuso, forse perché non la si capisce, forse perché non la si riesce a raggiungere. 

Già se ci si trova davanti qualcosa di banale come la scelta di un cibo, e viene chiesto "Quale cibo preferisci?", si può rispondere quello che passa per la testa in quel momento, con quel livello di appetito, con lo stato di salute di quel momento, con quell'umore. Si è sinceri in un certo qual modo, ma poi, quando già la portata arriva e si inizia a mangiare, viene in mente che forse si sarebbe preferito altro, che quel cibo è un po' secchetto o acquoso o oleoso o stopposo, che, mano a mano che la sua utilità marginale diminuisce, di sto cibo non frega più quasi niente, che non è più preferito, e la verità di dieci minuti dopo è già diversa da quella di dieci minuti prima. 
Si è mentito senza volerlo, senza saperlo, senza poter fare altrimenti. 
Se poi quello che ci ha cucinato il presunto cibo preferito ci chiede come sia, sorridiamo, deglutiamo a fatica il boccone, che passa in gola con un attrito da far pensare di averla rivestita di velcro, abbozziamo un sorriso e rispondiamo "buonissimo". Un'altra menzogna. In undici minuti due menzogne. 

Figurarsi se vengono poste le domande su scritte su argomenti cangianti ed astratti come i sentimenti. Prima cosa, uno dovrebbe avere chiara a sé la risposta. 
Poi, i due interlocutori dovrebbero avere in mente la definizione di alcuni termini. Spesso, anche se ce l'hanno chiara, è diversa da quella dell'altro. 
Pensiamo a termini come "amicizia", "amore". Ognuno ha il suo concetto. 
In terzo luogo, serve una padronanza dell'espressione nella comune lingua che difficilmente entrambi gli interlocutori possiedono, a giudicare dalle valutazioni in italiano della popolazione scolastica, ma anche - e di più - dal risultato di qualche chiacchiera per strada o al bar o in macelleria, nonché da quello che tocca leggere nelle relazioni o sentire dalle bocche di presunti conoscitori della lingua italiana.
Anche se emittente e ricevente possiedono padronanza elevata, potrebbero decodificare il messaggio in modi diversi, del tutto soggettivi. 
Detto tutto ciò, che già da solo assicura una quasi totale fallimento dell'aspirazione alla verità, si aggiunge che, anche con la padronanza suprema della lingua, la chiarezza della definizione, la sintonia della comunicazione, certe astrazioni sono davvero complesse e difficili da riconoscere e definire. 
Ci si può provare in un dato istante, una data situazione.
Quasi sicuramente non ci si riuscirà. 
E se mai ci si riuscisse, 
molto cambierebbe in breve. 

Insomma, alla fine si dicono un sacco di balle anche quando non si è mai mentito. 

venerdì 10 giugno 2016

Perfomance auspicate dal monaco vestito


Li vedi, gli incompetenti, vestiti di tutto punto, infagottati in tenute tecniche che più tecniche non si può. 

Li vedi sulle piste ciclabili piatte, su biciclette che manco il triciclo di tuo figlio, ma dotati di fondello della Santini, maglietta tecnica della Briko, casco superleggero POC, giacchino tecnico della Castelli. Tremolano un po', non hanno il controllo del mezzo, appena arrivano ad una curva s'inclinano di lato finché il baricentro cade fuori dall'area d'appoggio e franano al suolo dopo aver percorso i 150 metri che separano casa loro dalla pista. Ovviamente sono attaccati alla bici con sgancio rapido della Shimano top di gamma, tanto per scartavetrarsi meglio sulla granella pietrosa. 

Li vedi correre su piste ciclabili, che ti chiedi pure perché debbano stare con i piedi dove si deve stare con le ruote, e li superi mentre ti fai la passeggiatina della domenica con il tuo cappottino, la gonnellina a pieghe e le scarpe con il tacco quindici. Sono dotati di pantalone aderente traspirante Adidas, se sono donne reggiseno sportivo contenitivo traspirante dry tec hyper fit mega run della Triumph, se sono uomini canotta traforata extra dry in lightgoretex della Nike, scarpe da corsa Asics megarun con cuscinetto magnetico tipo ottovolante giapponese di Mirabilandia, occhiali da corsa Saphilo modello Approach con nasello a due posizioni regolabili dotato di set di 3 lenti per ogni condizione di luce. 


Li vedi nuotare con costume intero in pelle di squalo della Arena Shark line, occhialini Speedo Fastskin antiattrito appuntiti per fendere meglio l'acqua clorata della piscina, contavasche con tutti i sistemi più all'avanguardia inclusivi di gps, ora, radio, tv on demand, comando per far cuocere il risotto al Bimby quando si sta finendo di nuotare, sveglia caso mai ci si addormentasse nuotando. E il rischio narcolessia è grande, perché la velocità di nuotata è di circa una vasca (da 25 m) al quarto d'ora. E poi si sa, il nuoto facilita il sonno.


La domanda che sorge spontanea alla vista di cotanto spettacolo è: PERCHE'?

Forse costoro si sono persuasi che se si attrezzano di tutto punto e si convincono di essere al top della tecnica, automaticamente il loro corpo risponderà positivamente.

Una specie di psicosomatica del look. 
E poi si sa,
l'abito non fa il monaco,
ma un monaco in perizoma e infradito non è mai stato visto di buon occhio. 
Tanto vale partire dall'abito.
Che chi ben inizia è quasi a metà dell'opera. 
Anche se Zenone insegna che 
è superare la metà 
il gran problema

mercoledì 8 giugno 2016

Limiti

I limiti, nella nostra mancanza di libertà etero ed autoindotta, provengono da fuori e da dentro di noi.
Quelli che sono dentro di noi subiscono il magnifico influsso di un sacco di variabili, tra cui le nostre autovalutazione, autostima, pigrizia.
Quanto più le prime due sono irreali e la terza elevata, tanto più i nostri limiti saranno sfasati.
In un grafico cartesiano della nostra vita possiamo vedere:

  • l'asse delle ascisse come traccia del tempo che passa sempre più velocemente man mano che la pendenza della china verso la fine aumenta, e che ogni tanto prende un viadotto in qualche buco nero per capovolgersi e contrarsi e dilatarsi e sorprenderci;
  • l'asse delle ordinate come indicazione delle possibilità di azione e di andare giù o su nell'estensione dell'ambito delle stesse. Queste ultime cambiano radicalmente da persona a persona, in base all'importanza che ognuno attribuisce alla variabili della vita, alle capacità, alle aspirazioni.
Sul piano definito dai due assi, uno avanza, fluttuando tra due linee che descrivono l'andamento:
  • del limite inferiore: ognuno ha una coscienza, più o meno veritiera, di quanto in basso può spingersi. L'unico modo per sapere è arrivarci, al limite minimo presunto. Magari si scopre che in realtà non ce la si fa, che si è superiori a quanto si pensava. Ad esempio, la resistenza alla casa sporca può essere stupitivamente inferiore alla aspettative. Ci si potrebbe sorprendere armati di guanti in lattice e sgrassatore in tempi molto più brevi dei presunti. In altri casi, invece, si vede che si vive tranquillamente al di sotto di ogni limite immaginato. Si lascia che la propria casa sparisca sotto una coltre di polvere briciole capelli peli grasso tale da impedirne il discernimento. Uno si ritrova a stupirsi di non riuscire più a individuare il divano o il lavello della cucina, immerso in polvere briciole capelli peli grasso fino alle ascelle prima che gli venga l'idea di inforcare il kit della massaia. Forse lo farà quando la coltre raggiungerà il suo naso, impedendogli pure la respirazione. 
  • del limite superiore: apparentemente più innocuo di quello inferiore, è lui il maggior responsabile del fallimento delle nostre vite. Se uno sbaglia, è fregato. 
    • chi lo stima troppo in alto non è così fregato. Infatti cercherà di raggiungerlo, saltellerà per appendersi alla linea di andamento, ma non ce la farà. Ce la metterà tutta, userà ogni risorsa, e al massimo capirà di essersi sovrastimato. Sarà frustrato da se stesso, ma almeno avrà raggiunto il suo reale limite superiore, cosa che tutto sommato non è così frustrante. Se è un minus habens, il suddetto sarà basso, ma raggiunto. Diciamo che se uno è un minus habens forse non si pone nemmeno il problema del raggiungimento del limite. Vive sereno e inconsapevole e basta. Poi muore, sempre sereno e inconsapevole. Per incorrere nella frustrazione s'ha da essere almeno medius habens. 
    • chi lo stima troppo in basso, invece, si frega davvero. Non prova nemmeno a raggiungere i punti superiori alla linea di andamento della funzione del limite più alto, erroneamente posta a pochi centimetri dalla sua testa. Potrebbe saltare molto più su, ma si accontenta per bassa autostima. Sceglie un lavoro che lo ammorba perché non si sente in grado di farne uno che gli piacerebbe, si lega a un partner che trova alla sua irreale e solo presunta bassezza, in modo da non essere devastato da un'irrazionale gelosia per uno che potrebbe davvero piacergli. Tutto quello che fa, lo fa senza dare il massimo. Corre solo facendosi preventivamente lo spruzzino antiasma perché pensa che senza morirebbe, va in bici con il motore perché senza motore ritiene di non farcela. Ma saprà se ce la può fare solo quando butterà via lo spruzzino e pedalerà su una bici senza motore (anche perché se prova a fare una salita con la bici con il motore da 20 kg, a meno che non si sottostimi tantissimo, muore). Certe cose che gli sembrano totalmente al di sopra delle sue possibilità non le farà nemmeno. Lo incuriosiranno, lo attireranno, ma le archivierà in un angolo recondito e difficilmente raggiungibile del suo cervello, fino a dimenticarle, o a credere davvero di averlo fatto. 
Quando uno ha il limite minimo abbastanza in alto e quello massimo abbastanza in basso, si ritrova a strisciare schiacciato dalle due linee, finché potrà anche capitare che si ritrovi in una situazione tipo Indiana Jones quando gli si comprimono sopra e sotto due pareti di roccia e lui corre finché non esce miracolosamente dalla morsa di pietra e si salva. Ma Indiana Jones è un film, nella realtà uno muore schiacciato lì in mezzo.

Alla fin fine è meglio porre 
il limite basso molto in basso,
quello alto molto in alto,
almeno uno è libero di fluttuare su e giù,
respira più metri cubi di aria,
ha panorama sulle possibilità,
s'industria per far diventare realtà quelle che gli piacciono,
scarta quelle che non gli ispirano,
ha più scelta,
infingarda ma ossigenante,
insomma, 
vive. 

lunedì 6 giugno 2016

L'ira funesta


Uno è lì che si fa la sua vita, cercando di barcamenarsi alla bell'e meglio nei flutti burrascosi degli eventi, pensando che tutto sommato a furia di vivere ha imparato a gestire lo schiumino della cresta dell'onda che gli sbatacchia in faccia e gli riempie la bocca e gli irrora gli occhi e gli inonda il setto nasale mentre cerca di nuotare in qualche modo, per andare non si sa bene dove, ma si dice che sa anche bene dove.
Uno è lì che si dice che bene o male sa gestire la logica degli eventi, che sa come reagirà alla prossima onda, e che alla fin fine saprà se beccarsela dritta in faccia e resisterle mentre inspira acqua anziché aria o se immergersi di testa e passarle sotto per uscire indenne.
Uno, mentre si dice tutto questo, mentre è lì che si ripete che ormai sa, inizia a confondersi, inizia a immergersi quando si abbassa il livello del mare e a tirare fuori la testa quando arriva l'ondata increspata che gli s'infrange in faccia e gli disordina i connotati con la sua forza devastante.
Allora uno, di colpo, viene colto da uno spirito guerriero, che si mette a ruggergli dentro. Non si sa se sia guerriero contro qualcun altro o contro se stesso, così incapace di gestire la logica dei flutti; non sa bene perché rugga, ma rugge, e alla fin fine capita pure che invece di ruggergli solo dentro gli rugga pure fuori.

Le reazioni del ruggito sono molteplicemente deficienti.

  • C'è gente che si mette lì e spacca tutto. Generalmente lo fa a casa propria (che i panni sporchi si lavano in casa). Il ruggito dell'ira funesta non fa distinzioni, si avventa contro qualsiasi cosa le si pari davanti. Se uno non è un violento seriale o un assassino o entrambe le cose, solitamente si sfoga sugli oggetti. Più l'ira è funesta, più gli oggetti prescelti saranno di valore, tipo gli occhiali da seicento € di tuo figlio, che ti guarderà sbigottito mentre li calpesterai fino ad averli ridotti in briciole microscopiche, il pc nuovo da 2000 € con dentro documenti in unica copia non ancora claudificati e preziosissimi nonché urgentissimi da usare, la bici da 5600 € appena comprata e fino a quel momento custodita in una teca di cristallo su un piedistallo d'argento, e oggetti del genere, ché poi, se e quando il raptus passa, subentra l'ira funesta contro se stessi più per ciò che si è fatto che per il motivo originario. 
    • Un divertente sottoinsieme della casistica è lo sfogo dell'ira nei confronti di beni appartenenti ad altre persone, in azioni del tutto inaspettate sia dal loro soggetto che dall'oggetto, tipo tirare un calcio a un barboncino attaccato alla padrona, facendogli descrivere una perfetta parabola in cielo guastata solo dalla forza centrifuga del guinzaglio. Trattasi di un'ottima modalità per scordare totalmente le ragioni dell'ira iniziale, presi come si sarà dal cercare di difendersi dalla vittima innocente, sia essa il barboncino infuriato, che si sa, è tipicamente aggressivo, o la padrona inalberata, che, per quanto magrolina vecchia e decrepita sia, se le si tocca il cane scova in sé energie sopite. 
  • C'è gente che decide di farsi del male da sola in modi del tutto originali. 
      • Se uno è bilingue, va a scuola e deve fare un compito nella lingua che usa correntemente con uno dei suoi genitori, mettiamo l'inglese, inizierà cocciutamente a scrivere errori all'uopo, tipo "I is", fino a consegnare un compito che testimoni un quasi totale analfabetismo e un QI pari a 0,1.
      • Se uno lavora da anni anni e anni per ottenere un certo obiettivo e sta finalmente per farcela, ma subentra l'ira funesta per qualche motivo realmente o apparentemente estraneo al raggiungimento della meta, vedrà ben di far esplodere la rabbia proprio nel momento clou, tipo nella discussione finale di qualche tesi, nella riunione definitiva di qualche progetto, nella gara finale di qualche torneo. Farà qualche discorso degno di Martin Luther King, ma invece di salvare gli emarginati, il suo intento sarà quello di affossare se stesso - non saprà bene perché né percome, saprà solo che sarà -, ingenerando ondate matrioschiche di ire funeste che s'avviluppano una intorno all'altra.
      • Se uno è proprio arrabbiato e non ha compiti a scuola, né progetti quasi realizzati, né tornei, né  tesi da discutere, se la potrà prendere con sé stesso fisicamente, come quelli che arrivano a tagliuzzarsi parti del corpo variegate, tipo braccia pancia vene, ma anche in modi più cerebrali, tipo dando craniate contro il muro finché si dimentica totalmente i motivi per cui lo sta facendo e, una volta riavutosi dallo svenimento conseguente, si troverà in preda a una totale, rassicurante, reiniziante amnesia che farà sì che possa tranquillamente riprendere a vivere da zero, partendo ben lontano dall'ira finale, che comunque prima o poi si ripresenterà, essendo come gli alieni che a volte ritornano. 
  • C'è gente che inizia a fare qualcosa di sportivo e non la finisce più finché è talmente stronato dalla fatica e pervaso dalle endorfine che non pensa più a nulla, non ricorda più niente, anche perché è passato tanto di quel tempo da quando ha iniziato che la memoria è venuta meno. 
  • C'è gente che si tappa in casa, si scava un giaciglio nel divano, accende la tv su telefilm di rara demenza e di illimitate puntate, ordina cibo a caso (basta che sia caloricissimo) su Foodora a intervalli di mezz'ora l'uno dall'altro finché capienza della carta di credito possa arrivare, e vive così finché non subentreranno una vergogna e uno schifo autodiretti che impiegherà un bel po' di tempo a smaltire, in modi che rientreranno probabilmente nelle altre casistiche dell'elenco puntato. O, se non cambierà, potrà ambire all'ingresso nel Guinness del primati per l'essere umano più grasso del mondo, cosa che si rivela però essere molto dispendiosa in termini sia di pagamenti a Foodora sia di abbandono del posto di lavoro senza giusta causa sia di mantenimento in vita della propria persona.
  • C'è gente che si stordisce con sostanze tipo alcool droghe psicofarmaci. Poi va a lavorare e proprio quel giorno c'è il medico che gli fa il controllo. Avrà poco da dire che quelle "tracce" di alcool sono del propoli per il mal di gola, o che ha fatto colazione con il Pan Bauletto, o ancora che ha appena mangiato un Mon Chéri. Verrà licenziato in tronco, cosa che a volte, a vederla con un certo distacco, non è nemmeno così negativa ai fini del dissolvimento dell'ira funesta. 
In ogni caso c'è poco da fare.
L'ira funesta prima o poi arriva. 
Studiate bene le casistiche e sceglietene una o due idonee a voi,
possibilmente non troppo dannose,
magari allenatevi un po' invano,
tanto per non farvi trovare impreparati,
cosa che inevitabilmente accadrà.

venerdì 3 giugno 2016

Scelte


Molti
nascono comunisti
poi
quando invecchiano
e si sentono stanchi
di scegliere tutti i giorni
scelgono la dittatura.
La dittatura é comoda.
Scegli una volta.
Poi un altro sceglie per te.