LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 31 ottobre 2014

Ossimori viventi


Sono lì che mi sposto in città, quand'ecco che arriva una macchina con sopra due altoparlanti da cui escono "Ave Maria" e "Padre nostro" a nastro.

Dentro ci sono due vecchi vecchissimi, con la pelle gialla e cadente, ingobbiti come Andreotti. Anche la voce che echeggia sui muri di tutte le case è roca e cavernosa, tipica di un ottuagenario.

Mi avvicino un po' al bizzarro automezzo, e leggo sui vetri:

martedì 21 ottobre 2014

Piacere. Sicuro?



Una volta ci si presentava con il proprio nome, a volte anche con nome e cognome, quando le circostanze lo richiedevano.
Poco importava che poi ci si scordasse istantaneamente dei nomi di tutti.
Era uso e costume fare così.

Francamente, sarà che sono vecchia e non sto al passo con i tempi, ma avevo l'impressione che fosse ancora in voga presentarsi così.

Quest'anno, invece, vieppiù, mi accadono strani fenomeni. Conosco gente nuova per lavoro, mi presento con il mio nome, stringo la mano dell'interlocutore; questo mi stringe la mano a sua volta, tutto sorridente, e non mi dice chi è. Mi dice: "Piacere". Basta.

La prima volta ho pensato di avere il cerume nelle orecchie.
Poi mi ci sono sparata un po' di siringate di acqua calda e il cerume che effettivamente avevo ne è uscito in simpatiche concrezioni nerastre.
Il giorno dopo mi sono presentata ad altre persone ed è successa la stessa cosa. Eppure le concrezioni erano ormai nel condotto fognario torinese. Ho immaginato di essermi rincretinita.
Per quello, purtroppo, non v'è rimedio.
Potrei mettermi a fare tante parole crociate.
Dicono che servano ai vecchi per non rincretinirsi.

Mi rimane però il dubbio che davvero in giro ci sia gente che si presenta con "Piacere" e basta.
Potrebbe essere che, a furia di avere FB, uno si immagina di avere un'icona in testa con su scritti nome, cognome, hobby, città dov'è nato, città dove lavora, che film guarda, che musica ascolta, cosa pensava 10 minuti prima, cosa sta pensando ora e cosa penserà tra 10 minuti?

Ma no, non ci credo.
Vado a fare le parole crociate.

martedì 14 ottobre 2014

Non vedo, non guardo, non noto



Quando uno fa una cosa come un'escursione guidata in una città in cui vive da anni alla scoperta delle curiosità e delle particolarità, nota che in posti dove passa magari tutti i santi giorni ci sono cose che non hai mai e poi mai visto.
Forse le ha guardate, ma mica le ha viste.
E così il suo cervello non ha registrato.
O magari non le ha nemmeno guardate.

Il che significa che quando uno passa con gli occhi sulle cose mica le guarda, e ancor meno le vede.
Sarà una selezione del cervello, che se dovesse ricordare tutto scoppierebbe. Ché, tra l'altro, mica usa solo il 10 % delle sue potenzialità, le usa tutte e non gliela fa ugualmente.
Sarà una selezione naturale, ché magari, fosse stato un po' più giovane, entusiasta, un po' meno assuefatto alla vita le avrebbe notate.

Ma invece, quando è lì a fare l'escursione, alla sua età, con il suo entusiasmo, con la sua assuefazione alla vita, si sente un vero fesso, un accecato, uno che ha gli occhi nella testa solo per tenere separati il naso e la fronte e per dare un po' di colore alla faccia.

Siamo limitati.
A volte, anzi, quasi sempre, abbiamo le cose davanti agli occhi e non le vediamo.

giovedì 9 ottobre 2014

Usare e non sapere



C'è un termine abusato di cui potrei dire che, dopo sondaggio poco significativo tra gli amici e tra me e me, quasi nessuno sa in significato.

Il termine è MATURITA'.

Non parlo tanto di quella applicata alla frutta, che è chiaro che tra acerba e marcia è matura.
Forse parlo un po' del superamento dell'esame alla fine delle superiori, ché se tutti quelli che lo passano fossero veramente maturi, probabilmente avremmo un plateau di trentenni bell'e che marci.
Soprattutto, però, parlo di quella maturità intangibile, quella che tutti dovremmo avere, quella che molti sono accusati di non avere da persone a cui, confidente, ho chiesto cosa sia questa tanto decantata maturità.
Ecco, queste persone ferneticavano frasi accozzate, imbarazzate.
Ecco, queste persone che accusano molti di non essere maturi alla fine manco sanno cosa voglia dire esserlo.
E' come dire a qualcuno "tu non sei abintervo", e manco sapere cosa voglia dire abintervo. Una vera vegogna.

Alle mie domande su cosa possa essere la maturità, ho ricevuto risposte di vario tipo.

La maturità sarebbe evitare di fare cose tipo prendere e andare in India in pattini a rotelle, o comunque fare cose che sarebbero più tipiche di un ragazzino che di un adulto. Prima cosa, ciò presumerebbe che si sia maturi solo da adulti (sarà così?), seconda cosa che  andare in India in pattini a rotelle sia una cosa da immaturi tout court. Io a questo evitamento sostituirei i termini "dotato di spirito di autoconservazione", "prudente", e, a dirla tutta, se uno invece di andare in India in pattini a rotelle va tutti gli anni una settimana a Loano in una casa in affitto spiaggiandosi sotto l'ombrellone con "La Stampa" sotto un'ascella,  azzarderei anche dei "noioso", "ripetitivo", "privo di spirito d'avventura".

La maturità sarebbe evitare di entusiasmarsi tanto delle cose e rimanere tiepidi davanti a tutto affrontandolo con razionalità. Ma allora Pascoli era una gran cialtrone, quando diceva di conservare il fanciullino che c'è in noi? Perchè mai essere maturi vorrebbe dire essere privi di slanci? Io questo stato lo definirei, appunto, "piattume", "mancanza di slancio", nuovamente "noia", e soprattutto "assenza di vita vera".

Qualcuno dice che maturità sia vestirsi in un certo modo, dire le cose giuste al momento giusto, fare le cose giuste al momento giusto. Se hai i capelli lunghi sei immaturo. Se li hai corti sei maturo. Se giri come un barbone sei immaturo. Se ti vesti bene sei maturo. Se hai un lavoro serio (impiegato, avvocato, medico, dirigente,...) sei maturo, se hai lavori saltuari, strani, cangianti sei immaturo. E avanti così. Cavolo, se fosse ancora vivo Gaber, gli proporrei una bella canzone sul tema.
Se uno raggiunge dei traguardi socialmente fissati da convenzioni culturali è maturo o rientra semplicemente nella logica del sistema?

L'etimologia del termine maturo si può far derivare da un sacco di termini, soprattutto riferibili alla frutta: il provenzale madurs, l'antico francese mëur che poi diventa mür, il portoghese maduro. Dal latino, parrebbe che non si capisca bene da cosa derivi (e già questo la dice lunga). Si suppone da due termini: maturus, che vuol dire vecchio, e matutinus, che vuol dire mattino. Ma perchè? Allora uno sarebbe maturo prima, poi qualcos'altro (tipo incasinato, confuso, proprio quando servirebbe non esserlo?), e poi da vecchio di nuovo maturo? Pure quelli del dizionario non si spiegavano questa antisimmetria etimologica rispetto al processo lampante che la frutta offre a ogni individuo. Alla fine hanno fatto che dire che la radice del tutto è mâ-, che significa misurazione. Più convincenti, almeno per assonanza, anche i termini latino metiri e greco metron, che si riferiscono tutti e due al misurare o alla misura.
Quindi la maturazione è una roba che si misura, anzi è la misura. Mi viene da pensare che maturità non sia un fatto da misurare a una certa età, del tipo che a 30/40 anni si è maturi, prima si è immaturi e dopo si è marci. Potrebbe forse essere un rispettare certi traguardi in base all'età che si ha, del tipo che a 3 anni essere maturi è non cagarsi e pisciarsi più addosso nutrirsi rugnare limitatamente, a 10 saper leggere scrivere far di conto e non rompere troppo le palle ai genitori ma manco ingnorarli di brutto. Crescendo, i parametri da rispettare aumentano e allora lì si spiega perchè questa maturità potrebbe esserci prima, dopo, ma non durante. Si sa che la vita è una parabola con la pancia rivolta verso l'alto, prima  sali, poi scendi.


Da vecchio sei come da bambino. Ti sono richieste poche cose, generalmente le stesse: non cagarsi e pisciarsi addosso, ubbidire, non brontolare troppo...e allora magari (raramente) ce la fai a raggiungerle. In mezzo te ne sono richieste talmente tante (tagliarsi i capelli se si è uomo e si ha la fortuna di averli ancora, avere un bel lavoro, non fare cose strane tipo sport strani viaggi strani non frequentare posti inadatti alle persone mature (cioè?) non frequentare persone immature ecc ecc ecc).  Ma chi è che te le richiede? Chi è che stabilisce quando rispettare questi step? La società.


E allora, alla fine, uno potrebbe dire: ma perchè tutto ciò? In questo perdo di spontaneità, vivacità, gioia di vivere. Mi sento tarpato da tutti questi limiti. Forse, potrebbe dire, maturità vuol dire rispettare se stessi e gli altri. Evitare di far star male le persone con il proprio comportamento, il che presume una certa empatia con loro e non il seguire un rigido manuale. Ma questo è maturità? No, questo è "rispetto". Bello, necessario e soprattutto molto più chiaro.

Insomma, per ogni comportamento c'è un termine più idoneo, e questa grande, irraggiungibile maturità è così difficile da definire che quasi quasi la lascerei alla frutta.

martedì 7 ottobre 2014

Influenze e parainfluenze


Quando arriva ottobre, irrimediabilmente arrivano le forme parainfluenzali. Non bastavano quelle influenzali, ci vogliono pure quelle para. Francamente, le paraolimpiadi mi stanno più simpatiche.
E' che quando una cosa è bella, quella para è anche bella.
Se è brutta, quella para rompe decisamente la palle.

E allora uno si attrezza in tutti i modi per evitare di prendersi sia quella normale sia quella para, di influenza.

Si lava le mani con il sapone per 15 secondi ogni ora, non tocca niente che sia stato toccato da un infetto, se lo tocca si rilava le mani per 15 secondi con il sapone (all'uopo gira con il sapone in tasca o in borsa, a volte seguito da una scia di bolle). Prende l'Oscillococcinum, lo zinco, l'olio di ricino, la vitamina C, si riempie di zenzero, rosmarino, infusi di foglie d'ulivo, the verde e quintali d'aglio. Con l'aglio, tra l'altro, risolve pure il problema di avere vicino gente contaminante. Anche non contaminante. Insomma, risolve il problema di avere vicino gente. Se mai fosse un problema.

Dopo che si è così attrezzato, impazzisce nell'evitare i comportamenti a rischio. In autobus non tocca niente, schiantandosi al suolo alla prima curva brusca. Sul luogo di lavoro si lava le mani compulsivamente ogni volta che tocca qualcosa appartenente a colleghi malaticci. Usa e getta una quantità di fazzoletti di carta da disboscare quel che resta delle foresta amazzonica.

Risultato?
Ovvio, si stressa così tanto che alla fine le difese immunitarie gli si abbassano e si prende una bella parainfluenza, preparatoria di tutte le altre parainfluenze a loro volta preparatorie della megainfluenza vera.

sabato 4 ottobre 2014

I giorni dell'abbandono (del blog)

http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=35892

Quando uno smette di scrivere post a raffica, ché se una volta non riesce a scrivere si sente male, gli sembra di tradire gli innumerevoli (nel senso che non si possono contare...provateci, a contarne zero) lettori, capita che abbandoni il blog.
Prima il blog c'era, era parte della propria vita, e ll'improvviso c'è ancora ma viene dimenticato.
Poi, ogni tanto, non si sa come, non si sa perchè, ci si ricorda che esiste (o esisteva).
Ma si è terribilmente arrugginiti, con la mente fuori dal blog-mood da un sacco di tempo.
E' impensabile come in un periodo della propria vita ogni piccola cosa fosse materiale per scrivere post interessanti, con finali ad effetto, e adesso niente si presti più ad essere scritto.
Il mondo intorno è sempre uguale, è il blogger che cambia.
E che diventa un non-blogger.
Un non-osservatore.
Uno che lascia che la vita gli scorra intorno senza guardarla, apprezzarla, descriverla, giocarci.