LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 30 novembre 2012

Budget previsionale


Da un po' di tempo, perlomeno a Torino, stanno sbucando negozietti di sigarette elettroniche in ogni vetrina prima occupata da fallimentari esercizi commerciali. Dato che i falliti sono tanti, sono tanti pure i suddetti negozietti.
Appena ho visto questo strano proliferare, mi è subito nata una serie di dubbi di universitaria memoria: sarà un'attività economicamente lucrativa? Ha senso aprire un simile negozietto? E soprattutto, nel lungo periodo, che budget previsionali avranno tirato giù questi pionieri del fumo vaporoso denarghilificato?

La risposta che mi sono data a primo acchito è stata che:
  • primo, molti hanno già smesso di fumare con la legge antifumo, forse l'unica legge italiana che sia mai stata misteriosamente rispettata da così tante persone, contrariamente rispetto all'estero, dove esiste ma è spesso una delle meno rispettate (effettivamente anche questo mistero meriterebbe un post, ma si vedrà).
  • secondo, quando quelli che ancora fumano avranno finito di fumare, che accadrà? Che faranno questi poveracci? 
E così ero molto scettica a vedere tutti sti negozietti, anche se in ogni casa in cui vado ultimamente ci sono almeno due o tre sigarette elettroniche in carica.

Il secondo acchito ha tardato molto ad arrivare, ma è arrivato.
 Ieri.
Ero in aula.
Un alunno mi dice "Ahò Prof, stia attenta che lì sopra c'è in carica un pezzo della mia sigaretta elettronica!".
E io: "Ma tu fumi?"
E lui: "No"
E io: "E allora che te ne fai di quella?"
E lui, con un sorrisone stampigliato in faccia: "Beh, sto imaprando a fumare la sigaretta elettronica! Fa un sacco figo!"

mercoledì 28 novembre 2012

Buio cinematografico


C'è un film che sono andata a vedere non perchè l'avessi deciso ma perchè era gratis.
Non so perchè, ma ero abbastanza restia.
Dopo averlo visto, ho capito che ho un sesto senso cinematografico. Anzi, per non peccare di presunzione, diciamo che l'ho avuto, almeno in quell'occasione. Poi magari pecco lo stesso, il film piacerà a tutti e io non capisco una mazza di film (cosa possibilissima). Ché tra l'altro non è che non mi sia piaciuto, anzi è proprio così: non mi è piaciuto, ma perchè mi ha comunicato quello che forse voleva comunicare. E sotto questo punto di vista potrebbe essere visto come un film riuscitissimo.

L'inizio è in rumeno. Fare film sugli immigrati va di moda. Con i sottotitoli, senza doppiaggio, fa tanto d'essai (che poi, infatti, il film era gratis perchè era in una rassegna di film d'essai, quindi ci sta).
Pochi dialoghi.
Musiche angoscianti.
Belle ma angoscianti.
Probabilmente l'intento era comunicare angoscia.
Intento raggiunto in pieno. 

Ecco.
Se l'intento è l'angoscia con "tolleranza zero e zero futuro", allora è centrato e il regista è un grande.

E' bello perchè, a parte la musica angosciante, i dialoghi angosciantemente scarni, le vite angoscianti dei personaggi, a volte sembra che ci siano delle svolte.
Uno si dice evvai, ora le cose girano meglio.
Per esempio, pare che la protagonista una volta immigrata in Italia possa stare meglio?
No, va a fare la badante di una moribonda.
Prima aveva una casa, ora vive da gente che la ospita per pietà o per utilitarismo.
Pare che la coetanea che la accoglie in casa sua possa esserle amica, che abbiano punti in comune?
Ma figurarsi, a ognuna la sua vita. C'è un abbraccio verso la fine, ma non vuol dire quasi nulla. Giusto un po' di solidarietà umana per avere la stessa sfiga cosmica. 
L'altra protagonista, l'italiana, sembra trovare una nuova dimensione iscrivendosi all'Università a Napoli dopo la chiusura dello stabilimento dove faceva l'operaia?
Ma figurarsi, lo stabilimento riapre e lei torna a far l'operaia.
Pare che a Napoli ci sia un ragazzo carino interessato a lei che la invita a una festa?
Ma va', alla festa non lo trova e rimane angosciata a ballare da sola in un abito scintillante.
La donna che trova la protagonista a Melfi potrebbe essere, anzi è sua madre?
Sì, ma non c'è nessun bell'incontro, anzi, lei non la sopporta. Il sacrificio che ha fatto per mantenerla a distanza, come molte badanti che vengono in Italia e mandano i soldi ai parenti, la schifa, perchè i soldi non hanno potuto sostituire una madre.
La madre anche è messa bene: si è trovato come compagno una specie di protettore, che la tratta malissimo, ci prova pure con la figlia, e cerca di istigarla alla prostituzione.

Uno si alza dalla poltrona del cinema che pensa beh, sono proprio fortunato, nella mia vita normale ogni tanto me ne va bene qualcuna.

Hitchcock diceva che il cinema è come la vita senza le parti noiose.
Ecco, questo film è come la vita con le parti noiose, e senza le parti belle.
Forse forse, dopo, è meglio vedersi "La vita è bella".
Anzi, più che il film, è meglio leggere solo il titolo.
Ché se no poi ci si rirattrista.

lunedì 26 novembre 2012

Qundo lo stadio è pieno...


Quando uno è così distratto dalla vita dalla crisi dalle distrazioni da comprare dei biglietti per uno spettacolo la sera che ha già una riunione vitale o un altro impegno improrogabile, nonostante la programmazione del suddetto si protragga per una serie di altre sere in cui avrebbe solo da guardare se nel muro di casa ci sono crepe nuove, iniziano i pasticci.

Lo spettacolo è importante, magari è anche corredato da un biglietto regalo identico, che si fa ad una persona che quella sera lì ha già una riunione vitale o un altro impegno improrogabile, nonostante la programmazione del suddetto si protragga per una serie di altre sere in cui avrebbe solo da guardare se nel muro di casa ci sono crepe nuove. Si rischia anche che la persona in questione si senta presa in giro.

E' vitale cambiarlo, sostituendolo con un'altra serata.

Se si comprano i biglietti su ticketone.it, questi sono insistituibili. Il 90% dei biglietti si comprano lì, e, ovviamente anche quello in questione. C'è un'assicurazione annullamento, ma costa. Già il biglietto costava, nonostante si trovasse dietro l'ultimo palo dell'ultimo anello di un mega palazzetto dello sport. Figurarsi se si è fatta l'assicurazione.

Si inizia a pensare a come fare.
Prima bisognerebbe piazzare i biglietti sbagliati, altrimenti si rischia di trovarsi con quattro biglietti, due giusti e due sbagliati.

La prima fase è detta dell'analisi dell'ambiente prossimale. Si sonda il terreno dei noti, per capire se qualcuno è interessato ai biglietti sbagliati, che magari per lui sono giusti. Alcuni noti faranno delle amabili mosse, dicendo che li prendono. Si sarà quasi felici e sollevati. Si riempirà gà il form di ticketone per il giorno successivo, quello giusto. Al momento di dare invio al pagamento, la persona nota dirà che non ha senso comprare dei biglietti detro l'ultimo palo nell'ultima fila di un palazzetto dello sport, e che è meglio vedersi lo spettacolo in tv piuttosto che accecersi per scorgere omini grandi come capocchie di cerino.

Si passa quindi alla seconda fase, quella del buttarsi nell'ambiente europeo:seatwave. Trattasi di sito di origine spagnola utile a piazzare biglietti che, per permettere di recuperare tutti i soldi spesi e non uno di più, impone la fissazione di prezzi per gli acquirenti di circa il doppio di quello nominale. La fase europea fa sì che si sia ancora oculati, e si immetta un prezzo esorbitante che possa coprire tutta la spesa.

Con una rapida occhiata, durante la fase investigativa, dei posti ancora disponibili su ticketone a un prezzo molto minore di quello che ti pemrette di recuperare l'identica cifra da te pagata originariamente, si capisce che non ce ne sono più molti disponibili. Per il giorno giusto nemmeno. Anzi, se si vuole comprare un biglietto per il giorno giusto e stavolta non prenderlo dietro un palo, bisogna farlo ORA.

Si passa alla fase della demenza accresciuta, in cui si acquistano dei biglietti per il giorno giusto ma nella zona più cara, e si perfeziona l'acquisto, confidenti nell'imminente vendita su seatwave di quelli sbagliati. Del resto, la tua offerta seatwave è la più economica a parità di posto. Gli altri hanno sparato pesante, con cifre inimmaginabili.

C'è una fase alternativa a quella della demenza accresciuta, che si chiama fase della demenza totale, consistente nel ridistrarsi per via della vita della crisi delle distrazioni, e comprare quei biglietti per lo stesso giorno sbagliato degli altri. Chisbaglia una volta, se è diabolico, può perseverare nello sbaglio. Tanto è allenato e può ricominciare dalla fase zero, cercando poi di ricadere nella fase della demenza accresciuta, piuttosto che in quella della demenza totale.

Passa il tempo e si giunge alla fase della disperazione: mancano pochi giorni, si è abbassato vertiginosamente il prezzo su seatwave, ma niente.

Fase del recupero semi-impossibile: il giorno sbagliato, poco prima della riunione importantissima, si andrà a fare i bagarini davanti allo stadio.
Non essendo molto bravi, non si verrà considerati.
Ci si impegnerà nell'attività di marketing, cosa che farà sì che si perda la concezione del tempo, e si arrivi in ritardo cosmico alla riunione vitale o all'altro impegno improrogabile, senza aver venduto i biglietti, e ciò sarà così increscioso da far sì che il giorno dopo (fase della rassegnazione), lo spettacolo, non lo si goda poi così tanto.

venerdì 23 novembre 2012

La crisi investe le ditte farmaceutiche (e le stende)

Ecco, leggendo il bugiardino di un medicinale ho capito che anche le ditte farmaceutiche sono alla frutta.

Ho scannerizzato le parti più simpatiche.

Scoprono un problema relativo a una concomitanza di medicinali, ma non hanno i soldi per studiare l'interazione.

Non riescono manco a dare un pasticchino a un po' di persone e osservarle guidare: anche questo costa troppo.

Tra poco ci faranno i medicinali in cartapesta.

O forse no.

Forse anche la cartapesta sarà fuori budget.

mercoledì 21 novembre 2012

Un post di paura

 ATTENZIONE: 
QUESTO E' UN POST DI PAURA.
SCONSIGLIO LA LETTURA AI MINORI DI 14 ANNI. 

L'immagine ha il puro scopo di terrorizzare il lettore.



Una fobia è una roba seria.

Avere una fobia non è come avere una paura
Se si ha una paura, la si riesce ad affrontare, e spesso questa è fondata.
Se si ha una fobia, è difficilissimo superarla, e spesso si tratta del terrore paralizzante per qualcosa che non rappresenta un vero o serio pericolo, o che, perlomeno, non ne rappresenta uno così serio come sembra al fobico.

Una di quelle più belle che ho letto è la fobia che le ginocchia si pieghino al contrario.
La vita è già complicata, con il timore che le ginocchia si pieghino al contrario diventa un incubo.  

Poi ci sono fobie meno strane, più comuni, tipo quella per i ragni, l'aracnofobia, che colpisce il fobico anche quando vede un miniragnetto domestico che, a sua volta, appena lo vede, si prende una paura (fondata) tale che magari ci rimane secco. Anche a vederlo secco, il fobico sviene. O ci rimane secco. Non per solidarietà.

Qualcuno ha la fobia degli uccelli, l'ornitofobia. Se si guarda come viene ridotta l'automobile parcheggiata per una notte sotto una zona dove si annidano i piccioni, si può anche ritenere una semplice paura, perchè fondata. Ritinteggiare la carrozzeria, con questa crisi, son problemi serissimi. Ma in linea di massima gli uccelli, a meno che non si incontri un discendente di uno pterosauro, che comunque cattivissimo non sarebbe, hanno molta più paura di noi di quanta non ne abbiamo noi di loro. 

Qualcun'altro ha la scolecifobia
E in tal caso lo sfido io a prendersi una bella elmintiasi.
E' come se uno che ha la fobia per i vitelli all'improvviso iniziasse a partorire vitelli, e gli stessi continuassero a riprodurglisi nel ventre.
Senza fecondazione divertente e con gran dolore nell'espulsione.

lunedì 19 novembre 2012

Definizioni errate, basate su disattenta analisi o totale assenza di analisi dei significati

Mi hanno dato dell'ipocondriaca.

Se prendo il dizionario e leggo la definizione di ipocondriaco, trovo:

[i-po-con-drì-a-co] agg., s. (pl.m. -ci, f. -che)
• agg
1 anat. Dell'ipocondrio
2 psicol. Dell'ipocondria: stato i.
3 psicol. Che soffre di ipocondria: persona i.
4 estens. Malinconico, introverso
•  s.m. Persona ipocondriaca
sec. XVII

Non è molto semplice capire cosa sia una persona ipocondriaca quando si cerca sul dizionario "ipocondriaco". Se uno non sapesse chi è un ipocondriaco, sarebbe scarsamente aiutato dal sapere che è una persona ipocondriaca.
Dell'estensione ci se ne frega, si vuole sapere il senso proprio.

Si va allora a cercare la definizione di ipocondria, sperando che vada meglio:

 [i-po-con-drì-a] s.f.
1 psicol. Morbosa preoccupazione per il proprio stato di salute
2 lett. Profonda malinconia
sec. XIV

Della letteratura me ne frego, qui si parla di vita, non di letteratura.
Rimane una persona che ha una morbosa preoccupazione per la propria salute.
La preoccupazione dev'essere morbosa, e dev'essere riferita alla salute.
Insomma, un ipocondriaco è un malato immaginario. 


Quando uno la salute l'ha già persa, può avere sì una preoccupazione, ma per la propria malattia.
Non è un malato immaginario, ma un malato vero.
Si esce già dalla definizione di ipocondria.
Che la preoccupazione sia morbosa, poi, è tutto da vedersi.
Forse, più che morbosa, può essere teatrale.
Uno si preoccupa giustamente, e poi, per far evitare alle altre persone di incorrere nello stesso errore, tipo quello di ingurgitare un kg di mozzarella scaduta da due mesi e rotolarsi per terra in preda a spasmi e crampi, si rotola per terra in modo un po' enfatizzato, i suoi crampi e spasmi possono diventare monito per l'intera umanità, anticipazione dei crampi e spasmi che colpiranno tutti gli uomini (e anche le donne) prima della fine di quest'anno.

Insomma, direi che, più che ipocondriaca, il titolo giusto da attribuirmi sia:

A P O C A L I T T I C A

giovedì 15 novembre 2012

Tutt, proprio tutto, o quasi


C'è un camper che ha tutto.
Anche la compattezza.

E' veloce come una macchina, lungo e largo come un'automobile familiare, consuma come un suv (il che non è il massimo, ma potrebbe consumare come un tir, che sarebbe peggio), ha il tettino sollevabile elettronicamente, e vi possono dormire ben due persone, oltre alle due che possono utilizzare il letto ricavabile dal sedile sotto. Insomma, è un camper fichissimo, pluriaccessoriato, con tutto anche nel piccolo: fornelli, frigo, armadietti, acqua, riscaldamento.

Manca solo un piccolo particolare: il bagno.

La mancanza del bagno vuol dire che quando uno sa di doverci dormire dentro deve prepararsi, psicologicamente e fisicamente.
Vietato bere dopo le 16.  Preparazione fisica.
Vietato aver voglia di fare la pipì anche in assenza di bevuta pomeridio-serale. Preparazione psicologica.
Può capitare che una o entrambe le preparazioni vengano meno, il che fa sì che, in piena notte, magari in un mega parcheggio in centro a una metropoli, parta l'impulso.
Come fare?

Per l'uomo è semplice: pipì in bottiglia. L'importante è che tutti sappiano qual è la bottiglia incriminata e che nessun ignaro abbia sete di birra il giorno dopo.

Per la donna è un po' meno semplice.
O è un'acrobata nel centrare l'apertura della bottiglia, oppure dovrebbe prendere un pappagallo, che in un camper così piccolo e ottimizzato terrebbe troppo posto. C'è anche l'opzione imbuto più bottiglia, ma capita facilmente che l'essere umano di sesso femminile si aggiri intirizzito nottetempo nel mega parcheggio della metropoli in camicia da notte cercando di accovacciarsi in qualche punto poco visibile.
Se la notte è vicina alla mattina o se la donna è particolarmente sfigata, prenderà una bella multa per atti osceni in luogo pubblico.
Venderà il camper.
Poi comprerà un wc chimico, lo metterà in macchina, e ci andrà a lavorare, a fare la spesa, e anche in vacanza.
Avrà un mezzo piccolo, per nulla accessoriato.
L'unico particolare che non mancherà sarà il bagno.

martedì 13 novembre 2012

Coppie strettamente connesse



Ormai, nelle coppie sportive mediamente povere in cui la differenza di peso/altezza è inferiore ai 20 kg/10 cm, non si capisce più chi porti i pantaloni, e non si capisce nemmeno più chi porti quali calzini e chi porti quali dolcevita.

Nelle case delle coppie mediamente o altamente disordinate, mediamente povere e sportive con i limiti di differenza suddetti, i vestiti non vengono disposti ordinatamente negli armadi, ma in mucchi stratificati finchè lavatrice non li separi dal divano o dal tavolino. Sotto ci sono gli indumenti indossati tre o quattro settimane prima, via via quelli più recenti. La piramide sarà ridotta soltanto a totale esaurimento delle riserve presenti nell'armadio. In quel momento, tutto sarà separato in base ai colori. I calzini saranno generalmente tutti neri, per quanto lei abbia cercato di convincere lui a convertirsi a quelli fuscia per poterli distinguere. Le dolcevita nere saranno tutte insieme, le blu idem, le rosse idem. Etichette varie si saranno scolorite da tempi immemori.
Il risultato sarà che non ci sarà più alcun modo di distinguere calzini di lei e calzini di lui, dolcevita di lui e dolcevita di lei.

Se vedrete coppie in cui lui cammina rattrappito in una dolcevita un po' troppo stretta e lei ha le maniche larghe e mollicce, se assisterete a camminate un po' storte, come di chi cerca di togliere l'alluce da quello scomodo buco nel calzino oppure tenta invano di stendere quei fastidiosi accumuli di stoffa sotto l'arco plantare stirandoli tra le dita dei piedi e i talloni, saprete di chi è la colpa.

Di Decathlon e Tezenis.

giovedì 8 novembre 2012

CALDE ARROSTE


C'era un signore tutto vestito di marrone e nero, con una barba scura, che tutti i giorni si piazzava in un angolo anonimo di un quartiere anonimo in cui passavo in bici, armato di calderone bucherellato e di carbonella, e si metteva a vendere caldarroste. Per farsi riconoscere, aveva un cartello attaccato al macchinario, con su scritto CALDE ARROSTE.
Uno non sapeva se per lui calde fosse l'aggettivo e arroste il sostantivo, oppure calde il sostantivo e arroste un aggettivo che avrebbe voluto dire arrostite. Probabilmente, però, il signore manco si era posto tutte queste domande relative all'analisi grammaticale. Probabilmente.

Un giorno sono passata in bicicletta davanti all'anonimo angolo e il signore fuligginoso non c'era più.
Sarà fallito, mi sono detta.

Ho girato l'angolo e l'ho visto in mezzo alla rotonda, dove arrivavano tutte le strade, con uno sgargiante ombrellone giallo, e con il cartello CALDARROSTE tutto colorato.
Sarà andato da un incubatore d'impresa sicuramente, mi sono detta.

Il giorno dopo ho incontrato di nuovo il signore, ma, per la prima volta in anni e anni, era senza castagne.
Mi sono chiesta perchè non lavorasse, dopo l'exploit del giorno prima.
Per giorni e giorni ho continuato a passare là davanti, ma delle caldarroste nessuna traccia.
A volte vedevo il signore passeggiare tranquillamente, ma sempre senza il baracchino.

Mi sono chiesta a lungo perchè abbia abbandonato la sua attività proprio nel momento in cui pareva svilupparsi in modo decente.

Poi ho trovato la risposta.

Meglio lasciare quando si è sulla cresta dell'onda.
Così si sarà ricordati fulgidi, vincenti, e addirittura con l'insegna scritta giusta.