LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

mercoledì 29 dicembre 2010

Raptus

Ci sono periodi in cui sono colta da un raptus.
Un raptus inquietante e rischioso oltremodo.
Il raptus del criceto.



Trattasi di raptus dalle catastrofiche conseguenze.
Un criceto non è un batuffolo di peli e basta.

E' molto di più.

Per esempio, è un roditore notturno, il che implica che roda di notte.
Un animale che rode di notte può non essere apprezzato da tutti.

Se è molto giovane, sia che si tratti di criceto russo, sia che si tratti di una cavia bella e buona, è molto fragile. Accarezzarlo con troppo ardore potrebbe portarlo a un infarto.
Non è affatto bello tenere nelle mani un criceto che sta avendo un infarto. Passa dallo stato di rigor mortis a quello di mocio vileda due o tre volte, e, vi assicuro, non è bello. Se avete dai 3 ai 13 anni potrebbe segnarvi per la vita con conseguenze incancellabili sulla vostra sfera dei sentimenti. Se ne avete di più potreste salvarvi dall'ineluttabilità di quanto suddetto. Se ne avete di meno ve ne fregherete perchè vi mancheranno probabilmente delle fasi di sviluppo cognitivo per poter essere traumatizzati da un simile evento.

Ricordatevi che, essendo di ridotte dimensioni, i criceti si prestano facilmente a sgattaiolare via quando li liberate dalla gabbia, e a infilarsi in ogni orifizio accessibile per loro. Apprezzano molto le grondaie, salvo poi rientrare nella casistica del precedente capoverso durante la discesa per la grondaia. Se non altro, in tal caso, non subiscono l'infarto nelle vostre mani.

Se avete una cavia, non datela mai, durante le vacanze, a qualche campagnolo che già alleva altre cavie. Poterebbe restituirvi solo metà del vostro beneamato animale da compagnia. Surgelata.

Se avete un criceto russo e decidete di fargli uno shampoo ogni tanto, ricordate che probabilmente apprezzerà di più (o disprezzerà di meno) un Johnson non più lacrime.
Per asciugarlo, d'inverno si può usare un phon a bassa potenza, in modo che il cricetino diventi un bel batuffolone.
Se è estate e vi viene l'idea di lasciarlo asciugare naturalmente al sole, però, spegnete il cellulare in quei 5 minuti che necessitano. Infatti, casomai riceveste una chiamata dimenticandovi malauguratamente il criceto al sole, subirebbe un'insolazione. Non so se avete mai visto un criceto russo dopo un'insolazione. Io sì. Vi posso solo dire che è uno spettacolo raccapricciante. Il rosso della pelle ustionata si vede attraverso i peli, e tutte le violenze contro gli animali perpetrabili per cavarne la pelliccia o cose del genere vi sembreranno nulla in confronto alla cattiveria che avrete appena inflitto al vostro innocente batuffolo. Anche se lo metterete all'ombra, anche se dopo qualche passaggio mocio-rigor mortis e rigor-mortis-mocio sembrerà tornare quasi a una vita normale, non fatevi ingannare: morirà.

Quindi, quando ti verrà voglia di comprare un criceto, pensa ad altro, distraita, leggi i giornali,
fai altro,
tipo masturbazione, pesca, decespugliazione, gocard, guarda la tele, dormi.

MA non comprare un criceto.

lunedì 27 dicembre 2010

Il segreto dell'ascoltatore


Un buon ascoltatore è acclamato dalle folle.
Infatti, a meno che non siate cabarettisti o abbiate imprese mirabolanti da raccontare, il che vi trasformerebbe in fonti di intrattenimento al pari della tv o della radio, alla gente non frega quasi nulla di quello che avete da raccontare su di voi, e, in modo inversamente proporzionale, frega moltissimo di quello che ha da raccontare lei su se stessa.
Anche a voi, però, facendo parte della gente, probabilmente non frega quasi nulla di quello che l'altra gente ha da raccontare su se stessa, e, in modo inversamente proporzionale, frega moltissimo di quello che avete da raccontare voi.
Ordunque, per potervi ingraziare la gente, abbandonate per un attimo, se vi è possibile, l'idea di dover raccontare tutte le vostre cose alla gente. Potete ovviare a questa mancanza pagandovi un buono psicologo, o, se non avete soldi, scavando un buco nella terra e dicendo tutto lì dentro come il barbiere di re Mida. Un altro modo per evitare di partire raccontando tutte le vostre cose è pensare che voi le sapete già, all'interlocutore non frega assolutamente niente di saperle, e che quindi sia inutile narrarle.

Se volete apparire buoni ascoltatori, nonostante il fisiologico nombrilismo a cui vi hanno indotti la vostra natura umana e la realtà che vi circonda, dovete rispettare le seguenti semplici istruzioni.
  1. Ponetevi in una posizione corporea atta all'ascolto: girati verso chi vi parla, distesi, con gesti accoglienti (tipo senza leggere la gazzetta dello sport sulle vostre ginocchia sperando che l'altro non se ne accorga);
  2. Guardate l'interlocutore fisso negli occhi;
  3. Pensate ai cavoli vostri senza mai distogliere lo sguardo da quello di chi vi parla;
  4. Ogni tanto annuite con la testa, dite "Ma certo", oppure "Mi dispiace", senza lanciarvi in consigli prendendo la parola in modo da cambiare la direzione dei riflettori dalla capocchia dell'altro alla vostra, e cercando di continuare il vostro flussi di pensieri personali;
  5. Concludete sempre con un "E' stato un vero piacere parlare con te e spero che l'occasione possa ripetersi."

sabato 25 dicembre 2010

I FIGLI DI BABBO NATALE

Per farvi gli auguri di Natale, eccovi un estratto dell'unico e inimitabile Italo Calvino.


"
Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale.
Alla Sbav quell'anno l'Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale.
L'idea suscitò l'approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un'acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.
Mentre il capo dell'Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l'idea: l'Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco-strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l'Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l'Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V.
Tutti erano presi dall'atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto - come ci ricorda il suono, firulí firulí, delle zampogne -, è ciò che conta.
In magazzino, il bene - materiale e spirituale - passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall'Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra " tredicesima mensilità " e " ore straordinarie ". Con qui soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell'industria e del commercio.
Il capo dell’Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: - Ehi, tu! - disse a Marcovaldo. - Prova un po' come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno.

Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d'agrifoglio. La barba d'ovatta bianca gli faceva un po’ di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall'aria.

La prima corsa la fece a casa sua, perché non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini. " Dapprincipio, - pensava, non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo! "
I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena. - Ciao papà.
Marcovaldo ci rimase male. -Mah... Non vedete come sono vestito?
- E come vuoi essere vestito? - disse Pietruccio. - Da Babbo Natale, no?
- E m'avete riconosciuto subito?
- Ci vuol tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era truccato meglio di te!
- E il cognato della portinaia!
- E il padre dei gemelli che stanno di fronte!
- E lo zio di Ernestina quella con le trecce!
- Tutti vestiti da Babbo Natale? - chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perché sentiva in qualche modo colpito il prestigio aziendale.
- Certo, tal quale come te, uffa, - risposero i bambini, - da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, - e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.
Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po' ci avevano fatto l'abitudine e non ci badavano più.
Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S'erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio. - Si può sapere cosa state complottando? - chiese Marcovaldo.
- Lasciaci in pace, papà, dobbiamo preparare i regali.
- Regali per chi?
- Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli dei regali.
- Ma chi ve l'ha detto?
- C'è nel libro di lettura.
Marcovaldo stava per dire: " Siete voi i bambini poveri! ", ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare: - Bambini poveri non ne esistono più!
S'alzò Michelino e chiese: - È per questo, papà, che non ci porti regali?
Marcovaldo si sentí stringere il cuore. - Ora devo guadagnare degli straordinari, - disse in fretta, - e poi ve li porto.
- Li guadagni come? - chiese Filippetto.
- Portando dei regali, - fece Marcovaldo.
- A noi?
- No, ad altri.
- Perché non a noi? Faresti prima..
Marcovaldo cercò di spiegare: - Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
- No.
- Pazienza -. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne. - Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, - disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
- Andiamo, forse troverò un bambino povero, - disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.

E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all'altro segnato sull'elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase:
- La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo,- e prendeva la mancia.
Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante. - Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
- La Sbav augura...
- Be', portate qua, - e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d'occhi, andava dietro al padre.
La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell'abete s'impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c'era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un'aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era li intorno non lo riguardasse.
- Gianfranco, su, Gianfranco, - disse la governante, - hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
- Trecentododici, - sospirò il bambino - senz'alzare gli occhi dal libro. - Metta lí.
- È il trecentododicesimo regalo che arriva, - disse la governante. - Gianfranco è cosí bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
- Papà, quel bambino è un bambino povero? - chiese Michelino.
Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare: - Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator...
S'interruppe, perché non vedeva Michelino. Michelino, Michelino! Dove sei? Era sparito.
" Sta’ a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l'ha scambiato per me e gli è andato dietro... " Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po' in pensiero e non vedeva l'ora di tornare a casa.
A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
- Di' un po', tu: dove t'eri cacciato?
- A casa, a prendere i regali... Si, i regali per quel bambino povero...
- Eh! Chi?
- Quello che se ne stava cosi triste.. - quello della villa con l'albero di Natale...
- A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
- Oh, li avevamo preparati bene... tre regali, involti in carta argentata.
Intervennero i fratellini. Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
- Figuriamoci! - disse Marcovaldo. - Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
- Sí, sí dei nostri... È corso subito a strappare la carta per vedere cos'erano...
- E cos'erano?
- Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno...
- E lui?
- Saltava dalla gioia! L'ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
- Come?
- Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo...
- Cos'era?
- Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza... Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell'albero di Natale. Poi è passato ai lampadari...
- Basta, basta, non voglio più sentire! E... il terzo regalo?
- Non avevamo più niente da regalare, cosi abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. È stato il regalo che l'ha fatto più felice. Diceva: " I fiammiferi non me li lasciano mai toccare! " Ha cominciato ad accenderli, e...
-E...?
- …ha dato fuoco a tutto!
Marcovaldo aveva le mani nei capelli. - Sono rovinato!
L'indomani, presentandosi in ditta, sentiva addensarsi la tempesta. Si rivesti da Babbo Natale, in fretta in fretta, caricò sul furgoncino i pacchi da consegnare, già meravigliato che nessuno gli avesse ancora detto niente, quando vide venire verso di lui tre capiufficio, quello delle Relazioni Pubbliche, quello della Pubblicità e quello dell'Ufficio Commerciale.
- Alt! - gli dissero, - scaricare tutto; subito!
" Ci siamo! " si disse Marcovaldo e già si vedeva licenziato.
- Presto! Bisogna sostituire i pacchi! - dissero i Capiufficio. - L'Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!
- Cosi tutt'a un tratto... - commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima...
- È stata una scoperta improvvisa del presidente, - spiegò un altro. - Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi...
- Quel che più conta, - aggiunse il terzo, - è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d'ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato... Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d'un bambino... Il presidente dell'Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell'entusiasmo...
- Ma questo bambino, - chiese Marcovaldo con un filo di voce, - ha distrutto veramente molta roba?
- Fare un calcolo, sia pur approssimativo, è difficile, dato che la casa è incendiata...

Marcovaldo tornò nella via illuminata come fosse notte, affollata di mamme e bambini e zii e nonni e pacchi e palloni e cavalli a dondolo e alberi di Natale e Babbi Natale e polli e tacchini e panettoni e bottiglie e zampognari e spazzacamini e venditrici di caldarroste che facevano saltare padellate di castagne sul tondo fornello nero ardente.
E la città sembrava più piccola, raccolta in un'ampolla luminosa, sepolta nel cuore buio d'un bosco, tra i tronchi centenari dei castagni e un infinito manto di neve. Da qualche parte del buio s'udiva l'ululo del lupo; i leprotti avevano una tana sepolta nella neve, nella calda terra rossa sotto uno strato di ricci di castagna.
Usci un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un'impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perché era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi.
C'era una linea in cui finiva il bosco tutto nero e cominciava la neve tutta bianca. Il leprotto correva di qua ed il lupo di là.
Il lupo vedeva sulla neve le impronte del leprotto e le inseguiva, ma tenendosi sempre sul nero, per non essere visto. Nel punto in cui le impronte si fermavano doveva esserci il leprotto, e il lupo usci dal nero, spalancò la gola rossa e i denti aguzzi, e morse il vento.
Il leprotto era poco più in là, invisibile; si strofinò un orecchio con una zampa, e scappò saltando.
È qua? È là? no, è un po' più in là?
Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina".































































































(Italo Calvino, Marcovaldo)

mercoledì 22 dicembre 2010

Pacchi natalizi


Prima che sia Natale emerge sempre una figura inquietante ai margini dei negozi o dei centri commerciali: l'impacchettatrice, o le impacchettatrici, se (raramente) in numero superiore a uno. Solitamente il genera maschile non è contemplato, ma a volte capita pure quest'eccezione.
La caratteristica di questa categoria di lavoratrici (escludendo l'ultimo, rarissimo e quindi azzerabile caso) è l'essere, a cicli alterni, circondata da una bolgia infernale di gente piena di roba da impacchettare, oppure desolatamente inoccupata.
Quando arrivate voi a farvi impacchettare qualcosa, si rientra inevitabilmente nel primo caso.
Siccome il periodo è quello natalizio, siete quasi sicuramente reduci di code fantasmagoriche alle casse, con gli immancabili vecchiettini che hanno sbagliato a comprare qualcosa, litigano con la cassiera imputandole la colpa, quindi imputano la colpa all'intero esercizio commerciale, quindi imprecano tra i due denti che hanno, quindi si fanno descontrinificare tutto e se ne vanno borbottando. Se l'esercizio commerciale contempla la presenza di più casse, sicuramente voi, gente sveglia e accorta, avrete scelto quella con meno coda, salvo poi ritrovarvela intasata dei suddetti vecchiettini, caratterizzata dal famigerato cambio cassa con conteggio dei soldi, e da una inquantificabile mole di prodotti da controllare nel punto più lontano dalle casse.
Nel frattempo, tutti quelli che erano nelle interminabili code alle altre casse saranno defluiti, per fluire nel chilometrico serpentone che caratterizzerà il santuario dell'impacchettatrice.
Vi inserirete in c. al serpentone, con il vago senso di averlo preso in c., e imparerete a vostra volta a impacchettare qualsiasi cosa per osmosi osservativa.
Attenderete circa due-tre ore, rapiti dalla destrezza con cui l'impacchettatrice si divincola tra carte e nastrini, sconvolti da come con un solo gesto di una sola mano trasforma nastri in fiocconi sbaluginanti.
I vostri surgelati, caso mai si trattasse di un supermercato, fonderanno come le nevi dei ghiacciai per effetto dell'effetto serra, ma voi sarete noncuranti del fatto che dovrete buttare via 40 € di surgelati, sufficienti ad affittare un impacchettatore direttamente a casa vostra per due ore o tre o anche otto se si tratta di una colf in regola, o anche tredici se si tratta di qualche straniero fuori regola, cifre con cui avreste potuto farvi impacchettare la casa intera con tanto di fiocchetti e fiocchettini. Sarete noncuranti in quanto tutta la vostra attenzione sarà suddivisa tra due forze contrarie e potenti entrambe, di modo che vi sentiate dei nuovi Gano in attesa di esecuzione.
Queste forze faranno sì che rimaniate mummificati e con gli arti inutilizzabili a causa dell'attesa con appese alle braccia 4 sporte per lato piene dei suddetti surgelati e altre cose come 3 kg di mandarini in offerta e 2 pacchi da 6 bottiglie da 2 litri d'acqua, anche loro in offerta.
Quando finalmente vedrete la luce all'uscita del tunnel, arriverà una vecchina canuta e stanca, farà un sorrisone a 32 voragini dove prima c'erano (forse) denti, e dirà: "Io ero qui stamattina alle 11, ho poggiato lì la mia cosina da impacchettare, sono vecchia, canuta e stanca ma tanto tanto brava. Per favore, fatemi passare".
L'impacchettatrice avrà gli occhi che le brilleranno e dirà "Dai, fatela passare, non vedete com'è anziana?".
Nessuno di quelli davanti a voi avrà buon cuore, nemmeno a Natale. Quei cattivoni si faranno impacchettare le loro cose dicendo che hanno fretta, ma la badante equadorena davanti a voi no, lei non avrà fretta, anche perchè per lei tornare a casa equivarrebbe a sorbirsi un'altra vecchia rognosa, e quindi la farà passare. Voi sarete invasi da questo amore natalizio, mentre alle vostre orecchie la musica natalizia del centro commerciale farà da sottofondo a tutto l'amore che esploderà nel cuore vostro e dell'ecuadorena.
Intanto l'impacchettatrice, che aveva fatto pacchi tutti storti per i frettolosi, in segno di protesta, costruisce origami cinesi a 4 piani per ogni prodotto della nonnina.
Intanto parlerà amabilmente con l'amabile signora, appena uscita dalla sua casa situata di fronte all'esercizio commerciale, e, mentre con un tremante dito artritico piazzato sull'incrocio di due nastri da annodare la nonnetta si sentirà utile e collaborativa, contribuirà con la sua chiacchierata a rallentare il ritmo della già troppo artistica per essere veloce impacchettatrice.
Dopo ottantesei pacchetti a base di origami, vi avvicinerete con il vostro unico panettone da impacchettare nella borsina numero 8, e chiederete all'impacchettatrice di prendervelo dalla sporta, perchè ormai le vostre braccia saranno ridotte a quelle dell'ispettore Gadget in versione lungo-telescopicizzata e con il retrattore rotto.
Lei ve lo prenderà, impietosita, poi lo piazzerà su un foglio di carta regalo, quindi inizierà la sua abile opera di taglio, ma il suo sguardo cadrà tosto sull'orologio al polso.
"Mi spiace, è finito il turno per oggi. Ci vediamo domani."

lunedì 20 dicembre 2010

Deformazione professionale

Quando si è insegnanti di sostegno, a volte può capitare di avere alunni con la tendenza a schizzare via in modo incontrollato, tipo la famosa oliva inutilmente tentata di inforchettare al ristorante.
Quando si è nell'era della Gelmini, e quando se ne subiscono i tagli in modo attivo, cioè rimanendo a lavorare anche per gli insegnanti rimasti disoccupati, può capitare, anzi CAPITA che le olive schizzanti siano due, tre, quattro, cinque insieme.
Il problema è che gli alunni non schizzano ad opera della forchettata dell'insegnante di sostegno, ma ad opera di misteriose forchettate inflitte dal Dio Caos nel loro imperscrutabile cervello.

Ci si accorge di avere ormai una deformazione professionale da insegnante di sostegno nell'era della Gelimini quando:
  • si chiudono a chiave i propri parenti/familiari/conviventi in casa;
  • si portano in bagno con sè le persone che si vanno a trovare e si fa la pipì (o altro) davanti a loro, onde evitare che fuggano inopinatamente in propria assenza;
  • per ovviare al suddetto inconveniente, non si beve più, e ci si avvizzisce fino a essere cosparsi di crepe su tutto il corpo, tappa precedente al totale sbriciolamento in un insEgnificante mucchietto di secchi residui polverosi;
  • quando si esce con gli amici, li si costringe a tenersi tutti per mano, e se uno si stacca dal gruppo si inizia a urlare in preda a tic nervosi;
  • se si hanno figli, nipoti, cugini al di sotto dei 45 anni, si controllano continuamente la loro posizione e i loro spostamenti, e, non appena questi si allontanano di 10 cm, si inizia a chiamare l'avvocato per sapere come difendersi dalla denuncia in arrivo da parte dei genitori (che, tra l'altro, sarebbero rispettivamente voi stessi, i vostri fratelli/sorelle, i vostri zii, ma, si sa, parenti serpenti);
  • si parla al rallentatore a tutti gli amici, conoscenti e personaggi incontrati nella vita, con termini molto semplici, e impiegando circa dieci ore per esprinere un concetto. Esempio: "CIAAAAAOOOO, POTREEEESTIIII PEEEER FAVOOOOOREEEE PREEEEEEEEENNNDEEEEREEEE IN MAAAAAAAAANOOOOOOO QUELLAAAAA MANIIIIGLIAAAAAA E GIIIIIRARLAAAAAAAA VEEEEEEERSOOOO DIIII TEEEE AL FIIIINEEEEE DIIIII APRIIIIIIREEEEE LAAAA POOOORTAAA?"
  • se una persona vicina a noi starnutisce, si procede con mossa felina a aprire un fazzoletto di carta alla velocità con cui un maitre d'hotel spiega il tovagliolo da appoggiare sulle ginoccha al ricco cliente e a metterglielo sotto il naso dicendo: "SUUUUU, BRAAAAVO, SOOOOFFIAAAA QUIII DEEENTROOOOO, CHEEEEE NOOON E' BEEEELLOOOOO AVEEEEREEEE UNAAAA COLAAAATAAAAA LAAAVICAAAA DI MOOOCCIOOOO DALLEEE NARIIIICIIII ALLEEEE SCARPEEEEE".
  • ...
  • ...
  • ...
Aspetto prosecuzione dell'elenco dai numerosi lettori impiegati nel nobile lavoro su indicato, al fine di enucleare un quadro completo della situazione di grave compromissione sociale in cui versa il deformato professionale.

venerdì 17 dicembre 2010

Vizi capitali puniti in terra e opera d'arte (im)periture


Ho un vizio capitale.
Sono golosa.
Ho già prenotato un girone dell'Inferno, terzo cerchio, posto 395784975.
Questa golosità è un problema nelle relazioni sociali.
Appena vedo un dolce, provo il tremendo impulso di allungare la mano e di fagocitarlo.
Quando faccio vasche sotto i portici o giro per strade commerciali, incollo il naso alle vetrine delle pasticcerie, e ammiro il loro interno come una shopping addicted davanti a una boutique di Gucci.
Ogni tanto lecco anche le suddette vetrine.
Se un giorno mi ricordassi di fregare un lavavetri (versione inanimata) dal benzinaio o di tramortire un lavavetri (versione umana) al semaforo per rubargli il lavavetri (versione inanimata), potrei riciclarmi come donna delle pulizie delle vetrine delle pasticcerie. Non avrei nemmeno bisogno del secchio. Con una mentina in bocca deodorerei pure le superfici. Possibilmente si tratterebbe di una mentina Baratti. Recuperata per osmosi attraverso i pori vitrei. Ammesso e non concesso che le vetrine abbiano i pori.

Tutto ciò per farvi capire come sia pericoloso lasciarmi da sola in un luogo in cui siano deposti dolci di qualsiasi tipo, soprattutto esposti.
Mi è capitato di essere stata abbandonata in totale solitudine nella casa di amici.
Girovagando, sono incappata in una zuppiera zeppa (o zuppa) di dolciumi: Baci Perugina, cremini, caramelle. Un tripudio di dolci. Misti. Tanti. Uno in più o uno in meno, nessuno l'avrebbe mai notato.
Al che, ho allungato la solita zampa verso la zuppiera e ho pescato un Bacio Perugina.
L'ho aperto.
Gli ho dato un morso.
Mentre deglutivo, ho osservato la metà del Bacio che avevo ancora in mano.
Da quest'ultima faceva capolino un pasciuto, tondeggiante, pacifico verme bianco e molliccio.

Ho cercato di far tornare indietro il pezzo staccato, con ditate in gola e verticali a muro, ma ormai era già quasi nello stomaco.

Dando uno sguardo alla zuppiera, ho notato che anche gli altri baci straripavano di quei pallini marroni piccoli e ammassati che denotano la presenza di vermi.

Non ho nemmeno potuto avvertire gli amici della zuppiera malefica, perchè avrei dovuto confessare la mia edulcocleptomania.

Dopo un bel po' di tempo, e un bel po' di confidenza, ho deciso di raccontare l'accaduto agli amici.
I suddetti, essendo passato appunto parecchio tempo, si sono buttati sulla zuppiera, rimasta intatta da quel giorno, e l'hanno portata in cucina.
Aprendo i Baci, abbiamo trovato allegre combriccole di vermi e gallerie laboriosissime scavate nel cioccolato. Le caramelle erano fuggite dall'incarto, scaramellandosi sul fondo della zuppiera, a formare laghetti cristallini e collosi, in cui erano incastonate montagne marroncine ariose poi individuate come i residui di alcuni amaretti. Le montagne erano innevate da centimetri di pallini marroncini piccolissimi, quelli indici di presenza di vermi.

Il tutto in un'armonia cromatica degna di Pistoletto e in un'apparenza simile a un'opera di poliuretano espanso.

La natura sì, fa opere d'arte contemporanea estrose.

Meglio del pavimento del Maxxi.


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PS Mi risulta doveroso inserire in questo post una creazione artistica della suddetta coppia di amici, che sta per esplodere sul mercato dell'arte contemporanea.

mercoledì 15 dicembre 2010

Tubini e tuoni


A Roma ho dedotto in singolar tenzone un detto comune, di quelli tipo "Una rondine non fa Primavera", o "Non esistono più le mezze stagioni".
E' strano, dedurre un luogo comune.
Nel senso che se i luoghi comuni sono tutte stupidaggini, allora non si dovrebbero poter dedurre dalla vita reale, ma si dovrebbero soltanto poter assumere come postulati dopo averli imparati a memoria.
Il luogo comune in questione (mi è stato assicurato che si tratta di luogo comune e non di verità) è che le romane hanno quasi tutte voci tonanti da tenori.

Il che non è così brutto. Meglio le voci tonanti che quelle squittenti da criceto russo.

Però, il brutto è quando vai in un negozio di vestiti e pensi di pesare ancora come due mesi fa, dimenticando che, nel mezzo, la vita ti ha condotta ad aumentare di 8 kg in qualche imperscrutabile modo, tipo cibarsi di 8000 Kcal al giorno, fabbisogno medio di un boscaiolo finlandese (solo d'inverno).

Ti avvicini a un tubino grigio, che ti andrebbe bene a Capodanno, anzi ti sarebbe andato bene a Capodanno se Capodanno fosse stato due mesi e un giorno fa. Capodanno è tra meno di un mese, ma tu fai finta di nulla, e chiedi alla commessa romana se c'è anche in nero, ché il nero snellisce.

Lei ti dice: "C'è solo la taglia 40".
Tu tendi la mano.
Lei ti risponde: "Che vvole?" con voce tonante da tenore, che è poi l'aspetto più inquietante di tutta la storia.
Tu ribatti: "Vorrei il tubino nero taglia 40".
E lei: "Ma non ci entra manco a mmorì ammazzata".
E' stato il tono tonante a siderarmi.

lunedì 13 dicembre 2010

Pay less, wait more

VIAGGIO 1: ritardo di un'ora e mezza, appello dei presenti sull'aereo dopo la scoperta che molti presenti avevano il nome leggermente diverso da quello registrato e che c'erano otto passeggeri in più. Tutti regolarmente muniti di sacchettini per i liquidi da massimo 100 ml.

VIAGGIO 2: ritardo di due ore, cambio dell'aereo, e procrastinamento della partenza di 10 minuti ogni 10 minuti.

E' proprio vero: PAY LESS, WAIT MORE. Con Blu express.

venerdì 10 dicembre 2010

Sol d'art

Mi piacciono i musei di arte contemporanea.
Sono pieni di robe strane.
Pieni di robe che entri in degli scatoloni e ti siedi lì e guardi filmati incomprensibili.
Pieni di robe che non capisci bene cosa siano ma meno le capisci più sono opere d'arte.
Pieni di robe che devi metterti le cuffie per sentire strani suoni e schiacciare con tante dita dei pulsanti che pulsano.
Pieni di robe che sembrano pattumiera ma sono opere d'arte.
Pieni di robe che se le vedessi per strada ti sembrerebbero per esempio blocchi di cemento, ma qiando le vedi nel museo diventano opere d'arte, con la giusta luce la giusta spazialità il giusto commentino a lato, pieno di parole tipo epistemologia, ricerca consapevole, intenzionalità.
Insomma, se io butto su un pavimento un blocco di cemento trovato in un porto, sperando che il porto tenga insieme anche senza quel blocco, non ho buttato un blocco di cemento su un pavimento bianco e ci ho puntato dei faretti contro, io ho reso "il senso di spaesamento esistenziale legato alla trasformazione della nozione di luogo nell'età della globalizzazione."
Ovviamente, ciò, se io = artista contemporaneo.
Se io = io, prima cosa mi avranno fermata mentre, con il mio muletto a noleggio, avrò sconquassato il filare di blocchi del porto; seconda cosa, ammesso e non concesso che abbia bypassato il primo scoglio, sarò solo una che avrà buttato un blocco di cemento su un pavimento bianco. Di casa sua. Illuminandolo con la lampada Ikea.

Nota bene, questo articolo lo scrivo dopo essere stata reduce del Maxxi di Roma, dove hanno inventato l'arte take away. Si potevano prendere dei foglietti con la presentazioni di alcune opere d'arte e raccoglierli in una cartellina bislunga che pochissimi, a dire il vero solo io, avevano utilizzato a mo' di sporta prendendola per la maniglia.

Gli altri visitatori la tenevano in braccio a mo' di Gesù bambino, ché il Natale è alle porte, e ogni qualvolta si girassero, tiravano cartellinate in faccia agli altri visitatori.
Tornando al take away, ho appena buttato a terra tutti i foglietti, li ho mischiati e ho recuperato da uno di questi la frase che ho virgolettato. Ovviamente, si è intonata benissimo anche al blocco di cemento.
Riproviamo.
"dimensione del paesaggio inteso come spazio di trasformazione".
Rifunziona!
Ririproviamo.
"una metafora del disorentamento e della perdita di senso di orientamento nel mondo contemporaneo."
Anche questa funziona. L'unico dubbio è quale possa essere la differenza tra disorentamento e perdita di senso di orientamento.

Poi ho avuto anche un altro atroce dubbio, mentre visitavo il bellissimo museo.
Un dubbio tremendo, che mi ha portata a guardarmi furtivamente intorno con l'aria di chi ha ancora la marmellata in punta d'unghie.
Un dubbio che mi ha siderata.
Il dubbio che stessi calpestando un'opera d'arte.
Invece, quello che calpestavo era effettivamente il pavimento.

mercoledì 8 dicembre 2010

Che comodità gli acquisti on -line

L'altro giorno, colta da pigrizia sfrenata, ho pensato che fare un biglietto per il Volabus che va da Genova Brignole all'aeroporto di Genova direttamente sul Volabus fosse un'attività troppo gravosa.
E mettici la fretta, e mettici quei 5 kg di bagaglio a mano concessi da Blu-express, che ingombrano, e mettici tirare fuori il portafoglio, estrarre il denaro magari inesatto, prendere il resto, insomma, mettici tutte ste cose e l'impresa diventa titanica.
Allora mi sono detta lo compro on-line, che è comodo. Metti i codici della carta di credito, e poi, se non te la clonano, stampi il biglietto e sei a posto.
Se te la clonano, la soluzione migliore è non guardare mai l'estratto conto della carta di credito nè del conto corrente, così non ci si accorge di nulla e si vive tranquilli. Fino all'ipoteca della propria casa. Io la casa non ce l'ho, quindi posso.
Entrata nella procedura on-line dell'AMT, ho notato che sta AMT si rivelava piuttosto curiosa. Mi chiedeva perfino la mia residenza, il codice fiscale, il mio livello di studi, il mio lavoro. Il tutto per un biglietto da 6 €. Mah. Ho continuato il tutto, pagando con la carta di credito.
Con tutte ste richieste, infatti, avevo perso di vista quella più inquietante, cioè quella del mio indirizzo di residenza.
Alla fine, invece della pagina da stampare, mi è comparsa una videata con questa scritta:
ENTRO 6 GIORNI MASSIMO LE SARANNO RECAPITATI VIA POSTA I BIGLIETTI AL SUO INDIRIZZO DI RESIDENZA.
Insomma, io dovevo prendere il Volabus il giorno dopo, ero a Genova, e i biglietti sarebbero arrivati dopo 6 giorni alla mia residenza a Torino.

Risultato:
un'ora al telefono con il numero verde dell'AMT
attraversamento di Genova
un'ora di attesa che l'impiegato ritrovasse nel mare magnum delle buste in partenza la mia con i miei biglietti dentro
altro attraversamento di Genova

La prossima volta vado all'aeroporto a piedi.

lunedì 6 dicembre 2010

L'Italia è tutt'un bar sport


Stavo leggendo questo libro qua sopra, e sono stata siderata da questa frase, che mi è suonata tanto familiare:

La Filibusta, quella sera, si riunì sulla nave dell'Olonese per studiare una maniera di liberare il Corsaro Nero.
Ma dalla costa facevano i fuochi artificiali, e tutti si precipitarono in coperta a vederli, così nessuno si ricordò più dello sventurato.

venerdì 3 dicembre 2010

Mercantenati


E' bellissimo andare al mercato di mattina, anzi dover trapassare il mercato di mattina.
Il mercato di mattina è una matassa uniforme di anziani che camminano ai 100 metri all'ora, facendosi largo tra altri anziani che camminano anch'essi ai 100 m/h, incastrandosi in una perfetta armonia tetrisificata.
Quando tu, sventato under-80enne, di corsa, ti ritrovi a dover andare dal punto A al punto B, e in mezzo ai due punti inequivocabilmente si trova il mercato mattutino, sei come un pietrone lanciato nel fiume di vecchi incastrati.
Il problema è che la tensione superficiale dei vecchi incastrati è di molto maggiore rispetto a quella dell'acqua, e latensione superficiale del tuo corpo è di molto minore di quella del pietrone.
E' vero che le ossa delle vecchie, presenti in stragrande maggioranza in un immaginario grafico a torta illustrante la composizione di genere della matassa, sono un po' fragili per via dell'osteoporosi, ma vi assicuro che districarsi da lì in mezzo è come cercare di uscire dalle sabbie mobili.
In più vi sconsiglio di approfittare della friabilità delle ossa altrui per spezzarne qualcuna per aprirvi un varco DENTRO il corpo di un'anzianotta o due. Si formerebbe, contrariamente, un nodo tipo quelli che si creano alle maratone quando un maratoneta si accovaccia per allacciarsi le scarpe e non ne uscireste vivi.
Più ci si divincola, più si affonda.
L'unica soluzione è adattarsi alla velocità della folla, immedesimandosi in un pluri-80enne, fare buon viso a cattivo gioco e fingere di essere pensionati con un tubo da fare per tutto il giorno.

Il peggio è quando si esce dall'immedesimazione del pensionato e si scopre di essere stati licenziati per assenteismo sul lavoro.

mercoledì 1 dicembre 2010

Appello per insegnanti egoisti coltivatori di propri giardinetti miopi e a breve termine


Ora, non è che da abilitata come prof di Economia aziendale voglia insistere tanto sui numeri, ma alla fin fine si vede che tutti sti anni economici mi hanno giocato qualche tiro al cervello, e ogni tanto mi metto a dare i numeri.
Quindi dico:
se ci sono un tot di ore di insegnamento disponibili per un (tot/18) elevato a se stesso di insegnanti abilitati, alcuni di questi, per forza di cose, rimarranno tagliati fuori.
Non è importante il numero di ore EFFETTIVAMENTE necessarie, che sarebbe probabilmente un [tot+ (tot2 sapientemente tagliato dal corrente Ministro dell'Istruzione)], è importante sapere che la disponibilità è quella, è tot, con un tot tendente a zero e conseguente innalzamento esponenziale del tot2. Prima o poi il corrente Ministro inizierà a studiare i numeri negativi, andando e definire il tot come tale. Saranno fucilati insegnanti di ruolo davanti a plotoni di esecuzione per far quadrare i conti e riempire le tasche di chi le ha già piene e togliere l'uso del sale in zucca di chi, la zucca, ce l'ha già quasi vuota, a furia di costruttivissimi tagli all'Istruzione.
Ma non divaghiamo.

Torniamo a bomba al numero di insegnanti e al tot di ore disponibili.

CHI AMA LA SINTESI E NON AMA LE ELUCUBRAZIONI CONTORTE PUO' INIZIARE A LEGGERE QUESTO POST DA QUI.

Ipotizziamo che, per semplificare, in una provincia a caso ci siano 300 ore disponibili per un insegnamento di un certo tipo.
Ipotizziamo che ci siano 40 insegnanti iscritti in quella graduatoria e in quella provincia, tutti belli in fila secondo i loro meritati e sudati punteggi.
Con 288 ore si fanno 288/18 cattedre intere, cioè 16.
I primi 16 fortunati potranno prendersi le loro belle cattedre, mentre gli altri 24 abilitati specializzati eccetera eccetera se ne staranno a casa con il loro bel Salva-precari e disoccupati.
Quando ci si accorgerà che questi primi 16, facendo le loro 18 ore di insegnamento, non copriranno le effettive esigenze scolastiche, e che ne servirebbero probabilmente altri, cosa accadrà?
Che i 16 EROI lavoreranno 24 ore a settimana, cioè 6 ore in più rispetto alla loro cattedra intera (come permesso da legge).
E se per caso a uno che ha già 18 ore verrà proposto di prendersi anche 6 ore della cattedra di un collega incidentalmente preso a sassate dal cavalcavia dell'autostrada e ridotto in coma, questo EROE si sacrificherà e prenderà le 24 ore, anche se le 6 ore in più saranno nella succursale in cima a un monte ventoso raggiungibile solo con sci e pelli di foca da Novembre a Aprile.

E' vero, dicono che gli insegnanti sono pelandroni, ma vi assicuro che l'ambiente dell'insegnamento è pieno di EROI.

Se per caso uno dei 24 ha aspettato fino a ottobre per essere chiamato per 18 ore, dopo che tutti i 16 si sono rimpinzati di ore supplementari come tacchini il giorno del ringraziamento, e, improvvisamente, a fine ottobre, gli danno un altro pezzettino della cattedra del bozzoluto del cavalcavia, pensate che si dirà "lasciamo un pezzettino anche a quelli che ci sono dietro di me e accontentiamoci delle 18 ore"?

Macchè.

Penserà: "Sono un EROE, mi prendo 24 ore."

Poi c'è la versione gentile: "Guardo se ho amici sotto di me, e se c'è la mia amichetta del cuore dietro di me (perchè se fosse prima sarebbe una mia acerrima nemica) rinuncio per lei, se no prendo, tanto quelli che non conosco sono brutti e cattivi."

Poi c'è la versione pietosa: "Ho bisogno di soldi, tengo famiglia mutuo cane gatto criceto goloso nonno malato eccetera eccetera, DEVO RACCATTARE PIU' SOLDI POSSIBILE".

Caro gentile, l'anno prossimo ci potresti essere tu sotto uno che non è tuo amico, e che sceglierà di accapparrarsi le 6 ore che tu aspetterai con ansia.
Caro pietoso, l'anno prossimo potresti esserci tu dietro qualcuno che farà come te e che sceglierà di accapparrarsi le 6 ore che tu aspetterai con ansia, e vorrò vedere come ti pagherai il mutuo con i quattro soldi in più che hai preso l'anno precedente.
Caro eroe, l'anno prossimo dimostrerai il tuo eroico valore andando a lavorare in miniera.

CHI AMA LA SINTESI SUPREMA PUO' INIZIARE A LEGGERE QUESTO POST DA QUI.

Considerate che su 30 insegnanti che si accaparrano 6 ore settimanali in più, cioè lavorano 24 ore a settimana invece che 18, ce ne saranno 10 che non lavoreranno per nulla.

Considerate anche che i tagli, anche se sembra impossibile, non sono ancora finiti.

...quindi...

Tenetevi le vostre 18 ore e leccatevi i baffi. Se non lo fate per gli altri, fatelo per voi.

La Matematica non è un'opinione.