LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 31 agosto 2007

Finali finali

"Bellissimo, il tuo racconto, eh. Proprio belle atmosfere. A leggerlo, mi sembrava di essere là. Ma il finale, che finale. E' come tutti i finali dei tuoi racconti. Ti lascia lì, con l'amaro in bocca, ti fa dire: tutto qui?".
Già, sono così, i miei racconti. Finiscono, e uno dice: tutto qui? Banale.

Il bello è che, alla fine, talmente uno è deluso, scorda tutto il resto, cioè le belle atmosfere, il fatto che si sia sentito proprio là.

Ma pensateci: cosa succede nella vita? Qualsiasi cosa possiate fare, che siate direttori d'orchestra, spazzini, astronauti, ballerini, uomini delle pulizie, la fine è la stessa per tutti. Sarà banale, ma è così.

C'est la vie.

giovedì 30 agosto 2007

Neologismi

Citazione: "Ero in un hotel fetiscente". (Mettone).

Grande neologismo, riferito ad un bulgaro, che mescolava fetish e fatiscenza.

mercoledì 29 agosto 2007

Solesegagira

La memoria è una cosa seria.
La memoria ha una sua intelligenza.
Sa cosa ricordare e cosa non ricordare.
Fa una precisa cernita tra tutte le cose che potrebbe ricordare, seleziona le più importanti per noi, elimina quelle inutili.

Allora, spiegatemi perchè, con tutte le nozioni economiche in questo momento vitali per me che dimentico, ricordo solo il titolo del disegnino che ha fatto ieri il mio collega su un pezzettino di carta spiegazzata: SOLESEGAGIRA.






martedì 28 agosto 2007

Consigli per la pappatoria costazzurrina

Lo stress inibisce la creatività.


In effetti, non capisco come facciano i pubblicitari milanesi ad inventarsi ancora pubblicità decenti.


In effetti.


Dato che la mia creatività è inibita da un bel po' di tempo, oggi mi dedicherò alla memoria.

Vi snocciolerò un po' dei ristoranti di Nizza che ancora ricordo, dopo ben due anni tondi di autoesilio.



Uno è questo, dove potrete papparvi la marmitte du pecheur, una padellona piena di sugo e pesci di ogni tipo.
http://www.fra.cityvox.fr/restaurants_nice/taca-d-oli_200042485/Profil-Lieu



Un altro è questo ristorante dell'isola della Réunion, che di giorno fa anche negozio e vende prodotti tipici del posto. Buonissimi i secondi a base di pesce spada. Astenetevi se non amate il cibo speziato.
http://www.pagesjaunes.fr/ciweb2g-pagesjaunes/RecherchePagesJaunes.do



Poi, proprio una volta nella vita, non due, ma soprattutto non tre e specialmente non quattro volte (il perchè ve lo spiegherete se non seguirete il mio consiglio), dovete provare questo libanese, piazzato nel cuore della Vieille Ville, in un'adorabile piazzetta:
http://www.mytravelguide.com/restaurants/profile-78462505-France_Nice_Byblos.html



Se amate l'indiano, attenzione all'uomo che non ride mai e all'aperitivo alcolico: se andate con persone astemie non bevetene due:
va beh, di questo non trovo il link, comunque è vicino a Nice étoile, scendendo in av. Médecin, nella traversa a sinistra prima del centro commerciale, camminando per un po'.



Vi volete fare una paella? Andate qui, ma se prendete da esporto in tre mangerete a stento la dose per uno (anche se mangiare la paella su una panchina al parco potrebbe rivelarsi scomodo):
http://www.fra.cityvox.fr/restaurants_nice/chez-mireille_89234/Profil-Lieu



Cibo nizzardo sempre in zona:
http://www.fra.cityvox.fr/restaurants_nice/le-trou-gourmand_200067525/Profil-Lieu



E per finire, least but not last, un magnifico marocchino, per cui vale la stessa regola dello spagnolo:
Restaurant Le Marrakech 14 r Miron 06000 NICE 04 93 85 81 55


A questo punto, non mi resta che augurarvi buon appetito.


PS I prezzi sono quelli pagabili da una super-precaria lavoratrice tuttofare intermittente, quindi non vi preoccupate!

lunedì 27 agosto 2007

Linee

Pensate di dover arrivare in un posto, abbastanza lontano.
Potete unire il punto in cui siete e quello di arrivo, e tracciare una linea retta.
Poi percorrere questa linea.
Oppure fare una serie di giri a zig zag, concentrici, avanti e indietro, e poi arrivarci.
Sembra che la linea retta possa essere la soluzione migliore, ma potete sempre rpendere una zuccata ni qualche montagna che c'è tra il punto A e il punto B.

venerdì 17 agosto 2007

Il maestro

8 anni.
Natale.
Mia zia arriva a casa con un pacchetto parallelepipediodale.
Lo scarto eche ci trovo?
Questo:

Ed è stato un colpo di fulmine.
Un libro veramente fuori dai canoni, che mi ha catturata in modo tale da ritrovarmi a rileggerlo per 24 volte di fila nel tempo, e a conoscerne il testo praticamente a memoria.
Poi, sono seguiti tutti gli altri, tra cui meritevoli di nota altri tre principalmente:
Questo:
Questo:



E soprattutto questo:




E fin qui, ci teniamo sui libri per ragazzini (che anche agli adulti piacciono, cosa testimoniata dal fatto che i miei genitori li hanno letti tutti!).

MA la vera rivelazione è il Roaldh Dhal per adulti: un vero maestro dell'imprevisto.

Beccatevi questo:


Se vi piace questo, poi, ci sono anche "Storie ancora più impreviste" e altre raccolte con i migliori racconti.
Più unico che raro.
Peccato fosse mortale pure lui...

giovedì 16 agosto 2007

Corridore


Esco dal supermercato.

Passa un tipo che fa jogging.

E' veramente un bel tipo, in formissima, va velocissimo.

Non riesco a non fissarlo.

Il mio edonismo mi obbliga a guardare.

Passo con la macchina, e mi giro pure, mentre aspetto che la strada sia sgombra dalle macchina (o mentre faccio finta di aspettare che lo sia, anche se è popolata come il Sahara).

Lui mi becca.

E mi lancia uno sguardo addolorato e di rimprovero.


Chissà che ha pensato.

Che lo guardassi perchè faceva jogging in carrozzina.

martedì 14 agosto 2007

L'uomo cattivo

In queste notti c'è un uomo cattivo.
Mentre dormo, si apposta su di me come una nuvola scura, e mi aspira tutta la fantasia.
Così mi escono post come questo e quello di ieri.
Vi conviene andare a leggere i suoi, di post.

lunedì 13 agosto 2007

Ponte di Ferragosto

Ponte di Ferragosto.
Strade deserte.
Tutti al mare a mostrarle chiappe ormai già scure.
E io?
Io in trasferta a 50 km da casa a lavorare per 3 persone su un oscuro computer accecavedenti.
Non è giusto.
Va beh, l'ho detto.
Ora mi sento come prima.

venerdì 10 agosto 2007

Profumo d'estate

Oggi, dato che poi arriverà il week end e non avrò internet, dato che già vi immagino piangenti davanti al pc, in assenza delle mie righe on-line, vi incollo un mio intero racconto. E non uno qualsiasi, bensì quello che ha perso il concorso "Profumo d'estate" della Scuola Holden!
Buona lettura.

LETTERA DI SABBIA

Caro ****,

ti scrivo.
Ti scrivo per chiederti: ti ricordi?
E anche per dirti quello che non puoi ricordare.

La spiaggia, sempre quella spiaggia, benedettissima e maledettissima spiaggia, la ricordi?
Io la ricordo bene.
Sulla sabbia dell’ora di pranzo, così calda che si doveva camminare veloce, mi toglievo le scarpe. Preferivo il bruciore ai granelli nei sandali. Camminavo rapida e goffa sui carboni ardenti che separavano la passerella dal mio lato preferito. Sempre a sinistra, vicino alle rocce, nella parte più larga. Del resto, lo sai benissimo, che era il mio lato preferito. Era anche il tuo.
E poi, la sera, gli spiazzi di spiaggia vuota che aumentavano, la temperatura che scendeva e diventava una morbida carezza sulla pelle disidratata dal sole, quella palla rossa quasi appoggiata sulla linea dell’orizzonte, il mare piatto che rifletteva le ombre dei gabbiani, puntinato qua e là da qualche impiegato uscito dall’ufficio per una nuotata tardiva: un’armonia di ingredienti che formavano un cocktail di perfezione, di nessun-altro-posto-che-qui-nessun-altro-mood-che-questo. E io stavo là, seduta sul mio asciugamano e anche sulla stuoia, ché se no mi si riempiva tutta la spugna di sabbia. E dal basso dei miei dodici anni, lo sapevo, che raramente sarei stata così bene.
E poi ero con lui, lui che mi aveva fatta giocare da piccola, lui che mi aveva spaventata in cantina al buio, lui che anche allora inventava giochi e discorsi fuori dai canoni. Lui, che prima tutti prendevano per mio padre, poi, anni dopo, per il mio amante, e invece era sempre mio zio. Te lo ricordi, mio zio? Dovresti, o, perlomeno, potresti.
Chissà, probabilmente c’eri, quando io avevo dodici anni e pensavo che non avrei voluto essere in nessun altro luogo e in nessun altro momento che in quello. Forse eri uno di quelli che giocavano a racchettoni davanti a noi, o al nostro fianco. Forse, avevamo già fatto la coda insieme per la doccia. Forse. Io ero una bambina. Una bambina che vedeva solo quello che voleva vedere, e tu non facevi parte di quello che volevo vedere, allora. Io volevo solo la spiaggia nel tepore del tramonto, i giochi con mio zio, l’impiccato disegnato dalle nostra dita sulla sabbia umida, le nuotate di boa in boa fino a diventare puntini all’orizzonte di chi era a terra, i libri di quella collana per bambini, quella che pungeva la fantasia, letti con i raggi del sole tra i capelli, la sabbia tra le pagine, l’immaginazione in volo. E un’estate infinita di vacanze davanti a me.

Poi, nove estati dopo, ero di nuovo là, sempre là, su quella sabbia.
Non mi ero disamorata di lei.
Non succede di disamorarsi di qualcosa che si ama davvero.
Uscivo di casa.
Scendevo le scale scivolando lungo il corrimano ripido.
Passavo davanti al porto, con tutti quei velieri e i loro alberi che tintinnavano al vento.
Attraversavo la strada, zigzagando tra motorini carichi di uomini di razze miste zigzaganti per continuare la loro traiettoria evitandomi.
Passavo all’ombra delle palme, vicino ai giardini dove sonnecchiavano i pigri, sdraiati sull’erba umida di innaffiatoio.
Poi arrivavo in spiaggia, scendevo i gradini e mi immergevo nel tepore del pomeriggio.

Ogni tanto, ci sorprendeva un vento più forte, che agitava stuoie borse ombrelloni, sollevando mulinelli di sabbia e irritando il mare, che s’imbizzarriva e schiumava creste bianche dal suo ghigno di iena disturbata. E noi tutti rimanevamo in spiaggia. Facendo come se niente fosse. Intestardendoci a giocare a beach volley con palle che, in fuga, cavalcavano le onde fino alla linea dell’orizzonte. Strapazzando con tutte le nostre forze le palline con i racchettoni, anche se poi andavano dove voleva il vento. Mi buttavo tra i cavalloni. Infilavo la maschera con il boccaglio. Respirando con la bocca l’aria salmastra di gocce vaporizzate, scivolavo in acqua, finchè non mi trovavo lontana dalla riva, un po’ impaurita anche se non l’avrei mai riconosciuto, nemmeno a me stessa. Poi vi vedevo tutti, nere ombre sulla spiaggia, impegnati a rincorrere ombrelloni e teli, o seduti, con un piede sul pallone e una mano sulla maglietta. Allora decidevo di tornare, ché tanto la traversata non si poteva fare. Non in quelle condizioni. Mentre uscivo dall’acqua, sentivo i vostri sguardi su di me. Sapevo che mi guardavate senza che dovessi guardare voi a mia volta. E così, non ti avevo mica visto. Per me tu facevi parte della collettività spiaggia. Quella collettività da cui ogni tanto qualcuno si staccava per chiedermi se giocavo con i racchettoni e se volevo uscire la sera. La mia risposta era sempre sì alla prima domanda e no alla seconda. Tu, invece, non eri venuto a chiedermi di giocare con i racchettoni. Non mi avevi neppure chiesto di uscire la sera. Ti eri avvicinato, con le mani dietro la schiena, e io non ti avevo visto, tant’ero presa a rabbrividire mentre cercavo invano la stuoia. Mi avevi sfiorato un braccio. Avevo sentito la tua mano calda percorrere la mia pelle d’oca. Allora, avevo alzato lo sguardo e ti avevo visto, attraverso la danza incontrollata dei miei capelli. Avevo visto i filamenti di bambù che mi porgevi come un mazzo di fiori, che mi regalavi come se quel mazzo non mi fosse appartenuto fino a pochi minuti prima, in un’altra forma, certo, ma pur sempre mio.

Ti avevo sorriso, poi ti avevo scordato.

Mi ero asciugata in fretta, e mi ero messa la gonna estiva con la canottiera verde. Avevo camminato accaldata su per i viottoli, riparati da un arsenale di case colorate ammassate l’una sull’altra. Avevo attraversato l’uliveto, dove sembrava che il vento non avesse mai accesso, dove l’aria tiepida faceva da vettore al canto degli uccelli, ed ero entrata nella chiesa. Capelli bagnati, labbra salate, il nodo del costume nella pelle. Sì, andavo a messa, non so perché ci andassi, forse per convenzione, forse perché avevo bisogno di credere che qualcuno ci avrebbe voluto bene per davvero e per sempre, e ci avrebbe fatti stare bene per sempre, a prescindere dalle cazzate che avremmo fatto, anche se non era vero, perché le cazzate si pagano sempre. Il prete parlava nella sua aureola di luce. Non era un miracolo, era solo il sole forte dell’estate che attraversava le vetrate colorate, che si riversava sulla sua testa pelata, sul suo saio decorato d’oro e di innesti verdi lucidi. Mi sembrava bello essere là. Ero felice. Ma non perché fossi a messa, con mio zio sua moglie la sua amica. Non perché stessi trascorrendo i primi momenti di una lunga estate, e si sa che i primi momenti sono belli se non altro perché si pregustano i secondi.
Non per questo.
Solo perché ti avevo di nuovo ricordato: mi eri entrato nella mente con il tuo mazzetto di residui di stuoia, l’avevi usato per farti spazio tra le fronde dei miei pensieri, e ti eri seduto là, nel centro della foresta che mi lussureggiava in testa. E, mentre vedevo le labbra del prete che si muovevano, senza che ne uscisse alcun suono udibile, mi echeggiava nelle orecchie il tuo per lei, signorina.

Com’era, il mio stomaco, quando scendevo scivolando per il corrimano delle scale, poi. Come si strizzava sempre di più, man mano che scendevo per le stradine, ogni giorno prima, ogni volta sotto un sole più caldo. E quanto cresceva, la morsa che mi stritolava l’intestino, davanti al chiosco. Era quella che provavo già a sette anni, prima dei corsi di nuo-to. Mica so perché, ma tant’era. Ed era di nuovo là, quella morsa da dono natalizio spacchettato, da estate sgranocchia-ta famelicamente come un’anguria fresca, con i semi e tutto.
Temporeggiavo, passeggiando nervosamente lungo il marciapie-di, e allungavo il collo per vedere oltre il muretto senza essere vista. Poi, mettevo a fuoco la tua sagoma scura e saltellante tra il bagnasciuga e la spiaggia. Le tempie mi battevano al ritmo del cuore, e le mie dita stringevano forte i lacci della borsa. Studiavo la disposizione degli spazi vuoti, in modo da piazzarmi in un punto ragionevolmente distante da te. Poi, appena mi sistemavo, speravo che ti accorgessi di me. E tu te ne accorgevi sul serio, e lasciavi i tuoi compagni di beach volley, e mi raggiungevi, e mi sorridevi, e mettevi il tuo asciugamano vicino al mio, incastrato nel pochissimo spazio tra me e altri bagnanti sconosciuti.
Poi, finché c’era gente, parlavamo di tutto e di niente. Scordavo di aver seguito appena quattro anni di francese a scuola, e discutevo nella tua lingua come se non avessi mai fatto altro.
Quando la spiaggia si liberava e il sole era meno caldo, giocavamo con i racchettoni. Tutti, a una certa ora, giocavano con i racchettoni, e l’aria si riempiva dei tonfi legnosi delle palle. Te li ricordi, quei due tunisini che stavano lontanissimo l’uno dall’altro e si tuffavano nella sabbia? Sembrava che volessero bucare l’aria con i loro scambi. Ora non c’è più nessuno di loro. Non so dove siano andati. La sera, quando la spiaggia si sfolla, rimane deserta.
Al massimo c’è qualche famiglia, con i bambini che costruiscono le ultime torri dei loro castelli posticci.
Al massimo, ci sono io, sul mio asciugamano, buttato nella sabbia senza la stuoia sotto, che non mi capacito di come tutte quelle persone abbiano potuto sparire così, senza neppure avvisarmi.

Me l’avevi detto, che non ti piaceva molto nuotare.
Io avevo scherzato. Ti avevo anche preso un po’ in giro.
Ma non eri mai venuto con me, a fare la traversata.
Poi, quel giorno, avevi deciso di accompagnarmi.
La tentazione di andare all’isola a nuoto era troppo forte.
Non so se l’avevi fatto per difendermi, o per sfidare te stesso, o ancora per tutti e due i motivi insieme e chissà quanti altri.
Ora ti chiedo, perché avevi deciso di farlo?
C’era il mare, trasparente. Non dovevamo nemmeno mettere la maschera: bastava guardare in basso per vedere i pesci che ci passavano sotto i piedi in banchi.
C’era il sole, caldo, sulla nostra pelle abbronzata.
C’erano le grida dei bambini che giocavano a riva.
C’eravamo tu, io, e quel nessun-altro-posto-che-qui-nessun-altro-mood-che-questo che si prolungava irragionevolmente.
Il blu vivo dell’acqua stesa davanti a me contrastava con il bianco degli scafi delle barche.
A ogni bracciata, inspiravo tutti i centimentri cubi d’aria possibili, per immagazzinare la maggior quantità di benessere. Anche se poi mi toccava espirarlo tutto, quasi con rammarico.
Annaspavi un po’, ma mi nuotavi vicino. Mi sfioravi a tratti la schiena con le dita, con le tue maldestre bracciate a rana.
Non parlavi, ma quando mi giravo verso di te, ti si apriva un sorriso di mezzaluna bianchissima.
Dopo un po’, le tue dita non mi avevano più sfiorata.
Mi ero di nuovo girata, in cerca della mezzaluna, e ti avevo visto più lontano, alla mia sinistra.
Poi, eri sempre più distante.
Il contrasto tra il blu del mare e il bianco delle barche mi faceva male agli occhi.
Quel motoscafo veniva sempre più verso di te, tu andavi sempre più verso di lui.
Avrei voluto gridarti di stare attento, di girarti, di non guardarmi con la tua mezzaluna incosciente aperta in faccia.
Invece ti fissavo solo, impietrita, mentre le tue bracciate a rana si facevano scomposte, mentre la mezzaluna spariva, mentre il sole non era più tanto caldo, il mare non era più così blu, e le grida dei bambini non si sentivano più. Come facevo, a sentire le grida lontane dei bambini a riva, quando sentivo solo il tuo grido, un grido soffocato e subacqueo.
Poi, non avevo visto più nulla.
Un attimo di inghiottimento, di risucchio.
Poi, l’acqua, da grigia, era diventata rossa. Una spruzzata doppia di granatina in un Tequila Sunrise. La granatina, però, era il tuo sangue.

Sai, non ricordo più molto altro, di quel giorno.

In spiaggia c’è sempre il sole, la sabbia è sempre bollente a mezzogiorno, di sera c’è sempre lo sfollamento, il sole è sempre rosso, il mare piatto, gli impiegati nuotano sempre dopo le cinque.
Solo i nord africani non ci sono più.
Ci sono le famiglie, con i bambini che gridano sulla riva.
Io non mi sono disamorata della spiaggia.
Non potevo.
Come non ho potuto disamorarmi di te.
Mi siedo sul muretto, o scendo ad allargare il telo sul lato sinistro.
Penso al nessun-altro-posto-che-qui-nessun-altro-mood-che-questo, a quella felicità assoluta.
Non ti preoccupare, non sono infelice.
Sono relativamente felice.
Ho una famiglia, ho un lavoro, ho dei soldi.
D’estate, vado in vacanza, due settimane.
E poi, vengo di nuovo qui, ogni tanto, in questa spiaggia da cui ti sto scrivendo.
Chissà se in qualche modo mi risponderai.
Chissà se sei felice.

Ma cos’è, poi, la felicità?
Vivere un’estate infinita senza pensare che prima o poi arriverà comunque l’autunno?
Ascoltare un prete indorato dal sole e dagli inserti della sua tunica, che parla di eternità?
Sinceramente, non lo so.
So solo che in questa lettera ti voglio ringraziare per la felicità assoluta che con te ho avuto l’impressione di provare, e chiederti se l’hai condivisa con me.
Cercherò di leggere la tua risposta nella sabbia disordinata dal vento e nelle onde scompigliate del mare.
A presto.

******

giovedì 9 agosto 2007

Rilassatevi...


Prendete questo post, leggetelo in un registratore audio (in funzione sull'opzione rec) con la voce più calma e suadente che potete (non questo pezzo, quello dopo, tra virgolette), quindi sdraiatevi sul letto, o sul pavimento dell'ufficio, o, se l'ufficio è molto piccolo, sulla scrivania, o, se la scrivania è molto piccola e piena di cartacce, in corridoio, o, se il corridoio è troppo trafficato, appendetevi a un gancio nello sgabuzzino o in bagno. Coricatevi in mezzo al cantiere dove lavorate, su un'impalcatura (ché tanto qui i cantieri sono sicuri). Allungatevi sulla spiaggia caraibica dove trascorrete i vostri 15 giorni di ferie in un anno, o, se siete a Rimini, appendetevi a un gancio della cabina balneare, di già che la pagate quasi quanto l'affitto mensile di casa vostra.

Ascoltate la registrazione e...RILASSATEVI.


"Chiudi gli occhi.

Pensa al numero uno. Molti numero uno vagano nella tua mente. Diventano invisibili dita che toccano il tuo corpo in totale relax. Il numero uno tocca la punta dell'alluce destro, quindi scivola sul dorso del piede, sfiora il malleolo, e a ogni sfioramento la tua parte del corpo diventa più distesa e rilassata. [Ripetete il tutto per ogni parte del corpo vi venga in mente - per inciso, queste parti nelle parentesi quadre e scritte in corsivo, non leggetele, ma usatele per creare una parte di registrazione. Non si sa mai, meglio chiarire subito].

Ora respira profondamente. L'aria che esce dalle tua narici è smog grigio, ed entra in una casa, e a ogni inspirazione inali luce ed energia.

[Attesa e respirazioni].

Ora che hai respirato abbastanza, chiudi a chiave la casa piena di smog, girati e getta in un mare grande e profondo la chiave.


Pensa al numero due. Molti numero due vagano nella tua mente. Pensa a un posto bellissimo per te, nella situazione più bella. Guardalo invaso da numeri due fluttuanti. Goditi la situazione per il tempo che vuoi.


Pensa al numero tre. Pensa al mare. Un mare pieno di onde, o calmo, come preferisci. Senti la risacca. Guarda il mare, entraci, giocaci, fa' quello che vuoi. Tanti numeri tre vagano e fluttuano dappertutto. Goditi la situazione per il tempo che vuoi.


Ora, conta lentamente da 10 a 1, e ogni volta che scendi di valore pensa di andare sempre più giù nelle profondità marine, nuotando senza fatica.


Poi, sempre a occhi chiusi, conta da 3 a 1, cercando di riprendere contatto con la relatà. Guarda con l'occhio chiuso verso l'alto, inizia a stirarti. All'1 apri gli occhi e riprendi coscienza di te e della realtà che ti circonda."


Ok, dicono che questo rilassamento faccia bene. A me faceva abbastanza bene. Ora non posso più farlo, perchè, prima cosa, non ho la voce suadente da registrare, bensì un incrocio tra la voce di nonna Papera e quella della Marini (senza offesa per i due personaggi, del resto offenderei pure me stessa, ma sono voci che non vanno bene per l'ayurvedico).

E poi, perchè io mi rilassi ORA, ci vorrebbe come minimo una lobotomizzazione integrale.

Ragion per cui, diffondo a voi il mio sapere (limitato), in modo che possiate beneficiarne.

Ma che brava che sono!

mercoledì 8 agosto 2007

Un libro da prendere e portare via


Andate per caso in vacanza?
Siete per caso di quelli che leggono solo in vacanza?
Non andate in vacanza ma leggete anche quando state in città?
Siete manager stressati che leggono solo dall'una all'una e un quarto della notte stesi (in tutti i sensi) nel letto con il lumino acceso?
Va beh, in ogni caso, vi consiglio questo libro.
Io l'ho preso in prestito da un'amica nel lontano 2002, e finchè non l'ho finito l'ho letto ovunque e in ogni momento. Notte e giorno, sui tram, nelle sale d'attesa, in aula durante le lezioni, seduta sul tavolo della cucina di notte quando la mia coinquilina dormiva nella stanza, accovacciata davanti allo sgabuzzino mentre mi allacciavo le scarpe ecc ecc ecc.
Poi, quando ero in Francia, non contenta, l'ho regalato in francese. Ma il libro regalato, prima l'ho letto io, interrompendo ogni altra attività nei limiti del possibile per tutto il periodo della lettura. Quando poi il beneficiario ha affrontato la lettura, durante una vacanza in marocco, di nuovo l'ho riletto tutto, piazzando il mio appuntito mento sulle sue spalle, tanto non resistevo alla tentazione.
Per andare a stemperare il mio entusiasmo, riferisco i commenti della Scuola Holden e dei suoi rappresentanti, che, durante un corso di scrittura, mi hanno fatto notare che:
  • l'insegnante che cura la mamma malata, in un punto del libro, la tira su dal lettino con due braccia, quindi con il terzo braccio (!?!?) fa il letto, per poi riposarla;
  • nella stanza della mamma malata c'è solo una lettiga e null'altro, come se la nonnina morente non avesse bisogno di nessun macchinario nè di comodini nè altro;
  • la scrupolosa insegnante, deditissima alla madre, la raccoglie, mucchietto d'ossa com'è, e la mette nella vasca da bagno piena d'acqua, per poi lasciarla lì mentre si occupa d'altro. Si sa che i vecchi moribondi sono lavati con impacchi e non nella vasca;
  • i personaggi dell'insegnante sfigata frustrata zitellona e del playboy sono scontati secondo loro.

Raccolgo le critiche, ma ritengo che la piacevolezza di un libro di Ammaniti, dove i confini della realtà sono molto labili, non stia nell'attendibilità realistica dei particolari.

martedì 7 agosto 2007

Conad che non sei altro


Quando si studia un marchio, lo si studia per bene.
Del resto, in Italia, siamo soliti fare le cose per bene.
Ad esempio, il marchio Conad, l'hanno studiato bene, nel '62.
Già me li vedo, tutti là, a Bologna, intorno a un tavolo per diciamo 6 mesi, anche un anno, a studiare il nome.
E poi, la genialata. CONAD. Gran nome.
E poi, tutti i prodotti con questo marchio che iniziano a dilagare nei negozietti e supermercati.
E poi, la sottoscritta, nella versione rubiconda bambina con i pumin rus*, avendo il grande privilegio di essere nipote di due commercianti Conad, si ritrova uno stock di magliette con il fiorellino e la scritta CONAD a caratteri cubitali, che fa un baffo alla gialla collezione di Brice de Nice.
E poi, la sottoscritta, essendo, oltre che la privilegiata nipote di due commercianti Conad, anche la privilegiata figlia di due camperisti amanti della Francia, si ritrova a passeggiare per le strade francesi con maglietta CONAD e palloncino CONAD.
Il che equivale a vedere in Italia un bambino con i pumin rus* e la faccia sorridente dotato di T-shirt e palloncino con su scritto COIONAZZO.

* dicesi di infinitamente estetico arrossamento delle guance in due aree circolari poste ai lati del naso.

lunedì 6 agosto 2007

Passatempi d'agosto


Bisogna dirlo, ad Agosto la vita per chi non fa un viaggio è un mortorio.

E allora, ci si inventa i passatempo dell'estate:


venerdì 3 agosto 2007

Lavoracci

Certo che ci sono dei lavori...
...ma dei lavori...

Una ha perfino scritto un libro, 100 lavori orrendi.

Ieri, però, guardavo la TV, quella musicale che non è MTV.
C'era una tipa che faceva un lavoro...ma un lavoro...
Che mi sono detta: poverina!
Era contrita, si vedeva che aveva gli occhi lucidi per la sofferenza a stento trattenuta.
Era lì, dentro quel quadratino luminoso, il 2 agosto, dico il 2 agosto, mentre tutti gli operai metalmeccanici bucatori di torte controllori di pasticche erano in coda sulle autostrade, pronti a distendersi (si fa per dire) su 30 cm2 di ameni lidi, dopo 34 ore della suddetta coda.

LEI NO.

Lei era là.

E cosa faceva?

Intervistava Simon Webbe.

Poverina.